L’incidenza del Covid-19 sui rapporti contrattuali
L’oramai riconosciuta pandemia del Coronavirus, cosiddetta COVID-19, oltre che determinare un’emergenza sanitaria di enorme portata, ha inciso in maniera negativa in ogni settore del nostro ordinamento, incluso quello giuridico.
Non c’è da stupirsi, difatti, se nell’ultimo periodo vi sia stato un incremento di casi di scioglimento di contratti, sospensione di canoni di locazione o disdette, problemi di ritardi o impossibilità di consegnare merci, richieste di indennizzi e rimborsi, o, più semplicemente, casi di impossibilità di tener fede agli obblighi contrattuali assunti.
Tra i danni da imputare al COVID-19, dunque, devono altresì annoverarsi tutte quelle questioni giuridiche in grado di compromettere la solidità degli accordi commerciali.
Bisogna ricordare che uno dei principi fondamentali del diritto civile e del diritto internazionale è quello che recita “Pacta sunt servanda”, locuzione latina che si traduce nella frase “i patti devono essere osservati”; da ciò si desume l’impossibilità di liberarsi unilateralmente dagli obblighi assunti mediante contratto.
Nel diritto civile tale brocardo sintetizza il principio del carattere vincolante del contratto stabilito dall’art. 1372 del codice civile, in virtù del quale “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Pertanto, posto che entrambe le parti di un contratto sono tenute ad adempiere alle proprie prestazioni, cosa succede nelle ipotesi in cui ciò diventa impossibile a causa di un evento di forza maggiore?
Prima di rispondere a tale interrogativo occorre chiarire in maniera specifica cosa si intende per “forza maggiore” e se in tale concetto possa rientrare la pandemia di cui qui si discute.
In primis, la nozione di “forza maggiore” si rinviene in alcune fonti internazionali:
– Nella Convenzione di Vienna, all’art. 79, co.1, secondo cui “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”;
– Negli UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts all’art. 7.1.7 che testualmente recita “Non-performance by a party is excused if that party proves that the non-performance was due to an impediment beyond its control and that it could not reasonably be expected to have taken the impediment into account at the time of the conclusion of the contract or to have avoided or overcome it or its consequences” (traduzione: L’inadempimento di una parte è scusato se quest’ultima dimostra che l’inadempimento era dovuto a un impedimento al di fuori del suo controllo e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo tenesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze).
– Nei Principles of European Contract Law all’art. 8.108;
Non manca il riferimento all’istituto de quo neanche in molti sistemi giuridici stranieri, sia di tradizione di civil law, come ad esempio quello francese (in cui mediante un progetto di riforma del codice civile, l’Avant-Projet Français de Réforme du Droit des Obligations et de la Prescriptions, uno degli obiettivi perseguiti è quello di inserire una definizione del concetto di force majeure nell’art. 1349 c.c.), quello russo (art. 401, par. 3, del codice civile, secondo cui la forza maggiore è definita come “una circostanza straordinaria, impossibile da prevedere”) o quello cinese (La Contract Law cinese all’art. 117, co. 2 sostiene che una situazione può essere valutata come forza maggiore solo quando sia “imprevedibile, inevitabile e insormontabile”), sia di tradizione di common law, come ad esempio nel Tennessee (in cui la legge considera avvenimenti di forza maggiore solo i cosiddetti “atti di Dio”, escludendo tutte quelle situazioni, pur sempre imprevedibili e straordinarie, ma dipese dalla volontà dell’uomo).
Venendo ora all’ordinamento italiano, si sottolinea come in esso manchi una espressa e precisa definizione di “forza maggiore”, rendendosi così necessario il rinvio ad alcune fattispecie normative in cui l’istituto assume rilevanza.
Il riferimento va, in primo luogo, all’art. 1467 c.c., il quale, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, riconosce la facoltà di domandare la risoluzione del contratto alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, e all’art. 1463 c.c., che disciplina l’impossibilità totale sopravvenuta della prestazione statuendo che la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità non può chiedere l’esecuzione della controprestazione e deve restituire ciò che eventualmente ha già ricevuto.
In particolare, l’art. 1463 c.c. afferisce a tutte quelle vicende in cui sussiste un’impossibilità oggettiva alla prestazione, ovverosia un’impossibilità che deriva da accadimenti imprevedibili e ingestibili da parte del debitore e del tutto estranei alla sua volontà.
Ancora, vengono in rilievo, in materia di inadempimento contrattuale, l’art. 1256 c.c. e l’art. 1218 c.c.: il primo prevede l’estinzione dell’obbligazione in capo al debitore nel caso in cui la prestazione sia divenuta impossibile da eseguire per una causa a lui non imputabile, mentre il secondo sancisce in capo al debitore inadempiente o in ritardo nell’esecuzione della prestazione l’obbligo di risarcire il danno salvo che non provi che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Entrambe le norme, dunque, si occupano dell’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione a causa di un evento non imputabile al debitore, ma la prima sotto il profilo dell’estinzione del rapporto obbligatorio mentre la seconda sotto il diverso profilo dell’esonero del debitore dalla responsabilità da inadempimento.
Come può facilmente notarsi, tutte queste norme esaminano e regolano, in maniera differente e sotto diversi aspetti, ipotesi in cui una parte del rapporto obbligatorio o del rapporto contrattuale non possa eseguire la prestazione stabilita a causa di un evento, imprevedibile e impossibile da dominare, cosiddetto di “forza maggiore”.
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro, innanzitutto, che la pandemia da Covid-19 debba rientrare nelle cause di forza maggiore; la certezza di tale assunto è comunque confermata dall’art. 79 del D.L. 17 marzo 2020, n.18, il quale non lascia spazio a diverse interpretazioni laddove prevede che “l’epidemia da COVID-19 è formalmente riconosciuta come calamità naturale ed evento eccezionale”.
Le argomentazioni finora esposte ci permettono di rispondere anche all’interrogativo posto in principio, e cioè: cosa succede quando il contratto non può essere adempiuto da entrambe le parti in ragione di un accadimento di forza maggiore (nel nostro caso il covid-19)?
La soluzione non è unica, potendo le parti, a seconda della fattispecie concreta, ricorrere a diverse alternative: la risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c., laddove, come abbiamo detto prima, la prestazione è totalmente impossibile da eseguire, ma anche la sospensione del contratto, qualora, specialmente nell’ambito dei contratti internazionali di fornitura e distribuzione, l’interesse prevalente delle parti è quello di conservare la relazione esistente, e ancora la rinegoziazione del contratto, tipico strumento per riequilibrare le prestazioni o adattare il contratto alla realtà.
Non potendo, pertanto, esaminare aprioristicamente ogni fattispecie contrattuale, è ragionevole concludere che eventuali impedimenti all’esecuzione degli obblighi contrattuali assunti causati dalle misure di prevenzione generale volte al contenimento del Covid-19 debbano essere valutate caso per caso e con la massima cautela, per comprendere quale sia la disciplina più corretta da applicare, anche e soprattutto alla luce degli interessi coinvolti.
Discorso diverso deve, invece, essere fatto in relazione, specificatamente, ai contratti di trasporto aereo, ferroviario e marittimo, ai contratti di pacchetto turistico, ai contratti di soggiorno ed infine ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura e biglietti di ingresso ai musei e altri luoghi della cultura.
Difatti, con una serie di Decreti-Legge susseguitisi nell’ultimo mese, il Governo, tra le altre cose, ha attentamente disciplinato l’argomento, probabilmente al fine di prevenire eventuali contrasti dovuti alla cancellazione di voli ed eventi, nonché ai divieti di assembramento.
In particolare, con il D.L. 2 marzo 2020, n.9, all’art. 28 rubricato “Rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici”, il legislatore si è occupato dei contratti di trasporto aereo, ferroviario e marittimo nei commi da 1 a 4, dichiarando ex lege la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta ai sensi dell’art. 1463 c.c. e, conseguentemente, la risoluzione del contratto, riconoscendo in capo ai soggetti interessati (indicati al comma 1 del medesimo articolo) il diritto di ottenere o il rimborso del corrispettivo versato per il titolo di viaggio o l’emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall’emissione.
Nello stesso articolo, dal quinto comma in poi, il legislatore si sofferma, altresì, sui contratti di pacchetti turistici, operando un rimando all’art. 41 del D.Lgs. 23 maggio 2011, n.79 (codice del turismo), il cui comma 4 prevede che “In caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione, il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto, senza corrispondere spese di recesso, ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare”.
Pertanto, secondo il decreto, in caso di recesso l’organizzatore potrà offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, potrà procedere al rimborso del prezzo pagato, oppure potrà emettere un voucher di importo pari al rimborso spettante.
Con l’art. 88 del D.L. 17 marzo 2020, n.18 è stato stabilito che la disciplina, appena esaminata, prevista dall’art. 28 debba essere applicata anche ai contratti di soggiorno per i quali si sia verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito dei provvedimenti adottati a causa del Covid-19; ciò significa che alle stesse conseguenze soggiace il titolare della struttura alberghiera nei qualora il cliente receda, a causa del covid19, dal periodo di soggiorno già prenotato.
Infine, il comma 2 dell’art. 88 D.L. 17 marzo 2020, n.18, si sofferma sui contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura e biglietti di ingresso ai musei e altri luoghi della cultura, prevedendo, anche in questo caso, la sopravvenuta impossibilità della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c. e, logicamente, il diritto al rimborso del prezzo o all’emissione di un voucher di pari valore.
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Alessandra Catalano
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