Licenziamento tramite “whatsapp”: legittimo poiché equivale alla forma scritta!
Tribunale di Catania, sez. II Civile – Lavoro, ordinanza 27 giugno 2017
Giudice Fiorentino
La lavoratrice adiva il Giudice al fine di ottenere, tra l’altro, l’accertamento della invalidità/inefficacia del licenziamento intimatole tramite “whatsapp”, con reintegra nel posto di lavoro e condanna alla retribuzione globale di fatto dovuta dal giorno del licenziamento alla reintegra effettiva, oltre l’ulteriore risarcimento del danno.
La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo preliminarmente l’intervenuta decadenza ex art. 6 L. 604/1966 (art. 32 Collegato Lavoro).
Il Giudice ha dichiarato inammissibile la domanda avente ad oggetto il licenziamento per intervenuta decadenza.
Il recesso intimato a mezzo “whatsapp” appare infatti assolvere l’onere della forma scritta (cfr. su fattispecie analoga App. Firenze, 05-07-2016), trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale in data successiva.
Sul punto va ricordato che, nella materia, da tempo, la Suprema Corte ha evidenziato che “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali”, potendo “la volontà di licenziare… essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara” (Cass., civ. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652, ove è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito, secondo cui “la consegna del libretto di lavoro…da parte della società con l’indicazione della data di cessazione del rapporto deve essere considerato atto formato di recesso”; in tal senso, v. anche Cass., civ. sez. lav., 18 marzo 2009, n. 6553).
La modalità utilizzata dal datore di lavoro, nel caso di specie, è apparsa idonea ad assolvere ai requisiti formali in esame, in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifestata dalla predetta parte.
Quanto alla circostanza che il licenziamento non sarebbe stato sottoscritto dal datore di lavoro, ma da soggetto terzo (nella fattispecie il direttore tecnico), va ricordato che “La disciplina dettata dall’art. 1399 c.c. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 c.c., anche a negozi unilaterali come il licenziamento. Pertanto la dichiarazione di recesso proveniente da un organo della società datrice di lavoro sfornito del potere di rappresentanza della medesima può essere efficacemente ratificata dall’organo rappresentativo della società anche in sede di costituzione in giudizio per resistere all’impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore che deduca il detto difetto di rappresentanza, … non potendo il lavoratore essere compreso fra quei terzi di cui il comma 2 dell’art. 1399 fa salvi i diritti” (App. Milano, 28-06-2002; Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-1990, n. 2824).
Nel caso di specie, pertanto, il motivo attinente al presunto difetto di legittimazione del soggetto che ha intimato il licenziamento (peraltro mai esternato in sede stragiudiziale) deve ritenersi irrilevante, avendo la società comunque confermato la volontà di recedere dal rapporto.
Ciò posto, il Giudice ha rilevato che, avendo parte ricorrente impugnato il licenziamento in data 23.4.2015 (con missiva ricevuta in data 15.5.2015), la stessa ha tempestivamente proposto il tentativo di conciliazione in data 13.11.2015.
Tuttavia, dopo l’esito del tentativo di conciliazione, conclusosi con il mancato accordo in data 17.5.2016, ha proposto ricorso solo in data 22.7.2016, dopo l’inutile spirare del termine decadenziale previsto dall’art. 6, comma secondo, L. 604/1966 (come modificato dall’art. 32 Collegato lavoro), di 60 gg.
Dispone infatti tale disposizione che “L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.
Per questi motivi il ricorso avverso il licenziamento appare quindi inammissibile per intervenuta decadenza.
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Avv. Giacomo Romano
Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.
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