L’incostituzionalità dei limiti al bilanciamento nei casi di recidiva reiterata: il concorso anomalo nel reato ex art. 116 c.p., sulla base della pronuncia della Consulta n. 55/2021
Sommario: 1. Premessa – 2. La posizione della Consulta in ordine al divieto di prevalenza delle attenuanti in caso di recidiva reiterata – 3. Il concorso anomalo nel reato e la circostanza attenuante di cui all’art. 116 c.p. – 4. L’ordinanza di rimessione alla Consulta – 5. La pronuncia della Consulta n. 55/2021 – 6. Conclusioni
1. Premessa
La Corte Costituzionale con la sentenza del 25.02.2021, n. 55, depositata in data 31.03.2021, si è nuovamente pronunciata sui profili di incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p., nella parte in cui, nell’ambito del giudizio di bilanciamento tra circostanze del reato eterogenee, sancisce a priori il divieto di prevalenza delle attenuanti sulle ritenute aggravanti, qualora sia contestata all’imputato la recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4.
Come già avvenuto in occasione di precedenti pronunce, la Consulta, pur nel rispetto dell’autonomia del Legislatore nell’ambito delle scelte di politica criminale, non può esimersi dal rilevare che il divieto normativo previsto ai sensi dell’art. 69 co. 4 c.p., in relazione all’ipotesi di concorso anomalo nel reato, comporta una violazione del principio di proporzionalità della pena e conseguentemente della sua finalità rieducativa, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 27 co. 3 Cost.
2. La posizione della Consulta in ordine al divieto di prevalenza delle attenuanti in caso di recidiva reiterata
Come si è già avuto modo di evidenziare, la sentenza di cui in commento rappresenta soltanto l’ultima pronuncia in ordine cronologico in cui la Consulta è stata chiamata a valutare la costituzionalità della normativa censurata con riferimento ad altrettante circostanze attenuanti.
La ratio perseguita della Consulta in merito alle precedenti pronunce di incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p. è rappresentata dalla volontà di restituire al giudice, nell’ambito della sua insindacabile discrezionalità, la possibilità di riconoscere la prevalenza delle circostanze attenuanti, oggetto del giudizio di costituzionalità, rispetto alla recidiva reiterata.
Muovendosi infatti nel campo delle scelte di politica criminale rimesse alla discrezionalità del Legislatore, la possibilità per il Giudice delle Leggi di prevedere delle deroghe rispetto al regime ordinario di bilanciamento delle circostanze è consentita solo in ipotesi di previsioni legislative manifestatamente irragionevoli o frutto di mero arbitrio, non potendo in alcun modo la Consulta “determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale”[1].
Nello specifico, precedentemente, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art 69 co. 4 c.p. con riferimento a “circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva”[2], in quanto riferite ad attenuanti a effetto speciale ovvero che comportano una diminuzione della pena superiore a un terzo: così la “lieve entità” nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti[3]; la “particolarità tenuità” nel delitto di ricettazione[4]; la “minore gravità” nel delitto di violenza sessuale[5]; il “danno patrimoniale di speciale tenuità” nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito[6].
In un altro caso, la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza della circostanza dell’essersi il reo adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti fosse portato a conseguenze ulteriori, circostanza volta a valorizzare la condotta tenuta dall’imputato successivamente al fatto di reato[7].
Più recentemente il giudizio di incostituzionalità ha coinvolto la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p., espressiva non già di una minore offensività del fatto, quanto piuttosto di una ridotta rimproverabilità dell’autore derivante dal minor grado di discernimento[8].
La ratio comune alle citate pronunce è ravvisabile nel principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, principio che esige in via generale che la pena tenga conto sia dell’offensività del fatto di reato rispetto agli interessi tutelati sia del disvalore soggettivo espresso, ragion per cui occorre considerare tanto la volontà criminosa del soggetto agente quanto la presenza di fattori che influiscono sul suo iter motivazionale.
Oltre che nel rispetto del principio di proporzionalità della pena, la ratio perseguita è riscontrabile nella volontà di evitare ogni forma di violazione del principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost., violazione che viene a manifestarsi in presenza di uguali trattamenti sanzionatori applicati in casi connotati da un differente disvalore soggettivo, da intendersi non soltanto quale volontà criminosa o grado di dolo o colpa, ma quale presenza di fattori capaci di incidere sul processo motivazionale che ha portato alla commissione del reato e che pertanto meritano di essere adeguatamente valorizzati.
3. Il concorso anomalo nel reato e la circostanza attenuante di cui all’art. 116 c.p.
Ai sensi del primo comma dell’art. 116 c.p. si è in presenza di un concorso anomalo nel reato laddove il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, il quale è chiamato a rispondere del medesimo reato non voluto laddove l’evento sia conseguenza della sua azione od omissione.
L’ipotesi di cui all’art. 116 c.p. costituisce pertanto una forma di delitto aberrante, considerato che il soggetto agente è chiamato a rispondere di un fatto di reato diverso da quello rappresentato e voluto, per il sol fatto che sia ravvisabile un nesso di causa tra l’evento verificatosi e la condotta dallo stesso tenuta. Deve comunque trattarsi di un evento che non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti o meramente occasionali in quanto è richiesto un nesso ricollegabile eziologicamente alla condotta criminosa di base[9].
Trattasi pertanto di una forma di aberratio delicti ai sensi dell’art. 83 c.p., specificatamente individuata per le ipotesi di concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p., caratterizzata dalla circostanza per cui non è richiesto un errore nei mezzi di esecuzione del reato ma bensì è sufficiente che il reato sia voluto da almeno uno dei correi.
Considerata la non completa sovrapposizione tra condotta rappresentata e voluta e la condotta materialmente eseguita dal soggetto agente si individuano dei profili critici per quanto concerne il rispetto del principio di colpevolezza, aspetto su cui la dottrina ha assunto posizioni interpretative differenti.
Nonostante la Corte Costituzionale con la sentenza n. 42/1965 abbia respinto l’ipotesi che si tratti di una forma di responsabilità oggettiva pura, sottolineando come, nonostante la non completa rappresentazione, ai fini della responsabilità del soggetto agente, è necessario sia il rapporto di causalità materiale sia un coefficiente di colpevolezza, in quanto il reato diverso o più grave deve rappresentarsi nella mente del soggetto come sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, sono ancora riscontrabili in dottrina diverse interpretazioni sul significato da attribuire al nesso di causalità psichica.
Tale coefficiente, in ogni caso, non deve mai assumere natura di dolo, neanche nella forma del dolo eventuale, eventualità in cui il soggetto agente sarebbe chiamato a rispondere del fatto di reato ai sensi dell’art. 110 c.p., trattandosi di un’ipotesi tradizionale di concorso nel reato.
Tuttora la dottrina appare invece divisa tra coloro che sostengano che debba trattarsi di un’astratta prevedibilità del reato diverso, i quali rappresentano la corrente minoritaria, e coloro che ritengono che debba trattarsi di una prevedibilità in concreto da valutare in base alle singole circostanze del caso.
4. L’ordinanza di rimessione alla Consulta
La pronuncia di cui in commento trae origine dall’ordinanza del Tribunale ordinario di Firenze del 09.12.2019, iscritta al n. 129 del Registro delle ordinanze 2020, pubblicata in G.U. al n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Con la predetta ordinanza, il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 116, co. 2 c.p. sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 c.p. in riferimento agli artt. 3, 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost.
Il giudizio di merito verteva sulla condotta tenuta da due imputati del reato di cui agli artt. 110, 116 e 628 co. 2 c.p., per avere gli stessi, in concorso tra loro e previo concerto, sottratto dagli scaffali di un supermercato dei generi alimentari di modico valore e per aver successivamente usato violenza nei confronti della direttrice del negozio, spintonandola e strattonandola per un braccio, venendo bloccati, ancora in possesso della refurtiva, solo all’esterno del punto vendita dagli agenti di polizia intervenuti sul luogo.
L’ipotesi delittuosa sopradescritta integrava pertanto gli estremi della rapina impropria ed inoltre veniva contestata agli imputati la circostanza aggravante della recidiva reiterata a fronte dei numerosi precedenti penali riportati da ciascuno.
Accertata la responsabilità penale in capo ad entrambi gli imputati per i fatti ascrittigli, uno dei correi lamentava come non fosse stata tenuta a debito conto la circostanza per cui lui avesse programmato solo il furto, senza che fossero riscontrabili elementi tali da cui dedurre che avesse quanto meno previsto, a titolo di dolo eventuale, la rapina.
A tal proposito l’imputato evidenziava un primo profilo di criticità nel consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene la degenerazione del furto in rapina come conseguenza prevedibile della condotta, sul presupposto dell’esistenza del rapporto di causalità tra il furto programmato e la rapina impropria “poiché è del tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque guadagnare l’impunità”[10].
L’imputato lamentava inoltre il mancato riconoscimento di molteplici circostanze attenuanti a suo favore, in particolar modo quelle di cui agli artt. 62 co. 4 e 116 co. 2 c.p., dato il modico valore della merce sottratta e dell’offesa arrecata all’integrità fisica della vittima, oltre all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in virtù dell’entità della violenza, della natura dei beni oggetto della condotta delittuosa e delle condizioni economiche degli imputati.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il remittente evidenziava come, a suo parere fosse riscontrabile un profilo di incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p. nella parte in cui la norma impedisce il giudizio di prevalenza o di equivalenza delle circostanze attenuanti nel caso in cui sia contestata la recidiva reiterata, circostanza che, nel caso di specie, sotto il profilo della rilevanza, è da applicare in concreto, essendo sintomo di una maggiore pericolosità e colpevolezza.
Inoltre, veniva evidenziata la non incompatibilità della recidiva rispetto all’ipotesi di concorso anomalo nel reato, considerata la presenza di una volizione dolosa quanto meno per quanto concerne il reato meno grave.
Allo stesso tempo emergeva però la necessità di applicare le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla recidiva e nella loro massima estensione o in misura pressoché massima, come peraltro evidenziato dalla pubblica accusa in fase di conclusioni.
Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione posta, il rimettente osserva come il precetto di cui all’art. 69 co. 4 c.p. risulta viziato da una manifesta irragionevolezza sia in relazione al concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p. sia in caso di sussistenza di una pluralità di circostanze.
A detta del remittente, infatti, il divieto di prevalenza della circostanza di cui all’art. 116 co. 2 c.p. comporta uno snaturamento dell’intero istituto del concorso anomalo, la cui ratio è riscontrabile proprio nella diversità di trattamento tra i correi, in virtù del ruolo ricoperto da ciascuno, differenziazione che si rende necessaria ai sensi dell’art. 3 Cost.[11] al fine di valorizzare la diversa gravità dei reati. Il dettato di cui all’art. 69 co. 4 c.p. risulterebbe inoltre lesivo del dettato di cui all’art. 27 co. 3 Cost., in quanto il trattamento sanzionatorio per effetto del divieto di prevalenza della recidiva risulterebbe oltremodo eccessivo e ingiusto con violazione del canone della proporzionalità della pena rispetto alla condotta delittuosa tenuta. Il risultato di un trattamento sanzionatorio sproporzionato determinerebbe inoltre una violazione della finalità rieducativa della pena.
Un ulteriore profilo di incostituzionalità viene infine rinvenuto dal rimettente nella circostanza per cui, pur trattandosi di un caso in cui vi è la necessità di applicare le circostanze attenuanti in misura massima o prossima al massimo, in applicazione dei parametri di cui all’art. 133 c.p., tale applicazione è preclusa dal dettato di cui all’art. 69 co. 4 c.p., con l’effetto di determinare l’irrogazione di una pena del tutto sproporzionata rispetto alla condotta tenuta dal reo in violazione degli artt. 3, 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost.[12]
Nel proprio atto di costituzione in giudizio, l’Avvocatura dello Stato chiedeva che le questioni venissero dichiarate infondate evidenziando come, nelle precedenti pronunce sul tema, la Consulta avesse riscontrato profili di incostituzionalità solo in presenza di circostanze attenuanti ad effetto speciale, ragion per cui non sarebbe riscontrabile alcun trattamento sproporzionato in caso di contestazione della recidiva reiterata.
5. La pronuncia della Consulta n. 55/2021
La Consulta, in primo luogo, evidenzia come, in merito alla rilevanza del quesito sollevato, il remittente si sia uniformato al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la recidiva, seppur non obbligatoria, si giustifica in quanto il nuovo delitto commesso da chi ha già subito delle condanne per precedenti delitti non colposi sia espressivo del maggior grado di colpevolezza e pericolosità, oltre che della rimproverabilità della condotta tenuta, nonostante l’ammonimento individuale scaturente dalle precedenti condanne[13].
Oltre a dover valutare la maggiore rimproverabilità della condotta tenuta del reo, il giudice, sussistendo nel caso di specie l’ipotesi del concorso anomalo, non può non considerare l’orientamento giurisprudenziale esistente sul tema.
In particolare, la Consulta, con la pronuncia n. 42 del 1965, ha avuto modo di chiarire che la responsabilità in caso di concorso anomalo richiede la sussistenza non solo del rapporto di causalità materiale, ma anche di un coefficiente di colpevolezza in base al quale il concorrente anomalo si rappresenta nella psiche il reato diverso o più grave come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello concordato[14] o come possibile epilogo rispetto al fatto programmato[15].
La Consulta considera altrettanto rilevante la questione sollevata sulla base della condotta perpetrata dall’imputato, dalla quale emerge sia la sussistenza del nesso di causa tra il furto e la rapina impropria sia, quanto meno, l’elemento soggettivo della colpa, considerando che l’evento verificatosi è conseguenza prevedibile del furto, ragion per cui è opportuno procedere ad un accertamento in concreto della prevedibilità del fatto da parte del ricorrente.
Per quanto concerne il merito delle questioni sollevate, la Corte Costituzionale ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p. con riferimento agli artt. 3 e 27 co. 3 Cost, nella parte in cui pone il divieto di prevalenza della diminuente di cui all’art. 116 c.p. rispetto alla recidiva reiterata.
Pur essendo in presenza di una circostanza ad effetto comune, determinando una riduzione fino ad un terzo della pena per il concorrente chiamato a rispondere del reato più grave non voluto, la Consulta ricorda come il dettato di cui all’art. 69 co.4, introdotto con la Legge n. 251/2005, sia stato oggetto nel corso degli anni a numerose pronunce di incostituzionalità con lo scopo di restituire al giudice di merito, nell’ambito della sua insindacabile discrezionalità, la possibilità di riconoscere la prevalenza delle circostante attenuanti rispetto alla recidiva reiterata.
Fermo restando il consolidato orientamento del Giudice delle Leggi, secondo cui sono costituzionalmente ammissibili delle deroghe al regime ordinario di bilanciamento solo laddove non siano irragionevoli o frutto di mero arbitrio, non potendo la Corte “determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale”[16], la fattispecie di cui all’art. 69 co. 4 c.p. risulta del tutto in contrasto con i parametri evocati dal rimettente per ragioni ancora più stringenti di quelle che hanno portato alle precedenti dichiarazioni di costituzionalità.
Il concorso anomalo nel reato risponde infatti al principio generale della personalità della responsabilità penale ai sensi dell’art. 27 co. 1 Cost. e della conseguente preclusione di ogni forma di responsabilità oggettiva penale.
Se infatti nell’ipotesi di concorso di persone nel reato, tutti i correi rispondono del medesimo titolo di reato in quanto voluto da ciascuno a titolo di dolo, seppur con diversità di ruoli o di intensità, nell’ipotesi del concorso anomalo, il concorrente risponde del reato diverso da quello voluto in virtù del fatto che l’evento è comunque conseguenza della sua azione od omissione.
In questo modo il principio di responsabilità penale personale risulta leso quanto meno nella misura in cui tale disposizione richiede soltanto la sussistenza di un nesso di causa tra l’azione o l’omissione del correo, senza provvedere alla contestuale verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo.
Al fine di riequilibrare l’intero sistema, l’art. 116 c.p. prevede la riduzione della pena in capo al concorrente anomalo in modo tale da superare un dettato normativo considerato da parte della dottrina come foriero di una responsabilità oggettiva.
Per superare tale difficoltà interpretativa, la Consulta ha più volte affermato che, seppur in mancanza dell’elemento soggettivo del dolo, “è necessaria, per questa particolare forma di responsabilità penale, la presenza anche di un elemento soggettivo” ovvero di “un coefficiente di partecipazione anche psichica”. Detto in altri termini, è necessario che “il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi nella psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza”[17]. Prevedibilità che la giurisprudenza di legittimità ha identificato come prevedibilità in concreto.
La responsabilità del concorrente anomalo per il fatto di reato non voluto viene pertanto riscontrata nella circostanza per cui avrebbe dovuto prevedere che l’attuazione dell’accordo delittuoso sarebbe potuta sfociare in un reato diverso. Diversamente, qualora il correo abbia previsto l’evento diverso con accettazione del rischio, ricorre un’ipotesi di dolo eventuale ovvero di una responsabilità a titolo di concorso ai sensi dell’art. 110 c.p. e non ai sensi dell’art. 116 c.p.
Qualora il difetto di prevedibilità possa iscriversi in capo al correo a titolo di colpa, il trattamento sanzionatorio è quello proprio del reato doloso ai sensi dell’art. 116 c.p., ragion per cui si applica lo stesso trattamento previsto per il correo che ha commesso il reato “diverso”.
L’art. 116 c.p. presenta infatti un particolare rigorismo sanzionatorio, il quale si comprende meglio comparando tale normativa con quella di cui all’art. 83 c.p., norma che, al di fuori dell’ipotesi del concorso, stabilisce che se l’evento è diverso da quello voluto, l’agente è responsabile a titolo di colpa, solo nel caso in cui il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo, differenziazione che non viene effettuata nel caso di concorso anomalo, istituto giuridico che parifica la posizione del concorrente che non ha voluto l’evento al correo che agisce a titolo di dolo.
Dalle considerazioni che precedono si evince la necessità di diversificare la pena, così come previsto dall’art 116 c.p., non essendo corretto parificare il trattamento sanzionatorio in situazioni in cui si verifica un evento più grave di quello voluto. In questo modo, la pena per il correo che risponde a titolo di colpa di un reato doloso più grave di quello voluto è necessariamente riequilibrata attraverso l’operatività dell’attenuante.
L’art. 116 c.p. assurge pertanto ad elemento di tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie di responsabilità penale, in riferimento alla quale più volte la Consulta ha evidenziato la necessità di un intervento legislativo non ancora giunto.
La finalità di riequilibrio del trattamento sanzionatorio mostra pertanto il carattere peculiare dell’attenuante di cui all’art. 116 c.p., benché non si tratti di una circostanza ad effetto speciale. La scelta del legislatore di sanzionare con la pena prevista per l’ipotesi dolosa un rimprovero di natura colposa trova quindi un bilanciamento proprio nella previsione di cui all’art. 116 co.2 c.p., laddove prevede in caso di concorso anomalo una pena attenuata.
Ne deriva che il divieto di bilanciamento previsto dalla normativa censurata, nel caso in cui sia contestata la recidiva reiterata, frusta irragionevolmente gli effetti che l’art. 116 c.p. mira ad attuare, compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio, oltre a determinare una lesione del principio costituzionale di proporzionalità della pena.
Il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato infatti “esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo[18]. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile[19]”.
Da quanto sopra, ne deriva che la sproporzione della pena rispetto alla rimproverabilità del fatto posto in essere dal correo, globalmente considerato, conseguente al divieto di prevalenza censurato, determina un trattamento sanzionatorio che impedisce alla pena di esplicare la propria funzione rieducativa con violazione dell’art. 27 Cost.
L’art. 69, co. 4 c.p. risulta inoltre in contrasto rispetto al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. in quanto divieto che vanifica la funzione che l’attenuante di cui all’art. 116 co. 2 c.p. tende ad assicurare ovvero la necessità di sanzionare in modo diverso situazioni profondamente distinte sul piano dell’elemento soggettivo.
In conclusione, la Consulta rileva l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p., nella formulazione sostituita dall’art. 3 L. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116 co. 2 c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99 co. 4 c.p., in quanto previsione lesiva del dettato di cui all’art. 3 e 27 co. 3 Cost.
6. Conclusioni
Sulla base delle considerazioni che precedono la Consulta arriva ad affermare il seguente principio di diritto: “È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. Il divieto censurato dal Tribunale di Firenze contrasta con i parametri evocati, perché la struttura della fattispecie prevista dall’art. 116 è tutt’affatto particolare se confrontata con il principio generale della personalità della responsabilità penale, e dalla conseguente preclusione di ogni forma di responsabilità oggettiva penale. La formulazione testuale della norma, infatti, pone in sofferenza il principio della personalità della responsabilità penale, quanto meno nella misura in cui richiede soltanto il solo nesso di causalità materiale; alla sua tenuta costituzionale contribuiscono pertanto l’interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata – per cui è comunque suo secondo comma, che ha funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio. La norma censurata, invece, impedisce, in modo assoluto, al giudice di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza della circostanza aggravante della recidiva reiterata, con ciò frustando, irragionevolmente, gli effetti che l’attenuante mira ad attuare e compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio che impedisce alla pena di esplicare la propria funzione rieducativa”.
[1] Corte Cost., n. 73/2020 e n. 251/2012.
[2] Corte Cost., n.73/2020.
[3] Corte Cost., n. 251/2012.
[4] Corte Cost., n. 105/2014.
[5] Corte Cost., n. 106/2014.
[6] Corte Cost., n. 205/2017.
[7] Corte Cost., n. 74/2016.
[8] Corte Cost., n. 74/2020.
[9] Tra le tante: Cass., Sez. I Penale, n. 44579 del 2018.
[10] Tra le tante: Cass. n. 49443/2018; n. 45446/2016; n. 32644/2013.
[11] La Corte Costituzionale, a tal proposito, con la sentenza n. 42 del 1965, ha affermato che, con riferimento all’attenuante di cui all’art. 116 c.p., “appare essenziale per assicurare la legittimità costituzionale ex art. 3 Cost. dell’istituto del concorso anomalo, consentendo che situazioni profondamente diverse (da un lato un vero e proprio dolo, dall’altro il dolo di un fatto diverso, potenzialmente del tutto diverso, accompagnato dalla prevedibilità del fatto più grave del correo) siano sanzionate in modo almeno un minimo differente”.
[12] La normativa censurata, a detta della Consulta, determina una violazione dell’art. 27 co. 3 Cost. in quanto costituisce una “deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze”.
[13] Tra le altre: Corte Cost., n. 73/2020 e n. 192/2007; Corte Cost. n. 185/2015; Cass., Sez. Unite, n. 35738/2010).
[14] Tra le altre: Cass., n. 45356/2019; Cass., n. 49433/2018; Cass., n. 44579/2018.
[15] Cass., n. 17502/2017.
[16] Corte Cost., n. 73/2020 e n. 251/2012.
[17] Corte Cost., n. 42/1965.
[18] Corte Cost. n. 222/2018.
[19] Corte Cost. n. 73/2020.
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Avv. Maria Laura Pesando
Laureata in giurisprudenza, nel dicembre 2017, all'Università degli Studi di Torino, con tesi in Diritto Costituzionale dal titolo "Il contributo del pensiero liberale nella storia costituzionale italiana" con votazione 110/110 e Lode.
Dopo la laurea ha svolto la pratica legale in ambito prevalentemente civile, oltre che penale e giuslavoristico, con abilitazione al patrocinio sostitutivo.
Abilitata all'esercizio della professione forense nell'ottobre del 2020, svolge la professione di Avvocato presso il Foro di Torino.
Dal maggio del 2016, ricopre la carica di Consigliere comunale presso il Comune di Mompantero (TO).
E' autrice di articoli e note a sentenza su riviste giuridiche telematiche.
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