Libertà di pensiero: lesioni al decoro e all’onore
Il diritto alla reputazione è tradizionalmente offeso attraverso una pluralità di condotte diverse, le quali hanno come comune denominatore la diffusione di fatti e notizie idonee ad alterare la considerazione che di una determinata persona ha la comunità di riferimento.
Ci si chiede, pertanto, cosa accade nel momento in cui la lesione al decoro e all’onore, non scaturiscano da notizie diffuse da una testata giornalistica, ma promanano dalla liberà espressione di un comune cittadino, il quale fa valere il suo diritto alla manifestazione del pensiero, tutelato e difeso dal primo comma dell’art. 21 Cost.
Come si è avuto modo di appurare quando l’offesa alla reputazione proviene dall’esercente la libertà di stampa, prerogativa di cui al secondo comma dell’art. 21 Cost., al ricorrere delle tre regole del decalogo, il giornalista va esente da responsabilità e non potrà ascriversi alcuna imputazione ai sensi del 3 comma del 595 c.p.
A questo punto, bisogna comprendere se l’offesa al buon nome altrui, frutto di informazioni divulgate ad opera di un soggetto comune, non professionalmente dedito all’attività giornalistica, possa trovare una causa di giustificazione che scrimini il comportamento.
Invero, soffermandoci alla lettera del primo comma dell’art. 595 c.p., dalla norma si ricava che il reato può dirsi integrato nel momento in cui “chiunque” offenda l’altrui reputazione: messa in questi termini, sembrerebbe che, quando viene in gioco l’esercizio della libera manifestazione del pensiero (art. 21, comma 1 Cost.), non operi la tecnica del bilanciamento prevista per contemperare diritto di cronaca e difesa alla reputazione; di conseguenza, la libertà di pensiero sarebbe, sempre, soccombente quando arreca danno all’onore e al decoro.
Sul punto, anche la dottrina tradizionale si trova concorde, sostenendo che la ratio dell’art. 595 c.p. è tesa a tutelare l’onore della persona in senso formale, quale valore astratto connaturato all’essere persona umana, a prescindere dalla realità dell’onore stesso.
Ebbene, tra gli argomenti atti a corroborare la tesi formalistica dell’onore, trova rilievo l’art. 596 c.p., il quale prevede una disciplina ad hoc per la diffamazione, in cui al reo non è consentito provare a sua discolpa la verità dei fatti attribuiti alla persona offesa.
La suddetta norma, però, consente l’exceptio veritatis come prova liberatoria della colpevolezza solo in tre casi particolari, ossia: nell’ipotesi in cui l’offeso sia un pubblico ufficiale; se risulta aperto un procedimento penale; e, infine, quando il querelante domanda direttamente al giudice di accertare la verità del fatto ad esso attribuito.
L’esposto orientamento, adombrato in prima istanza, è stato poi messo in discussione e superato dalla moderna dottrina e da diversi arresti della Corte Costituzionale, le quali hanno intravisto nella stessa libertà di manifestazione del pensiero il valore di causa di giustificazione ai sensi dell’art. 51 c.p.
Pertanto, la condotta antigiuridica integrante il reato di cui al primo comma dell’art. 595 c.p. può dirsi scriminata nel momento in cui sia espressione dei valori protetti dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 della Convenzione EDU che, non solo tutela libertà di manifestazione del pensiero del soggetto attivo ma garantisce il diritto di tutti i cittadini ad essere informati.
Dunque, sulla scorta della tutela fornita dall’ 10 della CEDU, non vi è obbligo che l’informazione necessariamente promani da un giornalista, potendo essere diffusa anche da chi non abbia tale qualifica.
Di conseguenza, la posizione del cittadino che divulghi notizie è equiparabile a quella del giornalista: il soggetto comune, allora, quando informa, quando manifesta le proprie opinioni, dovrà rispettare le regole del decalogo del giornalista, condizioni, quindi, che se integrate, scriminano non solo il reato di diffamazione a mezzo stampa ma anche il reato di cui al primo comma dell’art. 595 c.p.
Al contempo, anche l’art. 596 c.p., necessita di una rilettura: l’eccezione di verità troverà applicazione ogni qualvolta vengano rispettate le due regole del decalogo dell’interesse pubblico e della continenza, in quanto il soggetto sta legittimamente esercitato un diritto; diversamente, in mancanza dei predetti requisiti, si ricade sotto la scure del divieto di exceptio veritatis.
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Piera Strabello
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