L’inammissibilità dell’appello nel processo penale
L’articolo 591 del codice di procedura penale delinea il c.d. “filtro di ammissibilità” dell’impugnazione.
Mediante tale strumento, il Legislatore ha inteso definire rigorosamente il contenuto tipico dell’impugnazione nel codice di rito e ciò al duplice fine, da un lato, di evitare iniziative meramente strumentali e dilatorie dei mezzi di impugnazione (in quanto pregiudizievoli del corretto utilizzo delle risorse giudiziarie), e dall’altro lato, di favorire la concreta attuazione del “principio della ragionevole durata del processo” sancito dall’articolo 111, secondo comma, della Costituzione.
La formulazione della norma in parola, ha però aperto le maglie di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente “l’ampiezza di tale filtro”, con particolare riferimento al rigore della sua applicazione nei diversi strumenti di impugnazione: il ricorso in Cassazione e l’Appello dinnanzi alle Corti Territoriali.
Infatti, se non residuano dubbi circa l’inammissibilità del ricorso in Cassazione ove manchi un’adeguata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione stessa, «diversa sarebbe la situazione con riferimento alla valutazione dei motivi di appello». In tale ultimo proposito va infatti segnalato come nell’ambito della giurisprudenza di merito si sia sviluppato un contrasto interpretativo che distingueva due contrapposti orientamenti:
– Un primo indirizzo sottolineava la necessità di valutare il requisito della specificità dei motivi di appello in termini meno stringenti rispetto al corrispondente scrutinio dei motivi di ricorso per Cassazione, al fine dichiarato di meglio valorizzarne il carattere di strumento a “critica libera”;
– Al contrario, un secondo orientamento più restrittivo, affermava la sostanziale omogeneità della valutazione della specificità estrinseca dei motivi di appello e dei motivi di ricorso per Cassazione.
Tale contrasto può oggi considerarsi superato grazie alla pronuncia delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 8825 del 22 febbraio 2017, ha rimarcato la necessità di una preliminare delibazione circa l’ammissibilità dell’atto d’appello con particolare riferimento alla specificità estrinseca dei motivi.
Preliminarmente la Suprema Corte ha affermato che «tra i requisiti di ammissibilità dell’appello, rientrano anche l’enunciazione e l’argomentazione di rilievi critici relativi alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata» e che, in coerenza col dato normativo 1 che mira ad assimilare la disciplina delle due specie di impugnazioni, questi requisiti vanno valutati col medesimo rigore sia per l’atto d’appello che per il ricorso per Cassazione – aderendo dunque al secondo orientamento sovraesposto-. Alla luce di tali premesse, affinché possano superare il preliminare vaglio di ammissibilità, i motivi di appello devono essere caratterizzati sia da specificità intrinseca che da specificità estrinseca:
Il motivo difetta di specificità intrinseca quando si basa su argomentazioni generiche, astratte o non pertinenti (circa tale tipo di inammissibilità non è mai sorto contrasto giurisprudenziale e dunque la sentenza in commento non ha introdotto nulla di nuovo sul punto);
Con riferimento al secondo carattere, perché il motivo d’appello sia dotato di specificità estrinseca, esso deve essere basato, da un punto di vista logico-giuridico, su di un prius –la censura del ragionamento del giudice a quo– e su di un posterius – l’introduzione di argomentazioni tendenti all’assoluzione. L’impugnazione deve, in altri termini, esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto.
In senso conforme a quanto espresso nella sentenza da parte della Suprema Corte, è inoltre intervenuto, a distanza di pochi mesi, anche il dato normativo: La necessaria correlazione dei motivi d’appello con la sentenza impugnata si pone infatti in coerenza con le modifiche al codice penale effettuate dalla c.d. riforma Orlando (legge n.103 del 23 giugno 2017).
“In linea con la ratio ispiratrice della riforma – finalizzata alla razionalizzazione, deflazione ed efficacia dei procedimenti impugnatori – la legge citata è intervenuta in duplice direzione, declinando, da un lato, un nuovo modello legale di motivazione in fatto della decisione di merito al quale si raccorda l’onere di specificità dei motivi di ricorso, e, dall’altro, rimodulando, in coerenza con siffatto modello, i requisiti formali di ammissibilità dell’impugnazione.
Viene, in tal senso, ad essere valorizzata l’intima correlazione funzionale tra struttura dell’argomentazione della sentenza e forma dell’atto di impugnazione: la sentenza, difatti, deve rappresentare gli elementi dimostrativi ed esplicitare compiutamente le determinazioni del giudice, mentre l’atto di impugnazione dovrà correlarsi – criticamente – ai capi, ai punti, alle questioni processuali e probatorie contenute nella decisione attraverso la prospettazione di richieste ed argomentazioni, in fatto e in diritto, compendiate in motivi dotati di adeguata specificità 2. Di guisa che un atto privo della necessaria specificità dei predetti enunciati non costituisce valida forma d’impugnazione e non è idoneo a produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo, con conseguente preclusione all’emissione di una pronuncia diversa dalla declaratoria di inammissibilità” (Corte di Cassazione, sentenza 34504 del 20 luglio 2018).
In conclusione, oltre ai vari casi di inammissibilità previsti dall’articolo 591 c.p.p., devono essere dichiarati inammissibili tutti quegli atti di appello fondati su considerazioni generiche ed astratte, ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (la c.d. genericità intrinseca), ovvero quando manca la correlazione tra i motivi e le ragioni di fatto o diritto su cui si basa la sentenza impugnata (la c.d. genericità estrinseca) per esempio mediante la riproposizione tout court della propria tesi difensiva presentata mediante memoria in sede di 415 bis c.p.p.
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Irene Amico
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