L’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena alle sanzioni inflitte alle persone giuridiche: Cass. n. 30305/2020

L’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena alle sanzioni inflitte alle persone giuridiche: Cass. n. 30305/2020

L’istituto della sospensione condizionale della pena, che il codice penale annovera tra le cause di estinzione del reato, assolve la primaria funzione di esercitare un effetto risocializzativo nei confronti del soggetto che sia stato condannato ad una pena detentiva relativamente breve, ovvero non superiore a due o tre anni, a seconda che si tratti di persona di età superiore od inferiore agli anni diciotto.

La sospesa esecuzione della pena inflitta con la sentenza di condanna al reo che gode del beneficio in esame, viene subordinata – rectius, condizionata – alla mancata commissione, nei cinque anni successivi, di ulteriore reato, sulla base di un giudizio prognostico svolto dal giudice della cognizione.

Pertanto, al contempo, esplica funzione deflattiva rispetto all’ingresso nel sistema carcerario di soggetti che si siano resi autori di reati di minore allarme sociale, facendo affidamento sull’effetto deterrente della minaccia di esecutività insita nella pena inflitta, al ricorrere dei presupposti di carattere oggettivo e soggettivo individuati dagli articoli 163 e seguenti del codice penale.

In particolare, mentre sul piano oggettivo vengono in considerazione l’entità e la natura della pena, al fine di vincolare l’applicabilità dell’istituto in esame, sul piano soggettivo viene operata una valutazione prognostica in concreto e favorevole rispetto al futuro comportamento del condannato, in termini di astensione dalla commissione di ulteriori reati, fondata sui parametri individuati dall’articolo 133 c.p. e sugli eventuali precedenti giudiziari riportati dal soggetto.

Una valutazione, quella appena accennata che, sebbene vincolata ai menzionati paramenti, è sostanzialmente discrezionale, dal momento che la giurisprudenza di legittimità si è espressa ritenendo che il giudice non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’articolo 133 c.p., potendosi limitare ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (cass. Sez. V n. 57704 del 28.12.2017), benché conservi in ogni caso un dovere motivazionale sul punto.

Ad ogni modo, sono proprio i requisiti di carattere soggettivo che alimentano dubbi relativamente alla questione dell’applicabilità dell’istituto della sospensione condizionale agli sanzioni gravanti sull’ente, oggetto della recente sentenza della III sezione della Corte di Cassazione n. 30305 del 23 settembre 2020, depositata il 02 novembre 2020.

A tenore del principio di diritto espresso dalla menzionata, che si conforma alla posizione già espressa con le sentenze n. 42503 del 25.06.2013 e, ancor prima, con la n. 10822 del 20.03.2012, “l’istituto della sospensione condizionale della pena non è applicabile alle sanzioni inflitte agli enti a seguito dell’accertamento della relativa responsabilità da reato ai sensi della L. 231/01, la cui natura amministrativa non consente l’applicabilità di istituti giuridici specificamente previsti per le sanzioni di natura penale”.

L’orientamento giurisprudenziale, dunque, adduce a motivazione della inapplicabilità della sospensione condizionale in favore delle persone giuridiche, la tesi della natura amministrativa della responsabilità da reato dell’ente, che rappresenta, tuttavia, soltanto una delle posizioni seguite sul punto da dottrina e giurisprudenza.

L’identificazione della natura di tale responsabilità, difatti, ha diviso soprattutto la dottrina, la quale ne riconosce in parte  una forma di responsabilità amministrativa[1]; in parte, penale[2]; in parte, ancora, un tertium genus che attingerebbe a profili dell’una e dell’altra forma[3].

Posizioni, che, inoltre, dovrebbero confrontarsi altresì con la giurisprudenza europea che invita a considerare, ai fini della qualificazione,  la natura concretamente afflittiva della sanzione.

Tale valutazione deve essere svolta utilizzando come parametro gli Engel criteria elaborati nella nota sentenza della Corte di Strasburgo del 1976 (formalizzati successivamente nel caso Ezeh and Connors v. the United Kingdom), vale a dire la qualificazione giuridica  interna dell’illecito e della sanzione, la natura dell’illecito, la natura e gravità della sanzione.

La qualificazione giuridica interna costituisce, come ha avuto modo di chiarire a più riprese la Corte EDU, soltanto il punto di partenza (“startingpoint”) dell’analisi e riveste un valore meramente formale e relativo (“a formal and relative value”).

Nella disciplina della responsabilità da reato degli enti, dunque, il trattamento punitivo in danno di questi consiste in  sanzioni di carattere interdittivo, pecuniario, in confisca e pubblicazione della sentenza che, per natura, farebbero protendere verso la definizione di tale forma di responsabilità come penale: al di là del nomen iuris attraverso cui viene definita nell’incipit del d. lgs. 231/2001, la conseguenza giuridica del fatto illecito commesso dall’ente,  per la legislazione nazionale, ha carattere particolarmente afflittivo.

In questa prospettiva, deve necessariamente essere svolta l’analisi dell’afflittività concreta dell’imposizione, che nel caso delle sanzioni previste dalla disciplina degli enti – a parere della dottrina – supera la funzionalità risarcitoria, fino ad assumere connotato penalistico.

Pertanto, motivare l’inapplicabilità della sospensione condizionale alle sanzioni inflitte agli enti sulla considerazione della natura amministrativa della forma di responsabilità da cui gli stessi siano stati investiti, andrebbe incontro a censure di quanti ne sposano una diversa qualificazione.

Sarebbe sicuramente più rispondente ai criteri della ragionevolezza sostenere l’inapplicabilità del beneficio giustificandola in ragione della struttura dell’istituto, certamente maggiormente compatibile con la persona fisica e probabilmente poco adattabile alla persona giuridica, nonché in ragione del già disciplinato istituto di cui all’articolo 78 del  d. lgs. 231/2001, che incentiva le condotte riparatorie e risarcitorie anche nella fase esecutiva.

Attraverso la conversione della sanzione interdittiva, l’ente  otterrebbe appunto la trasformazione della sanzione amministrativa interdittiva in una sanzione pecuniaria, esercitando una funzione che, in effetti, sarebbe vanificata qualora applicabile cumulativamente alla sospensione condizionale.

Del resto, anche alcuni ordinamenti esteri, quale quello francese, giungono alla medesima conclusione di escludere la sospensione condizionale in favore degli enti.

 

 


[1] F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino, 2006; M. ROMANO, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni: profili generali, in Riv. Soc., 2002;
[2] G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2009;C.E. PALIERO, Il d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. Giur., 2001;
[3] M. RONCO, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2009.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Mariacaterina Coiro

Laureata in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II", con tesi in diritto penale comparato, ho conseguito diploma di specializzazione, con elaborato in diritto penale, presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali di Napoli. Ho, altresì, completato con esito positivo il corso accreditato di diritto penale dell'economia. Attualmente sono iscritta presso il registro dei praticanti avvocati abilitati al patrocinio sostitutivo presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli.

Articoli inerenti