L’incerta definizione di “Funzionario di fatto”

L’incerta definizione di “Funzionario di fatto”

Sommario: Premesse: rapporto organico e rapporto di servizio – 1. La controversa nozione di “funzionario di fatto” – 2. Il “Funzionario di fatto” in caso prorogatio – 3. Il difetto di legittimazione – 4. Differenza tra funzionario di fatto e usurpatore di funzioni pubbliche

 

L’istituto del “funzionario di fatto” appare, tutt’oggi, poco approfondito sia dall’opinione dottrinale che dalla giurisprudenza, quantomeno sotto l’aspetto generale e dogmatico. Difatti, l’attenzione si è concentrata principalmente sulla tematica della sorte degli atti posti in essere, alla luce del principio della conservazione degli atti giuridici. Pertanto, scopo del presente elaborato è quello di proporre una riflessione sull’inquadramento teorico e sistematico della presente figura.

Premesse: rapporto organico e rapporto di servizio

Prima di riuscire a dare una qualche definizione dell’istituto in analisi, è opportuno fare delle brevi premesse sull’organizzazione degli uffici all’interno delle pubbliche amministrazioni e sul “rapporto di servizio”. Queste considerazioni di partenza possono sembrare banali o, addirittura, fuori tema. In realtà, esse forniscono le informazioni di base e permettono di ben inquadrare il ruolo e l’attività del funzionario di fatto all’interno della pubblica amministrazione.

Detto ciò, sotto l’aspetto organizzativo, la pubblica amministrazione (detta più semplicemente P.A.) è composta da uffici e da organi.

L’ufficio è l’unità elementare, la base di una determinata organizzazione amministrativa. Esso è costituito da persone fisiche e dai mezzi materiali, organizzati in modo tale da permettere di perseguire gli scopi istituzionali di quel determinato ente. All’interno di ogni ufficio, si distingue la posizione del titolare da quella degli altri addetti o funzionari. Il titolare è quella specifica persona fisica che dirige i lavori, rappresenta l’ufficio nei rapporti con gli altri uffici. Gli addetti, invece, sono tutte quelle persone fisiche che svolgono i compiti a loro assegnati. Tra il titolare e i funzionari esiste una specifica relazione organizzativa molto intensa, che viene definita come “gerarchia propria“.

Il concetto di organo, invece, viene usato per intendere un particolare strumento che permette di imputare l’attività all’ente che la pone in essere.

Tale concetto ha dato così origine alla tesi della c.d. “imputazione organica”, secondo cui vengono imputati e riferiti alla persona giuridica tutti gli atti posti in essere da un determinato soggetto, che agisce in nome e per conto dell’ente. Inizialmente, la nozione di organo veniva utilizzata solo per imputare alla pubblica amministrazione atti rilevanti nei confronti di terzi: si parlava, infatti, solo di “organo esterno”.  Nel corso del tempo, la nozione di organo è stata in parte modificata e ampliata, tanto da ricomprendere anche gli atti aventi rilevanza interna. Da qui, è la divenuta tradizionale la distinzione tra organi interni e organi esterni[1].

La nozione di organo è strettamente connessa con quella di competenza. Con tale espressione si fa riferimento a quella parte di attribuzioni che spetta a ciascun ente, organo, ufficio. Essa comprende l’insieme di poteri e di funzioni che possono essere esercitati sulla base della legge.

Proprio per tale ragione, si ritiene che punto di riferimento normativo sia l’articolo 97 della Costituzione comma 3, secondo cui: “Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.  L’assegnazione delle competenze può avvenire sulla base di diversi criteri.

Si parla, infatti, di competenza per materia: in questo caso un a certa materia viene affidato un certo organo, ufficio o ente. Per cui, la cura di determinati interessi pubblici è affidata ad alcuni soggetti proprio in virtù dell’oggetto di quelle specifica materia.

In secondo luogo, si parla di competenza per territorio: in questo caso, la cura di determinati interessi pubblici viene attribuita a certi uffici, organi o enti che si trovano in uno specifico spazio geografico. Normalmente, l’attribuzione per territorio avviene in virtù del criterio della vicinitas, ossia dello stretto legame tra un certo interesse pubblico da soddisfare e l’ente che deve esercitare l’attività amministrativa.

In terzo luogo, la competenza può essere per “valore” cioè in virtù del valore economico degli atti da porre in essere.

Infine, la competenza può essere assegnata per grado, qualora vi sia un’identica competenza per materia e territorio. Questo tipo di competenza assume rilievo soprattutto in presenza di provvedimenti definitivi e in relazione alla possibilità di esperire i cosiddetti ricorsi gerarchici[2].

Queste iniziali considerazioni permettono, adesso, di distinguere il rapporto organico, che lega il titolare dell’organo all’ente, dal diverso “rapporto di servizio”.

Quando si parla di rapporto di servizio, la dottrina tradizionale intende riferirsi al rapporto che lega i dipendenti pubblici (o comunque coloro che prestano la propria attività presso un certo ente pubblico) con l’ente stesso. Esso impone al dipendente il dovere di agire nell’interesse dell’ente, di prestare una determinata attività, di tenere una condotta conforme ai doveri di ufficio.  Da qui, ne deriva che il rapporto di servizio lega tutte le persone fisiche che fanno parte di una certa struttura e non soltanto il titolare dell’organo o dell’ufficio.

Tuttavia, occorre sottolineare che il rapporto di servizio non è un rapporto di imputazione, ossia non serve a imputare all’ente gli atti posti in essere da un singolo individuo. Esso deve essere considerato o come un vero e proprio rapporto giuridico, da cui nascono diritti e doveri, sia in capo al singolo individuo che in capo all’ente stesso.

Il rapporto di servizio può avere varia natura:

– Onoraria: ad esempio, quella dei ministri o del sindaco. Difatti, essi pur non essendo effettivamente dipendenti di quello apposito ente, sono comunque legati da un rapporto di servizio, che ha però dei caratteri propri.

– Coattiva: ciò si verifica nei casi espressamente previsti dalla legge, ad esempio nei confronti della leva obbligatoria.

– Professionale: è quello proprio dei dipendenti, che coincide spesso con il rapporto di impiego e attiene al trattamento economico, allo stato giuridico, alla carriera dell’impiegato[3].

Nel caso di rapporto di servizio professionale, l’accesso alle cariche pubbliche avviene tramite “concorso”: si tratta di una regola generale volta a individuare quei soggetti ritenuti “i più capaci, i migliori” per provvedere alla cura di un interesse pubblico.

Tale regola trova il proprio fondamento nella Costituzione e, in particolare, nell’art. 97 comma 3, secondo cui: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Detto ciò, occorre distinguere due diverse situazioni.

Nei confronti dei funzionari pubblici non soggetti a privatizzazione, il rapporto viene costituito mediante un vero e proprio provvedimento amministrativo unilaterale attraverso cui si procede alla nomina di quel determinato funzionario.  Si pensi a quanto avviene per i magistrati, i dipendenti consolari o delle ambasciate.

Diversamente, invece, nel caso di funzionario pubblico oggetto della cd. “privatizzazione” il rapporto di servizio si instaura attraverso la stipula di un vero e proprio contratto di lavoro individuale, che fissa in modo bilaterale diritti ed obblighi delle parti[4].

1. La controversa nozione di “funzionario di fatto”

Queste premesse di carattere generale permettono, adesso, di ricostruire la controversa figura del cosiddetto funzionario di fatto. Parte della dottrina ha ritenuto che la nozione di “funzionario di fatto” non coincida pienamente con quella di funzionario. Per coglierne le differenze occorre prendere in considerazione la Costituzione e, in particolare, gli articoli 28[5]  e 97[6] .

Alla luce della prima disposizione, parte della dottrina ha sostenuto che i funzionari sarebbero soggetti diversi dai dipendenti pubblici, se pure accomunati dal regime di responsabilità.  Difatti, il concetto di “dipendente pubblico” è un concetto vasto e generale, che comprende al suo interno tutti quei soggetti che hanno un rapporto di servizio con la P.A., a prescindere dalla sua natura e dalle sue modalità di costituzione.

Diversamente, invece, i funzionari pubblici sarebbero quei dipendenti che esercitano e svolgono una Pubblica Funzione. A tale proposito, si parla di pubblica funzione per intendere quell’ attività svolta mediante l’esercizio di poteri autoritativi. Tale nozione si distingue ulteriormente dal concetto di servizio pubblico, con cui si intende l’esercizio di una certa attività da parte della P.A. senza che ciò comporti l’esercizio di un potere autoritario e sovrano[7].

Nella seconda disposizione, invece, si parla genericamente dei funzionari quali soggetti preposti ad uffici ed organi dell’amministrazione.

Da queste indicazioni, parte della dottrina ha affermato che il nostro ordinamento conosce il concetto di “funzionario”, sebbene questo concetto non sia stato stato ben definito dal Legislatore.

Tuttavia, in assenza di una specifica definizione e in assenza di più puntuali riferimenti normativi, la dottrina ha cercato di definire e circoscrivere la figura del funzionario sulla base del pubblico ufficiale e dell’incaricato di un servizio pubblico, ossia alla luce delle qualifiche proprie del diritto penale e disciplinate negli articoli 357 e 358 c.p. A tale proposito, occorre ricordare che il Legislatore è intervenuto con la legge n.86/1990 al fine di eliminare il carattere tautologico delle precedenti nozioni contenute nel codice penale, sostituendole con delle qualifiche più precise e meno ambigue.

In questo modo, è stata accolta la cosiddetta concezione “funzionale-oggettiva” di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio. In virtù di questa nuova concezione, il pubblico ufficiale e l’incaricato di un servizio pubblico sono tali non perché hanno un certo rapporto giuridico con un ente pubblico, ma perché svolgono una certa attività, che deve essere considerata e valutata in concreto. Nonostante questo importante intervento normativo, il Legislazione penale non fornisce ulteriori indici o criteri per definire la figura del funzionario.

In ogni caso, il richiamo alle norme penali è importante in quanto permetterebbe di focalizzare l’attenzione proprio sulla natura dell’attività svolta.

Pertanto, con il concetto di funzionario si deve fare riferimento ad una categoria giuridica che ricomprende tutti coloro che esercitano una pubblica funzione, all’interno e nell’ambito degli uffici propri della pubblica amministrazione. Si pensi, ad esempio, a colui che forma o contribuisce alla formazione della volontà dell’ente, manifestandola verso l’esterno o portandola ad esecuzione. Alla luce di tale considerazione, parte della dottrina ha sottolineato che funzionario è colui che partecipa alla cura concreta degli interessi pubblici e che, quindi, è titolare della funzione amministrativa[8].

Giunti, in questo modo, a definire il “funzionario”, appare più difficile delimitare il concetto di “funzionario di fatto“. Ciò poiché, ancora una volta, il nostro ordinamento è caratterizzato dall’assenza di una vera e propria definizione normativa e della disciplina da applicare. Si ritiene, dunque, che si tratti di un istituto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, attraverso cui si è cercato di operare un bilanciamento tra diversi principi generali presenti all’interno del nostro ordinamento, ossia il principio dell’apparenza iuris, dell’affidamento del terzo, della conservazione degli atti amministrativi[9].

Se ciò è vero, la prima questione che si pone è quella di capire chi è il funzionario di fatto. Sul punto si sono alternate varie interpretazioni.

Secondo una prima tesi, il “funzionario di fatto” sarebbe un soggetto che detiene in maniera irregolare un ufficio pubblico, in quanto manca o è viziato il procedimento di assunzione o perché è sopraggiunto un vizio che inficia e colpisce l’originaria regolarità dell’assunzione. Per cui, tutte le ipotesi di irregolare esercizio del potere, in difetto e in violazione delle norme sulla competenza, non sarebbero pienamente riconducibili all’istituto in esame [10].

Secondo un’altra ricostruzione, invece, tale nozione sarebbe più ampia e comprenderebbe tutte le ipotesi in cui un determinato soggetto pubblico ponga in essere atti amministrativi in violazione delle regole sulla competenza. Difatti, la violazione delle regole di competenza farebbe venir meno la legittimazione a porre in essere quegli specifici atti amministrativi[11]. Pertanto, la figura del funzionario di fatto ricorrerebbe ogni qualvolta sia necessario tutelare l’affidamento incolpevole dei soggetti privati, garantendo effettività e definitività agli atti posti in essere ed espressione di un pubblico potere[12].

Tuttavia, quest’ultima ricostruzione non è stata pienamente condivisa.  Difatti, secondo un’altra impostazione l’istituto del funzionario di fatto verrebbe in rilievo qualora sia necessario evitare un vuoto e una lacuna nell’esercizio della funzione amministrativa. Tale figura, dunque, sarebbe espressione del principio del raggiungimento dello scopo dell’attività pubblica e del principio di continuità dell’azione amministrativa[13].

Infine, secondo un’altra ricostruzione, abbracciata dalla dottrina maggioritaria, il funzionario di fatto è colui che, sebbene privo di una valida legittimazione per le ipotesi sopradette, compie un’attività riferibile alla pubblica amministrazione[14].

Sul punto è intervenuta anche la giurisprudenza affermando che funzionario di fatto è quel soggetto che si distacca dal rapporto di dipendenza o dalla causa negoziale che è sottesa al rapporto con la P.A. a causa della mancanza di una vera e propria investitura espressa e formale, che permette di assumere un dato ruolo all’interno dell’amministrazione. Nonostante ciò egli agisce ponendo in essere comportamenti idonei a caratterizzare come propria dell’ente una certa attività[15].

La definizione fornita dalla giurisprudenza, tuttavia, non è apparsa pienamente soddisfacente e, infatti, è stata in parte criticata dalla dottrina secondo cui i giudici non prenderebbero in considerazione tutte quelle attività di fatto svolte spontaneamente da un soggetto privato, il quale si sostituisce ad una pubblica amministrazione, soprattutto nell’ipotesi di stato di necessità[16].

Vista la molteplicità di definizioni prospettate, si ritiene preferibile accogliere una interpretazione ampia di “funzionario di fatto”: tale è colui che è privo di una valida legittimazione e nonostante ciò compie un’attività riferibile alla amministrazione. Ciò può avvenire sia a causa della mancanza del titolo sia a causa di un vizio che lo affligge.

Tuttavia, le due ipotesi producono conseguenze giuridiche molto differenti. Difatti, nel caso in cui manca il titolo, il dipendente è del tutto privo di alcuna legittimazione ad agire. In questo caso, può venire in rilievo anche la figura dell’usurpatore di funzioni pubbliche[17].

Per quanto riguarda, il titolo viziato, è opportuno distinguere tra il vizio originario e il vizio sopravvenuto. Nel primo caso, l’investitura non esiste oppure se esiste è viziata fin dall’origine: la posizione del funzionario risulta, dunque, del tutto illegittima. Nella seconda ipotesi, invece, vengono meno i poteri del funzionario a causa di un difetto che colpisce successivamente l’atto di investitura. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, ad una condanna penale o all’interdizione dai pubblici uffici.

Diverso è il caso della prorogatio.  Essa comporta che l’iniziale investitura, sebbene pienamente valida ed efficace, viene meno per il decorso del suo naturale termine: in questo caso il funzionario mantiene i propri poteri fino allo scadere del quarantacinquesimo giorno[18].

2. Il “Funzionario di fatto” in caso prorogatio

Circa i rapporti tra prorogatio e funzionario di fatto, alla luce della originaria disciplina, ossia quella antecedente al 1994, erano sorti due diversi orientamenti.

Una parte della dottrina affermava che il funzionario investito legittimamente dell’esercizio di funzioni pubbliche, il quale proseguiva nell’esercizio delle stesse anche dopo la scadenza, non poteva essere considerato al pari del funzionario di fatto[19].  Ciò in quanto l’organo prorogato godeva, comunque, di un interesse giuridicamente protetto e, dunque, l’investitura sarebbe da ritenersi legittima tanto che il funzionario in proroga avrebbe una sua esclusiva competenza propria sulla base della stessa legge. Diversamente, la figura del funzionario di fatto emergerebbe qualora tale soggetto non sia né titolare dell’ufficio né tantomeno sarebbe legittimato all’esercizio di funzioni pubbliche[20].

Secondo una diversa impostazione, invece, sarebbe possibile considerare la figura del funzionario prorogato come funzionario di fatto. Tale assimilazione poggiava su due considerazioni, ossia l’assenza di una specifica disciplina normativa e il particolare regime dell’investitura.  Sul punto, si osservava che la scadenza dell’atto di investitura ne provocava la caducazione e, dunque, il funzionario prorogato sarebbe stato privo della adeguata legittimazione[21].

Successivamente, sul tema della prorogatio era intervenuta anche la Legge n. 444/ 1994. In seguito a tale intervento normativo, la proroga è stata ritenuta ammissibile soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge e questo in virtù del principio di legalità nella sua accezione formale, sancito nell’articolo 97 della Costituzione e nella Legge n. 241/1990. Sulla base del nuovo intervento normativo, inoltre, il regime della prorogatio è stato limitato soltanto a 45 giorni dopo la scadenza. Durante questo lasso di tempo, gli organi scaduti possono continuare ad adottare soltanto gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti urgenti per i quali non è possibile differirne la realizzazione.

Parte della dottrina, sulla base di queste indicazioni normative, sosteneva che tutti quei provvedimenti posti in essere dal dipendente dopo la scadenza del mandato o dell’incarico affidatogli erano totalmente invalidi. Pertanto, durante i 45 giorni di proroga, il soggetto che poneva in essere gli atti previsti della legge doveva essere considerato quale vero e proprio funzionario di diritto e, dunque, questi atti erano pienamente validi ed efficaci. Egli godeva, dunque, di una investitura pienamente valida e una piena legittimazione, sebbene limitata agli atti appena sopra individuati. Diversamente, qualora il funzionario avesse agito violando le condizioni e i presupposti di legge oppure ponesse in essere atti dopo la scadenza dei 45 giorni, allora egli agirebbe come “funzionario di fatto”, in quanto soggetto del tutto privo della regolare investitura e della legittimazione ad agire. Cessata la prorogatio, comunque, qualora il funzionario continuava a porre in essere attività amministrativa, allora la sua figura si avvicinerebbe sempre più all’usurpatore di pubbliche funzioni, da cui la nullità degli atti eventualmente posti in essere[22].

Sulla base di queste considerazioni, è stato ulteriormente ribadito che non sarebbe possibile dare una definizione univoca e precisa di funzionario di fatto, poiché essa si compone di molteplici ed eterogenee fattispecie, difficilmente riconducibili ad unità. Difatti l’approccio tradizionale, volto a ricostruire in maniera unitaria tale figura, finiva per andare incontro a numerosi limiti, poiché si finiva per spostare l’attenzione dalla attività svolta al soggetto che agiva. Proprio per tale ragione, tale approccio è da ritenersi ormai superato in quanto sia nell’ambito del diritto amministrativo sia nell’ambito del diritto penale, il Legislatore ha dimostrato di preferire una concezione oggettiva di attività amministrativa, di funzione o servizio pubblico.

Queste considerazioni hanno spinto autorevoli opinioni a ritenere che il concetto di “funzionario di fatto” sia una espressione meramente descrittiva; può, dunque, essere considerato una categoria generale all’interno della quale possono essere ricondotte numerose ipotesi e figure, ognuna delle quali ha proprie caratteristiche e profili di criticità[23]. Proprio per questo ragione, si ritiene che il concetto di funzionario di fatto costituisce un vero e proprio espediente lessicale, ossia una “sintesi verbale”[24].

3. Il difetto di legittimazione

Parte della dottrina, dunque, ha osservato che la teoria del funzionario di fatto è strettamente connessa al difetto di competenza. Ciò si verificherebbe, in particolare, in due ipotesi: quando l’atto amministrativo viene realizzato da un soggetto privo di investitura oppure quando l’atto di investitura è inefficace o viziato[25].

Il difetto di legittimazione, in entrambe le suddette forme, comporta una situazione di apparenza iuris. Ciò significa che si viene a creare una situazione di apparenza: la situazione giuridica riguardante il funzionario non coincide con la situazione reale. Se il privato si trova in una situazione di buona fede soggettiva, che non dipende da ignoranza colposa, allora matura nei suoi confronti un affidamento incolpevole e ragionevole[26].

Tuttavia, è stato anche affermato che la tutela di questo affidamento del privato non si può spingere fino a immaginare un obbligo giuridico di agire contro il fatto proprio.  Occorre, invece, valutare tutti gli interessi che entrano in gioco e che sono connessi a questa situazione da cui ha origine l’affidamento.

Inoltre, è stato correttamente osservato che l’affidamento del privato non costituisce un vero e proprio principio giuridico che guida la funzione procedimentale e l’attività amministrativa. Ciò non significa assolutamente che l’affidamento è privo di rilevanza giuridica: essa diviene una regola del caso concreto che può (ma non deve per forza) integrare e orientare la decisione della P.A. In ogni caso, la tutela del legittimo affidamento presuppone un nuovo modo di intendere la relazione tra il privato e l’amministrazione. Tale relazione deve essere orientata a tutelare la fiducia dei cittadini, soprattutto nel caso in cui un determinato atto ampliativo della sfera giuridica del privato sia stato posto in essere in aperta e manifesta violazione delle regole proprie della stessa amministrazione[27].

Ciò significa, insomma, che la teorica del funzionario di fatto può essere invocata soltanto a vantaggio di terzi e non nei confronti dell’amministrazione procedente, al fine di garantire la continuità dell’azione amministrativa e tutelare proprio l’affidamento del soggetto privato che, senza colpa ed in totale buona fede, ha considerato pienamente valido l’esercizio di quegli specifici poteri pubblici[28].

Queste considerazioni sono state ben espresse anche dalla giurisprudenza amministrativa[29]. Sul punto, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che la teoria del funzionario di fatto trova il proprio fondamento nella esigenza di garantire i diritti dei terzi che entrano in contatto con la pubblica amministrazione. Da qui, la necessità di tutelare la buona fede del privato intesa in senso soggettivo, soprattutto nel caso in cui l’attività pubblica si esplica e concretizza in atti favorevoli per il privato stesso. Pertanto, viene in rilievo non soltanto la necessità di garantire la continuità dell’azione amministrativa, ma anche la necessità di non intaccare un certo assetto di rapporti giuridici ormai consolidati. In questo senso, l’istituto risponde anche al principio della certezza del diritto[30].

Sulla base di queste considerazioni, emerge un altro dato importante. Difatti, è necessario prendere in considerazione il canone della buona fede che, di recente, è stato considerato quale regola che deve guidare l’azione della P.A. Si rammenti, infatti, che la Legge 120/2020 ha aggiunto un nuovo comma all’art. 1 della Legge n. 241/1990. Si tratta del comma 2-bis secondo cui: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”. A tale proposito, in maniera quasi del tutto pacifica, la più recente dottrina è concorde nel ritenere che la buona fede costituisce un principio regolatore dell’azione amministrativa, che si applica non soltanto quando essa agisce iure privatorum, ossia nei rapporti paritari, ma anche nei rapporti pienamente pubblicistici. Dalla regola della buona fede, intesa in senso oggettivo, deriva l’obbligo per l’amministrazione di porre in essere una condotta pienamente conforme a legge, volta a garantire non soltanto la cura dell’interesse pubblico primario ma anche la fiducia con i soggetti privati e la certezza del diritto[31].

4. Differenza tra funzionario di fatto e usurpatore di funzioni pubbliche

Sulla base di questa ricostruzione, è possibile adesso distinguere il funzionario di fatto dall’usurpatore di funzioni pubbliche. Difatti, soprattutto in passato, parte della dottrina aveva finito per assimilare questi due istituti, affermando che tra gli stessi vi fosse un rapporto di specialità. In particolare, si affermava che la figura del funzionario di fatto costituirebbe il genus, mentre quella dell’usurpatore una species.

Secondo un’altra ricostruzione, invece, tra le due figure vi sarebbe una certa affinità, ossia una somiglianza morfologica, sebbene la figura del funzionario di fatto sia stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, mentre quella dell’usurpatore sia stata disciplinata proprio dal Legislatore[32].

Detto ciò, appare quanto mai necessario distinguere nettamente l’usurpatore di funzioni pubbliche dal funzionario di fatto. Al fine di operare questa distinzione, occorre prendere in considerazione la fattispecie di quella articolo 347 c.p[33].

Punto cruciale del delitto in oggetto è l’impossessamento di una funzione pubblica. Tale aspetto ha dato origine ad un ampio dibattito all’interno della giurisprudenza e della dottrina penalistica.  Per i profili che riguardano l’odierna trattazione è opportuno considerare la tesi per cui la funzione pubblica è immateriale. Pertanto, l’impossessamento si realizza pienamente soltanto qualora vengano compiuti specifici e puntuali atti espressione della funzione pubblica[34].

Più nello specifico, parte della dottrina penalistica ritiene che con il concetto di usurpazione si fa riferimento alla appropriazione abusiva delle funzioni o delle attribuzioni pubbliche, a prescindere dalla mera attribuzione del titolo o della qualifica pubblicistica. Ciò significa che ai fini della configurabilità del delitto in questione è necessario che vi sia un concreto ed effettivo esercizio di funzioni pubbliche, che debbono essere espletate dall’agente in modo assolutamente indebito, ossia senza la necessaria investitura formale. Tuttavia, ciò non è sufficiente poichè è anche necessario che vi sia un esercizio di poteri per fini propri, ossia per fini del tutto contrastanti con quelli della pubblica amministrazione[35].  Sulla base di questa ricostruzione, è stato sottolineato che con il concetto di usurpazione si fa riferimento alla presa di possesso di una funzione pubblica che avviene con inganno, con la violenza, o quantomeno in modo del tutto arbitrario. Sicuramente, l’assenza di presupposti di legittimazione, per esempio un atto interno di assegnazione, può essere considerata come un indice di abusività.

Sotto l’aspetto soggettivo, si ritiene che l’agente possa essere qualsiasi pubblico ufficiale. Inoltre, è richiesto il cosiddetto dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di appropriarsi di funzioni pubblicistiche, causando un danno alla pubblica amministrazione[36].  In particolare, in capo all’agente deve sussistere la consapevolezza e la volontà di agire arbitrariamente contro l’amministrazione e a proprio vantaggio[37].

Tuttavia, è stato anche affermato che è difficile individuare con precisione l’elemento soggettivo in capo alla stessa Pubblica Amministrazione. Ciò perché, la volontà della pubblica amministrazione deve essere intesa come volontà procedimentale, mentre i singoli stati soggettivi del funzionario sono del tutto irrilevanti. Tra l’altro, appare troppo semplicistico ritenere che l’usurpatore è colui che agisce dolosamente, mentre il funzionario di fatto è colui che agisce in buona fede. Per tali ragioni si ritiene che sia preferibile distinguere i due istituti sulla base dei meri elementi di carattere oggettivo. In ogni caso, anche sulla base del solo elemento oggettivo, sarebbe ben evidente la differenza tra l’usurpatore e il funzionario di fatto. Infatti, l’usurpatore agisce non soltanto in assenza di qualsiasi legittimazione ma anche in contrasto con l’ordine precostituito e con i principi fondamentali dell’azione amministrativa, proprio al fine di perseguire interessi del tutto propri. Diversamente, nel secondo caso (ossia nell’ipotesi in cui ricorra il funzionario di fatto), occorre invece valutare proprio la condotta materiale, le condizioni oggettive, insieme al contesto in cui viene esercitata la funzione pubblica[38].

A tale proposito, alcuni autori hanno ulteriormente affermato che l’usurpatore provoca un vero e proprio vulnus all’interno dell’organizzazione pubblica.  Tuttavia, è stato anche osservato che non sempre un soggetto privato usurpa funzioni pubbliche al fine di cagionare un danno alla P.A. o per trarre un ingiusto profitto. Difatti, spesso costui si è trovato nella suddetta posizione al fine di sostituire un pubblico funzionario del tutto assente o incapace di intervenire. In questo caso, l’usurpatore è mosso da un palese stato di necessità: proprio la situazione contingente giustifica l’uso esclusivo di poteri pubblicistici da parte di un soggetto privato[39].

Sotto questo aspetto, è stato affermato che la necessità può essere considerata come una condizione particolare, in grado di produrre diritto e integrare l’ordinamento positivo, fornendo una regola specifica del caso proprio e una normativa speciale che permette di risolvere la situazione in concreto. Tuttavia, occorre anche ricordare che, attualmente, la necessità non può giustificare sempre e comunque l’usurpazione di funzioni pubbliche[40].

Queste riflessioni hanno portato parte della dottrina anche ad interrogarsi sulla possibilità che i due istituti sussistano nella medesima fattispecie concreta e in capo al medesimo soggetto. A tale proposito, alcuni autori hanno ritenuto che diritto penale e diritto amministrativo sono oggettivamente e funzionalmente branche del diritto pubblico ben distinte e, dunque, sono regolati da regole proprie. Ciò significa che, in astratto, sarebbe possibile che funzionario di fatto e usurpatore coincidano in capo al medesimo soggetto. Questo si potrebbe verificare, ad esempio, nel momento in cui l’attività amministrativa svolta integra gli estremi di un illecito penale, attraverso l’appropriazione di funzioni da parte dell’usurpatore e l’esercizio di un pubblico potere privo di qualsiasi legittimazione, volto fondamentalmente a soddisfare interessi del tutto privatistici[41]. Questa ricostruzione trova tra il suo fondamento nel fatto che il concetto di usurpazione è particolarmente ampio e ricomprende in sé tutti quegli atti posti in essere da un funzionario/dipendente attraverso cui lo stesso esercita un potere pubblico per fini propri e non per curare e realizzare l’interesse pubblico primario.  All’interno di questo contesto, ad esempio, tale ipotesi si realizzerebbe in caso di abuso d’ufficio[42].

Secondo un’altra opinione di pensiero, invece, i due istituti sarebbero tra di loro profondamente diversi. Difatti, uno (l’usurpazione) è l’atto attraverso cui indebitamente si invade il potere pubblico, concretizzando un illecito penale; l’altro (lo svolgimento di attività amministrative di fatto), invece, sarebbe un atto che, sebbene arbitrario, non è illecito e quindi sarebbe potenzialmente soggetto a conservazione[43].

Sulla base di queste due diverse tesi, la dottrina più recente ha ritenuto che non sarebbe possibile individuare nella medesima fattispecie i due istituti giuridici. Ciò in quanto, sebbene tra di essi vi sia una certa affinità che non può essere smentita, essi rimangono comunque differenti e quindi soggetti a due discipline giuridiche completamente diverse[44].

Difatti, è stato osservato che l’usurpatore offende l’amministrazione in quanto tale, integrando gli estremi di un illecito penale che altrimenti non sussisterebbe[45]. Pertanto, non sarebbe possibile riconoscere validità ed efficacia agli atti posti in essere da quest’ultimo. Da qui, la piena incompatibilità ontologica tra la figura del funzionario di fatto e quella dell’usurpatore di funzioni pubbliche[46].

Questa diversità viene spiegata anche alla luce tre diversi aspetti.

I – Il primo aspetto riguarda il regime degli atti posti in essere. Sul punto è stato osservato che non è possibile convalidare gli atti posti in essere dall’ usurpatore. Opinare diversamente significherebbe introdurre una sorta di “legalizzazione successiva”, che in realtà può essere realizzata soltanto dal Legislatore, ma non dall’amministrazione. Pertanto, la prima differenza tra le due figure attiene alla diversa disciplina circa le sorti degli atti posti in essere[47].

La problematica relativa all’efficacia degli atti posti in essere dal funzionario di fatto viene ricostruita sulla base di una sorta di doppio binario.  Da una parte, tali atti possono essere soggetti al sindacato interno dell’amministrazione competente, che può valutare se conservare l’atto, alla luce sia dell’affidamento del privato sia dell’interesse al mantenimento della situazione giuridica consolidatasi. Dall’altra, occorre prendere in considerazione anche la possibilità che il medesimo atto venga impugnato in sede giurisdizionale, facendo valere proprio il vizio dell’investitura.  Alla luce di ciò, la dottrina maggioritaria in modo pacifico afferma che gli atti posti in essere dal funzionario di fatto sono pienamente validi ed efficaci, sebbene annullabili[48]. Diversamente, invece, gli atti posti in essere dell’usurpatore non possono in alcun modo essere conservati, proprio perché caratterizzati da una illegittimità ontologica e da una coloritura penalistica. Sebbene questa ricostruzione è ormai pacificamente condivisa, diverse sono le soluzioni prospettate in dottrina al fine di escludere l’efficacia e la rilevanza degli atti dell’usurpatore.

Secondo alcuni, tali atti sono semplicemente inesistenti, ossia non sorge nessun alcun atto amministrativo[49].

Secondo un’altra ricostruzione, l’atto sarebbe esistente ma nullo, quindi del tutto inidoneo a produrre i suoi effetti: esso sarebbe assolutamente privo dei requisiti essenziali richiesti dall’art. 21 septies della legge 241/1990 e ricostruiti dalla dottrina maggioritaria[50].

Secondo un’altra tesi, invece, l’atto posto in essere dal l’usurpatore non avrebbe alcuna rilevanza nei confronti dell’amministrazione di appartenenza. In ogni caso, si tratta di un atto esistente ma posto in essere al di fuori della sfera giuridica e della competenza propria di quella amministrazione e, quindi, nei confronti di quest’ultima del tutto irrilevanti[51].

Invero, è stato osservato che nessuna di queste ricostruzioni è pienamente soddisfacente, in quanto l’attività dell’usurpatore fa sorgere anche una responsabilità da danno erariale, da fare valere dinanzi alla Corte dei Conti. Pertanto, non sarebbe del tutto corretto ritenere l’inefficacia e l’irrilevanza assoluta di questi atti nei confronti della stessa pubblica amministrazione[52].

II – Un ulteriore questione problematica, che permette di distinguere ulteriormente la figura dell’usurpatore da quella del funzione di fatto, riguarda l’eventuale imputazione degli atti posti in essere alla amministrazione di appartenenza.

Su tale profilo, parte della dottrina ritiene che gli atti posti in essere dell’usurpatore sono caratterizzati da una chiara volontà di stampo privatistica: proprio per questa ragione tali atti devono necessariamente essere imputati a quest’ultimo. Pertanto, non nascerebbe nessun rapporto di immedesimazione o imputazione organica nei confronti dell’usurpatore[53]. Sulla base di queste considerazioni è stato anche affermato che gli atti dell’usurpatore costituiscono un esempio di negozio giuridico unilaterale. Tale inquadramento è molto importante in quanto permette di individuare e applicare la conseguente disciplina sanzionatoria. Pertanto, punti di riferimento normativi sono gli articoli 1346 e 1418 c.c., che stabiliscono che l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato quantomeno determinabile. Della mancanza dell’oggetto o da uno dei difetti sopra elencati ne deriva la nullità dell’atto[54].

Queste riflessioni hanno ulteriormente spinto la dottrina amministrativa a ritenere che l’atto dell’usurpatore è affetto da impossibilità giuridica originaria propria per indisponibilità dell’oggetto[55]. Pertanto, anche da questo punto di vista la posizione dell’usurpatore si distingue nettamente rispetto a quella del funzionario di fatto, poiché in questa ultima ipotesi il rapporto di imputazione organica si costituisce effettivamente, sebbene in via del tutto fattuale[56].

III – In terzo e ultimo luogo, i due istituti sarebbero non solo funzionalmente ma anche strutturalmente diversi l’uno dall’altro[57].  A tale proposito, è stato osservato che nel caso di usurpazione di una pubblica funzione non vi è assolutamente alcun rapporto di servizio tra il soggetto attivo del reato e l’amministrazione.  Diversamente, nei confronti del funzionario di fatto, si costituisce un rapporto di servizio, che prescinde dall’investitura ritenuta invalida. Pertanto, gli atti posti in essere dal funzionario di fatto sono astrattamente gli atti di quello specifico organo e di quella specifica amministrazione a cui funzionario appartiene[58].

 


[1] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 240 – 241.
[2] Ivi, pp. 246 – 248.
[3] Ivi, pp. 244 – 245.
[4] Ivi, pp. 372 – 373.
[5]I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.”
[6]Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
[7] ROSSINI P., Considerazioni sulle esternalizzazione delle funzioni amministrative e nelle autonomie locali, in Diritto&Diritti, 2001.
[8] CESARINI L. – GRIMALDI A., La nozione di funzionario di fatto: presupposti e limiti, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, 15 e ss.
[9] PEPE G., Atti giuridici e principio di conservazione, in Amministrativamente – Rivista di diritto amministrativo, Fascicolo 1 – 2/2015, pp. 16.
[10] LIUZZO A., Il funzionario di fatto e la tutela del legittimo affidamento dei privati, in Giustizia Amministrativa, 2009.
[11] LUBRANO F., voce Funzionario di fatto, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1969, pp. 285.
[12] Ibidem.
[13] MERUSI F., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Milano, 2001, pp. 115 ss.
[14] GAROFALI R. – FERRARI G., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, pp. 120 ss.
[15] Corte dei Conti, n. 9/2001.
[16] CESARINI L. – GRIMALDI A., La nozione di funzionario di fatto: presupposti e limiti, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 22 – 23.
[17] Ivi, pp. 24 – 25.
[18] Ivi, pp. 28 – 29.
[19] GIANNINI M.S, Diritto amministrativo, Milano, 1993, pp. 292 -293.
[20] Consiglio di Stato n. 171/1954.
[21] ALESSI R., Principi di diritto amministrativo, Milano, 1974, pp. 110 ss.
[22] CESARINI L. – GRIMALDI A., La nozione di funzionario di fatto: presupposti e limiti, in Il funzionario di fatto ( a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 31.
[23] Ivi, pp. 32.
[24] CAVALLO B., Profilo storicistico di una metodica organizzata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 13.
[25] VILLANI M. – STEFANIZZI C., L’ esercizio delle funzioni pubbliche essenziali ed indifferibilità della pubblica amministrazione tra buona fede e legittimo affidamento: la validità ed efficacia diretta ed immediata nei confronti dei terzi degli atti del funzionario di fatto in rapporto all’interpretazione delle norme erariali, in Giustizia Amministrativa, pp. 3.
[26] Ibidem; Tar Lazio Roma II, n. 22550/2012.
[27] ANTONELLI V., Contatto e rapporto nell’agire amministrativo, Padova, 2007, pp. 219.
[28] Ibidem.
[29] Consiglio di Stato n. 853/1999.
[30] Ibidem.
[31] VILLANI M. – STEFANIZZI C., L’ esercizio delle funzioni pubbliche essenziali ed indifferibilità della pubblica amministrazione tra buona fede e legittimo affidamento: la validità ed efficacia diretta ed immediata nei confronti dei terzi degli atti del funzionario di fatto in rapporto all’interpretazione delle norme erariali, in Giustizia Amministrativa, pp. 1 – 2.
[32] Cfr. PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 45 – 65.
[33]Chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a un pubblico impiego è punito con la reclusione fino a due anni. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o impiegato il quale, avendo ricevuto partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le sue funzioni o le sue attribuzioni, continua ad esercitarle. La condanna importa la pubblicazione della sentenza.
[34] Ivi, pp. 45 – 46.
[35] GAROFALI R., Compendio di diritto penale parte speciale, Nel diritto Editore, 2021, pp. 54 ss.
[36] GAROFALI R., Compendio di diritto penale parte speciale, Nel diritto Editore, 2021, pp. 54 ss.
[37]  PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 47 – 48.
[38] Ivi, 49 – 50.
[39] CAVALLO B., Profilo storicistico di una metodica organizzata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 5.
[40] Ibidem.
[41] GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993, pp. 292 e ss.
[42] GAROFALI R., Compendio di diritto penale parte speciale, Nel diritto Editore, 2021, pp. 54 ss.
[43] LUCIFREDI R., Notes per una analisi dell’azione di fatto della pubblica amministrazione, in M.E. LUCIFREDI PETERLONGO, R. LUCIFREDI, Contributi allo studio dell’esercizio di fatto di pubbliche funzioni, Milano, 1965, pp. 124 e ss.
[44] PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 50 – 52.
[45] PAGLIARO A., Usurpatore di funzioni pubbliche, in Enciclopedia del diritto, XLIV, Milano, 1992, pp. 1158.
[46] PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 55.
[47] Ibidem.
[48] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 245 e ss.
[49] BARTOLINI A., La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002, pp. 145.
[50] VITTA C., Il funzionario di fatto, in Rivista di diritto pubblico, Vol. I, 1923, pp. 491.
[51] Corte di Cassazione n.  382/1967.
[52] PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 58.
[53] Ibidem.
[54] BARTOLINI A., La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002, pp. 145 e ss.
[55] Ibidem.
[56] GHERGHI V., Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza,1989, pp. 2576.
[57] PORENA D., L’usurpatore di pubbliche funzioni, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 57.
[58] CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002, pp. 141.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Veronica Schirripa

Dott.ssa Veronica SchirripaLaureata presso l'Università degli studi di Catania nel 2018 con Tesi sperimentale in diritto penale “Il reato di Tortura tra fonti sovrannazionali e diritto interno" (relatrice: Prof. Rosaria Sicurella). Durante il percorso accademico, la grande passione per i diritti umani e il diritto internazionale l'ha spinta a partecipare ad uno stage al palazzo delle Nazioni Unite (New York) in occasione del CWMUN 2016, organizzato dall'associazione Diplomatici, nella qualità di delegate as Namibia; ad assistere nel 2017 alle discussioni del Parlamento Europeo sul tema della lotta alla criminalità e agli hate speeches. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali e Forensi di Catania “A. Galati", conseguendo il Diploma nel 2020 con tesi di Diritto Civile “Gli obblighi del sanitario" (Relatore: prof Giovanni Di Rosa). Durante il percorso post-accademico ha svolto un periodo di stage presso la Procura Generale della Repubblica, presso la sede di Catania. Abilitata all'esercizio della professione forense. Svolge l'attività di consulente presso lo Studio Di Paola & Partners.

Articoli inerenti