L’inquadramento sistematico della qualifica di consumatore estesa all’imprenditore individuale non cessato
Nota a decreto del Tribunale di Grosseto R.G. V.G. 1603.2019 del 22.06.2021
di Andrea Jonathan Pagano, ricercatore universitario; Simone Giugni, Avvocato; Simonetta Sforzi, avvocato e Mariangela Salvante, dottoressa commercialista
Sommario: 1. Massima – 2. Il Caso – 3. Il generale inquadramento della figura del consumatore – 4. Il trattamento dei crediti tributari – 5. La fattispecie del mutuo ipotecario cointestato – 6. Osservazioni e critiche
Abstract. Lo scritto si propone di commentare ed analizzare da un punto di vista sistematico – giuridico la decisione del Tribunale di Grosseto inerente alla omologazione di un piano del consumatore ex art. 12 bis L.3/2012 promosso da imprenditore avente ditta individuale non cessata.
Le ulteriori criticità e particolarità afferenti il piano concernevano il trattamento dei debiti tributari derivanti da attività d’impresa, quella sì cessata, esclusi formalmente dal concorso e dalla massa dei creditori, nonché del mutuo ipotecario cointestato col marito.
1. È ammissibile ed omologabile un piano ex art.12 bis L.3/2012 anche allorquando occorra, da parte dell’istante, l’inquadramento di un imprenditore individuale non cessato quale consumatore, nonché la esclusione dei debiti tributari afferenti l’attività d’impresa dal concorso della massa
2. Un imprenditore, titolare di ditta individuale non cessata, ricorreva al Tribunale di Grosseto, richiedendo la omologazione ex art. 12 bis L.3/2012 di un piano del consumatore [1].
Il piano risultava peculiare per diversi motivi.
Preliminarmente, la debitrice, pur titolare, altresì, di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, dichiarava di svolgere, altresì, attività imprenditoriale.
In secondo luogo, l’istante giustificava tale inquadramento soggettivo con la possibilità che, con i redditi derivanti dalla suddetta attività, in corso di maturazione, potesse pagare, fuori del concorso i per tributi e tasse maturati precedentemente, espressamente esclusi dal perimetro del piano, alterando de facto le legittime cause di prelazione nonché la par condicio creditorum.
In ultima istanza, il soggetto richiedente, esecutato, chiedeva la sospensione della procedura immobiliare, pur in presenza di debito cointestato con il coniuge.
3. Onde enucleare un ambito applicativo sistematico della figura del consumatore, soprattutto alla luce delle declinazioni eventuali concorsuali, occorre porre l’attenzione a diversi profili di matrice comunitaria e nazionale, sia in ambito legislativo che giurisprudenziale.
In ambito sovranazionale, si rammenta che un generale inquadramento della posizione ontologica e teleologica della figura del consumatore latu sensu intesa sia stata fornita dalla Giurisprudenza Comunitaria e Nazionale a seguito di un ricorso in cui nell’atto di costituzione, l’opponente sollevava l’eccezione di incompetenza territoriale del tribunale ordinario di Padova stante la circostanza che fosse residente in area territoriale ricadente sotto la competenza del Tribunale di Rovigo, rivendicando, dunque l’applicazione sistematica del foro del consumatore alla luce del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia Europea con le decisioni nn. 74 e 534 del 2015.
La giurisprudenza europea, infatti, ha riconosciuto ed affermato la prevalenza del foro del consumatore anche qualora soggetti privi di effettivo collegamento direzionale con la società abbiano rilasciato una garanzia per la persona giuridica.
È stato preliminarmente osservato che anche nell’alveo del profilo della gerarchia delle fonti nonché di supremazia del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, i principi richiamati affermati, già nel 2015, dalla Corte di Giustizia Europea sembrano finanche travolgere il dictum statuito dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Ordinanza n. 24846/2016) poiché non appare idonea una sentenza del giudice nazionale volta a superare un principio di portata generale affermato e statuito dalla Corte di Giustizia che, pur fermo il sistema di civil law, vede conferire alle decisioni della Corte di Giustizia una forza cogente meno dissimile a quanto accade nei sistemi di common law.
Il caso posto al vaglio della Corte di Giustizia nella causa 534/2015 è stato infatti risolto, confermando l’orientamento sancito nell’ordinanza della Corte di Giustizia del 19.11.2015, che si è espressa anch’essa sul tema dell’applicabilità alla garanzia fideiussoria delle norme sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori.
La Corte ha statuito che sia assolutamente irrilevante, nel merito, l’oggetto del negozio giuridico ai fini dell’applicabilità della tutela del consumatore al garante, negando che la nozione di “consumatore” o di “professionista” potesse essere assegnata soltanto sulla base del rapporto di accessorietà con il contratto “garantito”.
Tale criterio si innesta nel solco della convinzione talché il sistema di tutela istituito dalla Direttiva UE 93/2013, secondo cui il consumatore è posto in una situazione di inferiorità oggettiva e sistematica rispetto al soggetto professionale per quanto concerne sia il potere nelle trattative sia il livello di informazione.
Esaurito l’inquadramento sovranazionale, soggiunge, in ambito nazionale, la L. 176/2020 che ha finalmente statuito in senso tecnico e chiaro l’ambito applicativo dell’inquadramento teorico/sistematico della definizione di “consumatore” [a]. Infatti, rubricandolo come “semplificazioni in materia di accesso alle procedure di sovraindebitamento per le imprese e i consumatori”, il legislatore ha dunque manifestato la volontà di ampliare le maglie ai fini dell’accesso [2] all’istituto: è plausibile concludere che tra diverse opzioni interpretative, sempre possibili in uno schema normativo pieno di aporie, dovrà, speratamente, essere preferita la soluzione tale da consentire l’apertura della procedura rispetto a quella che la neghi. Dalla lettura della lettera della nuova prescrizione normativa pare evidente che non saranno più giustificate letture aprioristicamente restrittive pur giustificate da una interpretazione letterale [3]. Le previsioni del codice della crisi – anticipatamente in vigore rispetto alla effettiva data di decorrenza della vigenza del nuovo codice – sono quelle della versione anteriore al Decreto Correttivo, in quanto l’emendamento che oggi modifica la legge 3/2012 era stato redatto antecedentemente all’ultima revisione del CCII. La legge 3/2012, così come “ibridata” con il CCII, pare, dunque, destinata a rimanere in vigore per pochi mesi, ma la forzata sovrapposizione normativa rende assai difficoltosa, per i practitioners, l’operazione di interpretare ed applicare correttamente le norme per la palese stratificazione di due scheletri normativi non sempre armonici. La prima definizione “anticipata” è proprio quella di consumatore: la riforma di fine 2020 lo definisce come la “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta […]”. Si risolve, dunque, così, tra le altre, l’annoso problema del fideiussore [4] estraneo all’attività di impresa che non riceveva una tutela pacificamente riconducibile all’istituto del consumatore [b].
4. Uno degli aspetti peculiari del piano depositato presso il Tribunale toscano riguardava la modalità di soddisfazione dei debiti di spettanza dell’Amministrazione Finanziaria talché “tributi e tasse (riconducibili appunto all’attività d’impresa e per vero nettamente inferiori rispetto a quelli di natura personale), costituiscono oggetto di definizione agevolata con agenzia delle entrate i cui pagamenti, per quanto è dato evincere dalla relazione del professionista e dalla documentazione in atti, sono regolari.”
Lo stato passivo strettamente concorsuale, da soddisfare endoproceduralmente, era composto, dunque dai soli debiti al consumo, escludendo [c] espressamente i debiti afferenti l’Agenzia delle Entrate, statuendo una generica asserita convenienza nella prosecuzione della rottamazione ter e del pagamento delle residuali cartelle. Il piano prevedeva la soddisfazione integrale dei debiti tributari.
5. Un ulteriore profilo peculiare si sostanziava nella modalità qualitativa e quantitativa del creditore ipotecario – il quale medio tempore aveva già azionato gli strumenti esecutivi, la cui procedura derivata, al momento del deposito era giunta alla fissazione del terzo esperimento di vendita – in quanto, il ricorrente proponeva “in tal modo, di provvedere al pagamento, anche se diluito nel tempo (10 anni), del credito vantato dal creditore ipotecario nella stessa misura percentuale in linea capitale (63,79%) di quanto riceverebbe dalla vendita dell’immobile in sede liquidatoria, oltre al pagamento parziale (nella misura del 12,50%) dell’ulteriore mutuo, sempre acceso presso la banca, […] che non troverebbe alcun soddisfo dalla procedura esecutiva per incapienza, stante il ribasso del prezzo base d’asta e dell’offerta minima dopo la seconda asta andata deserta, [richiedendo di] permanere nell’immobile di proprietà, luogo di residenza familiare sin dalla costituzione della famiglia stessa, [asserendo che] il consolidamento della situazione reddituale di tutta la famiglia, con il riavvio dell’attività lavorativa del coniuge e il consolidarsi, sia in termini contrattuali che di durata, degli attuali rapporti lavorativi della ricorrente, consentirà una maggiore capacità contributiva alle spese di sostentamento della famiglia ma anche al pagamento del debito dell’istituto bancario”.
6. Le conclusioni degli scriventi sono del tenore di enucleare diversi profili critici emergenti dalla omologazione del Tribunale di Grosseto.
In primo luogo, vale la pena evidenziare la coerenza del provvedimento in ordine al mantenimento della prima casa in luogo di una vendita coattiva.
L’istante, compiendo comunque una liquidazione parziale del patrimonio immobiliare, ricorre, tra le altre, alla procedura da sovraindebitamento onde mantenere e continuare a godere della abitazione prima casa quale bene essenziale come, evidenziato, ed ormai pacificamente riconosciuto dal Tribunale di Verona (decreto del 20.07.2016 Est. Platania), secondo cui è omologabile il piano del consumatore che preveda una cifra inferiore rispetto a quella che sarebbe spettata alla banca ove fosse proseguito il contratto di mutuo [d]. Il sacrificio richiesto al creditore con l’omologazione del piano è certo, ma nello stesso tempo inferiore rispetto a quello che deriverebbe dalla vendita dell’immobile ipotecato. Tale sacrificio, inoltre, risulta conforme alla finalità della legge sul sovraindebitamento, finalità che consiste nel permettere ai debitori non fallibili di uscire dalla loro crisi, ricollegandoli nell’alveo dell’economia palese, senza il rischio di cadere nell’usura e cercando di mantenere la proprietà dei beni essenziali come la casa di abitazione. (Avv. Tedeschi Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15953).
Infatti, la vendita a terzi del bene immobile adibito ad abitazione familiare comporterebbe la necessità per il debitore di procacciarsi un nuovo alloggio con il conseguente onere del pagamento di un canone di locazione. L’impegno economico conseguente a tale esborso, farebbe lievitare sensibilmente i costi di mantenimento della famiglia, impedendo di fatto l’erogazione mensile.
Tale pronuncia si innesta nel solco della felice giurisprudenza ex parte debitoris inaugurata dal Tribunale di Livorno (RG NCP 2/2021 decreto del 08.06.2021) con cui nel più ampio contesto della convenienza il Giudicante statuiva nel senso che “tale aspetto debba essere valutato dal giudice ai fini della omologa solo in caso di contestazione, trattandosi di eccezione in senso stretto, prevedendo l’art 12 bis comma 4 l. 3/2021: Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la convenienza del piano, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda del presente capo […] tuttavia ad abundantiam va rilevato che tale convenienza risulta anche positivamente accertata. Da tale relazione risulta infatti […] che la vendita a terzi del bene immobile adibito ad abitazione familiare comporterebbe la necessità di procacciarsi un nuovo alloggio con il conseguente onere del pagamento del canone di locazione. L’impegno economico di tale esborso farebbe lievitare di molto i costi necessari per il mantenimento della famiglia, impedendo di fatto l’erogazione mensile […] in favore della procedura”.
Se sul piano della astratta tutela del bene prima casa concesso all’istante, la pronuncia pone un primo problema in ordine, quantomeno all’applicazione della normativa concorsuale di cui al sovraindebitamento circa le modalità di soddisfazione del creditore assistito da privilegio immobiliare ipotecario.
In particolare, in presenza di un mutuo ipotecario, la normativa, così come novellata ex art. 8 co. 1 ter L.3/2012, consente il pagamento delle rate “a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore se lo stesso, alla data del deposito della proposta, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”.
Ma leggendo il tenore del ricorso, non sembra che la modalità di soddisfazione sia stata elaborata con la continuazione del pagamento del mutuo (Tribunale di Torino, Sez. VI civ., 05 novembre 2021), anche considerando la procedura esecutiva pendente, bensì la dazione in quota della somma messa a disposizione della procedura.
Il piano, dunque, proponeva l’erogazione della somma pari alla offerta minima del plesso di cui al terzo esperimento di vendita, illo tempore pendente e pubblicato. Non sembra chiaro, a parere di chi scrive, come possa essere dimostrata la effettiva convenienza di un piano allorquando sia garantito il quantum minimo per la partecipazione e non già la base d’asta.
La problematica, però, forse più rilevante, in ordine al trattamento del creditore ipotecario, non è già la soddisfazione in quota di una somma “nella stessa misura percentuale in linea capitale (63,79%) di quanto riceverebbe dalla vendita dell’immobile in sede liquidatoria”, bensì la cointestazione del mutuo ipotecario. Difatti, sebbene l’istante fosse un unico soggetto, il mutuo ipotecario risultava “stipulato in data 19/12/2003 per l’acquisto della prima casa […] al 50% con il coniuge” così come l’immobile era detenuto dall’istante per la sola quota del 50%.
Se lo stesso Tribunale di Grosseto (VG 1389/2020 decreto del 03.11.2020) ha legittimato la sospensione della procedura esecutiva gravante, altresì su beni di terzi, oltre a quelli detenuti esclusivamente dall’istante, allorquando si ravvisi una maggior convenienza [5] per il ceto creditorio, non sembra poter ricondurre tale fattispecie, legittima, a quella di cui alla presente pronuncia. Difatti, se gli effetti della sospensione derivano dalla omologazione del piano e travolgono l’istante, viene da chiedersi da un lato, quale sia la legittimazione normativa della possibilità di estendere suddetto beneficio ad un soggetto diverso e, fattispecie assai più problematica, quale sia la norma per cui, l’omologa in favore dell’istante possa ostare ad una riassunzione da parte dell’ipotecario della esecuzione per la sola quota del 50% contro il coniuge.
Onde confermare tale statuizione, soggiunge di conforto il combinato disposto di cui agli artt. 7 co. 2 bis e 7 bis, stante la impossibilità sistematico-teleologica di ricondurre la figura del comproprietario non istante ad un soggetto familiare partecipe di una procedura congiunta [6] ovvero ad un socio illimitatamente responsabili [7] , per cui, in questi due casi, gli effetti concorsuali sono astrattamente estensibili.
Un ulteriore profilo critico è rappresentato dalla volontaria esclusione dal concorso dei debiti tributari imprenditoriali. Posto che l’estensione della ammissibilità alla procedura di consumatore sia assolutamente un favor, non sembra chiaro il presupposto normativo di siffatta esclusione, peraltro validata dal Giudicante. Difatti, il piano del consumatore, se da un lato ammette l’accesso allorquando si ricorra al concorso per i soli debiti non afferenti l’attività d’impresa, non sembra plausibile che l’istante possa volontariamente escluderne alcuni alla stregua di ciò che risulta prescritto ai sensi del 182 bis R.D. 267/1942.
Se realmente fosse ammissibile l’inserimento di taluni debiti e non altri, magari proprio per aggirare la norma sui debiti imprenditoriali, non ancora saldati, si potrebbero occorrer quantomeno due possibili conseguenze problematiche.
In primo luogo, non sembra pensabile che l’eventuale esdebitazione, qualora alla data dell’eventuale pronuncia in tal senso fossero ancora pendenti dei debiti esclusi, possa interessare questi ultimi, compiendo una pronuncia monca, liberatoria e purgativa per i debiti concorsuali ma vuota di significato per i residuali.
In secondo luogo, viene da domandarsi quali siano gli strumenti di controllo e supervisione al fine di verificare l’esatto adempimento delle cartelle inerenti ai debiti tributari nonché gli strumenti processuali che potrebbe esercitare l’Amministrazione Finanziaria e, più in generale, il creditore escluso inaudita altera parte, allorquando l’istante non adempia correttamente al regolare pagamento alle rate prefissate.
Ed, in ultima istanza, appare opportuno domandarsi se l’eventuale inadempimento del pagamento in favore dei creditori esclusi possa legittimamente condurre ad una revoca ovvero risoluzione del piano concorsuale.
È davvero possibile trattare i creditori esclusi, posto che sia legittimo escluderli, alla stregua di un creditore non aderente ai sensi ed agli effetti della prescrizione ex art. 182 bis l.f.?
A parere di chi scrive, pur rinvenendo e ravvisando dei profili palesemente ex parte debitoris, pare che la pronuncia in esame, per i motivi suesposti possa prestare il fianco a dinamiche processuali e sostanziali lontane dalla volontà dell’istante nonché dalla lettera della norma, talché si viri su un piano ibridamente posto in essere che potrebbe giungere alla rituale conclusione senza effettivamente una soluzione “tombale” per il nucleo familiare latu sensu inteso.
[a] Anteriormente alla promulgazione introdotta dal d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, l’art. 6, comma 2, lett. b) Cass. 2016/1869 la S.C. aveva posto l’attenzione per enucleare la possibilità di instaurare il piano del consumatore, circa la omogeneità del comparto debitorio alla data della presentazione del ricorso talché la procedura risultava ammissibile esclusivamente “innanzitutto con il consumatore sovraindebitato che non sia o non sia mai stato nè imprenditore nè professionista, con chi lo sia stato e però non lo sia tuttora ovvero con chi lo sia tuttora ma non annoveri più̀ tra i debiti attuali quelli un tempo contratti in funzione di sostentamento ad una di quelle attività” (Cass. 2016/1869).
Nella lettura della S.C., la qualità sistematico-teleologica di imprenditore o professionista non sembrava dunque astrattamente ostativa per l’accesso al piano del consumatore, a condizione, comunque, che i debiti contratti in tale veste fossero già stati saldati, assumendo rilievo, per l’istante “una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè̀ non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più̀ risultare attuali”. Nelle prime letture dottrinarie veniva come la Suprema Corte avesse dunque, in tal guisa, superato e chiarito l’ostacolo rappresentato dalla rigida ed anacronistica definizione di consumatore quale “debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Secondo la lettura estensiva offerta dalla Suprema Corte, dunque, il debitore ben poteva aver contratto obbligazioni d’impresa o professionali, ma l’accesso al piano del consumatore risultava ammissibile allorquando al momento della presentazione del piano del consumatore fossero presenti i soli debiti al consumo, non già anche d’impresa.
[b] Il Tribunale di Grosseto, nella pronuncia in esame si esprimeva nel senso di statuire che “Ai fini del corretto inquadramento giuridico della domanda e, in linea con la più ampia lettura di consumatore recentemente avallata dalla Cassazione (1869/2016), deve osservarsi che in presenza di crediti di natura mista (ossia tanto di natura imprenditoriale e/o professionale che non), occorre avere riguardo alla qualità dei debiti da ristrutturare che connotano la proposta in sé considerati e nella loro composizione finale. Ne consegue che anche se per consumatore deve letteralmente intendersi, ai sensi dell’art. 6 comma 2, lett. B) Legge 3/2012, la persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, tale conclusione non pare poter essere inficiata allorché i debiti siano (anche) parzialmente riconducibili all’attività imprenditoriale, dovendosi comunque tenere conto della composizione complessiva del debito, secondo i criteri indicati nella pronuncia della Cassazione citata.”
[c] In verità, non strettamente connesso alle critiche mosse alla pronuncia, appare opportuno evidenziare che il piano escludeva, altresì un istituto di credito prevedendo la “prosecuzione dell’originario piano di ammortamento con rata a cadenza mensile”.
[d] Nemmeno si può configurare una fattispecie ascrivibile a quanto statuito da Trib. Bari del 29.10.2021 che ha ritenuto legittima la proseguibilità del contratto di mutuo ipotecario, pur già risolto dalla banca ed ha statuito che il debito da saldare va integrato delle rate e degli interessi scaduti sino alla data di omologazione del piano.
[1] A. Mancini, “La definizione dei debiti promiscui nel piano del consumatore,” pp. 1–12, 2022.
[2] E. Cardinale, “Il sovraindebitamento civile e del consumatore.”
[3] F. Valerini, “Sovraindebitamento,” 2020.
[4] A. J. Pagano and S. Sforzi, “Ammissione alla procedura di piano del consumatore da parte di socio di una cooperativa,” 2021.
[5] A. J. Pagano and S. Sforzi, “La tutela della maggior soddisfazione del ceto creditorio legittima la sospensione della procedura esecutiva su beni di terzi,” 2021.
[6] G. Minniti, “L’insostenibile meritevolezza del sovraindebitato,” 2021.
[7] M. Selvini, “Il socio illimitatamente responsabile tra diritto di difesa e ‘interesse’ all’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento della società,” 2021.
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Andrea Jonathan Pagano
Corporate Lawyer at Sime s.r.l.
M.D. Law at University of Pisa 2010-2015;Ph.D. Law at Turiba University 2017-2018;Lecturer Private International Law at Turiba University 2017;Ph.D. Management Engineering (Insurance Law) at Riga Technical University 2018 - in progress;Lecturer Smart Insurance Contract at Riga Technical University 2018;Visiting Fellow Insurance risk management at University of Pisa 2020 - 2022;Adjunct Professor “Insurance risk: evaluation and management” Master in Risk Management at University of Pisa 2022 - in progress
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