L’inerenza della condotta del preposto alle mansioni ed alle incombenze a lui demandate come limite alla responsabilità del preponente

L’inerenza della condotta del preposto alle mansioni ed alle incombenze a lui demandate come limite alla responsabilità del preponente

La Corte di Cassazione, con sentenza  n.   09/06/2016 n° 11816   ha  affrontato e risolto il tema dell’esatta delimitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 2049 c.c. in caso di condotta dolosa del sottoposto, del tutto avulsa dalle mansioni  a lui affidate o legittimamente attese.

Ai sensi dell’articolo 2049 c.c., i preponenti sono responsabili per i fatti illeciti compiuti dai loro preposti nell’esercizio delle incombenze loro affidate.

L’ipotesi prevista  da  tale norma  involge ogni caso in cui esista un rapporto di preposizione e non solo ai rapporti contrattuali tipici.  La ratio  a suo fondamento  risiede nella funzione di garanzia posta a carico del padrone e del committente, per assicurare al danneggiato maggior possibilità di risarcimento del danno. E questo  perché è  il committente che  si avvale dell’attività lavorativa altrui, e dunque ciò  è conforme alla esigenza sociale in virtù della quale chi dispone del lavoro altrui,  deve accollarsi anche le conseguenze dannose di tale attività.

Tale responsabilità è configurabile sia quando  sussiste un rapporto di causalità tra mansioni  ed  evento dannoso ma anche nell’ipotesi di agevolazione nel compimento del fatto illecito per le mansioni svolte.

Per quanto concerne la sua  natura, l’opinione tradizionale ravvisava il fondamento della responsabilità in oggetto nella colpa del preponente qualificandola, più precisamente, come colpa in eligendo (cioè nella scelta del preposto), oppure in vigilando (omessa vigilanza sull’attività del preposto). Poiché la norma non lascia la possibilità al preponente di provare la propria mancanza di colpa, si  configurava in tal modo una presunzione assoluta di colpa.

Tuttavia oggi dottrina e giurisprudenza pressoché unanimi, concordano sul fatto che la norma in esame contempli un caso di vera e propria responsabilità oggettiva  indiretta, in quanto la legge non consente alcun tipo di prova  liberatoria a carico di padroni e committenti o preponenti, al contrario di quanto previsto , ad esempio , dagli artt. 2048 e 2051 c.c., prescindendo  del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro o preponente ed è quindi  insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa   in ossequio al  principio “Cuius  commoda eius et incommoda”, secondo il quale del danno causato dal dipendente deve rispondere chi normalmente trae vantaggio dal rapporto con il preposto.

 Questa meccanica insorgenza di responsabilità da parte del preponente, si attenua  però  man  mano che la condotta del preposto si allontana dalle mansioni e dalle incombenze.

Infatti impedisce la configurabilità della responsabilità in esame, l’assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti, quand’anche deviate o distorte. Occorre cioè che il preposto abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe.

Nel caso di  condotta dolosa del sottoposto,   la Cassazione  con sentenza n. 2016 n° 11816, ha sancito il  principio  di diritto per cui la responsabilità del preponente ai sensi dell’art. 2049 c.c., sorge per il solo fatto che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dal preponente, purchè  il primo non abbia agito per finalità o scopi esclusivamente personali e del tutto avulsi dalle incombenze o da quelle che è legittimo attendersi da lui e così al di fuori dell’ambito dell’incarico affidatogli, venendo meno in tal caso il nesso di occasionalità  necessaria  tra le prime e il fatto illecito del preposto e il danno.

Non esclude la responsabilità neppure la condotta criminosa e nemmeno quando l’agente abbia ecceduto dai limiti delle proprie attribuzioni o all’insaputa del datore di lavoro o del preponente (Cass. civ. 22 settembre 2015, n. 18691; Cass. civ. 4 aprile 2013, n. 8210; Cass. civ. 12 marzo 2008, n. 6632; Cass. civ. 25 marzo 2013, n. 7403); ma tale concetto, proprio nell’ambito dell’elaborazione giurisprudenziale dell’istituto, deve essere adeguatamente inteso.

Già in sede penale e ai fini dell’affermazione della responsabilità civile da reato, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità rimarca da tempo la necessità di riferirsi allo scopo ultimo perseguito dal preposto con la sua condotta (Cass. pen., 22 settembre 1998, imp. Curcio): venendo infatti ribadito in quella sede che la responsabilità civile per il reato sussiste quando l’agente abbia commesso l’illecito sfruttando comunque i compiti svolti, anche se oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti (Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2013, n. 40613, P.), ma escludendosi detto rapporto quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere esclusivamente personale (Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2013, n. 26285, A.) di fatto sostituite a quelle del preponente e, anzi, in contrasto con queste ultime (tra le più recenti: Cass. pen., sez. VI, 4.6/9.11.15, n. 44760, Cantoro ed a.).

Il concetto di finalità non esclusivamente personale del preposto, la quale si sovrappone a quelle di ordine economico e giuridico che hanno comportato e sorretto il suo inquadramento nell’organizzazione del preponente, quale indefettibile condizione di operatività dell’istituto della responsabilità di quest’ultimo, è però insito anche  nella ricostruzione della giurisprudenza civilistica.  Il fatto che la responsabilità del preponente possa sussistere anche se il preposto abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del primo non consente di ritenere operativa la previsione dell’art. 2049 cod. civ., quando il fatto illecito sia avvenuto senza il benché minimo collegamento funzionale con l’attività lavorativa (Cass. civ., ord. 30 giugno 2015, n. 13425), ovvero quando la condotta abbia risposto ad esigenze meramente personali dell’agente (Cass. civ. 13 novembre 2011, n. 14096; Cass. civ. 22 agosto 2007, n. 17836; Cass. civ. 25 marzo 2013, n. 7403, ha escluso, degradandola a mera occasione non necessaria, la circostanza dell’accadimento di un’aggressione sul luogo di lavoro da parte di un superiore), avulse quindi dal suo inserimento nell’organizzazione del preposto.

Impedisce insomma, la configurabilità della responsabilità in esame l’assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti (confermando la conclusione sul punto dei giudici di merito, peraltro per motivi di rito: Cass. civ. 18 giugno 2015, n. 12611; Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12828), quand’anche deviate o distorte: esigendosi in ogni caso almeno la possibilità di ricollegare, anche solo indirettamente, la condotta dannosa del preposto alle attribuzioni proprie dell’agente (Cass. civ. 10 ottobre 2014, n. 21408; Cass. civ., 29 dicembre 2011, n. 29727) o all’ambito dell’incarico affidatogli (Cass. civ. 9 aprile 2014, n. 8372, con richiami a: Cass. civ. 24 gennaio 2007, n. 1516; Cass. civ. 22 agosto 2007, n. 17836). Occorre cioè (Cass. civ. 10 dicembre 1998, n. 12417; in precedenza, fra le altre, Cass. civ. 18 gennaio 1990, n. 223) che il preposto abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe.

Se questa è la giustificazione di una simile responsabilità, è evidente che le condotte del preposto le cui conseguenze possa sopportare il preponente debbono essere in qualche modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione e ricondursi al novero delle normali potenzialità di sviluppo di queste, se del caso considerate alla stregua dell’ordinaria responsabilità per colpa collegata alla violazione dell’altrui affidamento.

È, in tal senso, significativo che la più recente giurisprudenza abbia precisato (Cass. civ. 23448/14 ) che l’automatismo dell’insorgenza della responsabilità del preponente si attenua a mano a mano che la condotta del preposto si allontana dalle mansioni e dalle incombenze, tanto che l’art. 2049 cod. civ., può trovare applicazione per l’operatività dell’ulteriore principio dell’apparenza del diritto circa la corrispondenza della condotta alle mansioni ed incombenze: vale a dire, all’ulteriore duplice condizione della buona fede incolpevole del terzo danneggiato e di un atteggiamento colposo del preponente, desumibile dalla mancata adozione delle misure ragionevolmente idonee, in rapporto alla peculiarità del caso, a prevenire le condotte devianti del preposto. In tal modo, però, il preponente viene a rispondere, in caso di superamento dei limiti delle funzioni o mansioni del preposto, in applicazione del diverso principio dell’apparenza e, quindi, sostanzialmente per fatto proprio e non più per quella ragione oggettiva della preposizione prevista dalla sola norma dell’art. 2049 cod. civ..

E allora di una condotta posta in essere senza alcun nesso funzionale, nemmeno potenziale e quand’anche deviato rispetto a quello lecito, con le mansioni e quindi con le ragioni, anche economiche, della preposizione non può essere chiamato a rispondere il preponente, quando appunto quella, se rispondente a fini esclusivamente personali dell’agente, non possa ricondursi al novero delle potenziali condotte normalmente estrinsecabili nell’esercizio delle sue funzioni dal preposto, o, in alternativa, a condotte l’affidamento sulla cui imputabilità al preponente derivi da colpa di quest’ultimo.

Va  inoltre esclusa, la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere o altro dipendente o assimilato nel corso dello svolgimento delle relative mansioni quando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l’espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta; l’esclusione del titolo di responsabilità ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., comporta de plano l’infondatezza di ogni pretesa del soggetto leso nei confronti del Condominio.


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