L’intervento volontario nel processo civile
L’intervento è il fenomeno a mezzo del quale un soggetto (il c.d. terzo interveniente) subentra in un processo già pendente tra altre parti processuali così acquistando egli stesso la qualifica giuridica di “parte” (cfr: Cass. 19 gennaio 2012, n. 743; Cass. 30 gennaio 1997, n. 925).
Disciplinato dagli artt. 105 – 107, 267 – 269 c.p.c., può classificarsi in “intervento coatto” e in “intervento volontario”.
La prima forma di intervento è fenomeno che prescinde dalla volontà del terzo che subentra nel processo, giacché scaturisce dalla istanza di una delle parti già in causa o dalla determinazione del giudice (quest’ultimo definito come il c.d. intervento iussi iudicis).
L’intervento volontario, di cui qui si tratterà, implica – invece – l’ingresso spontaneo (e dunque volontario) di un soggetto in un processo pendente inter alios.
Tale tipologia di intervento può ulteriormente classificarsi in tre forme di intervento, quali: l’intervento principale (o autonomo); l’intervento litisconsortile (o adesivo autonomo); l’intervento semplice (o adesivo dipendente).
La prima forma di intervento qui annoverata (id est: l’intervento principale) si atteggia quale “interventus ad infringendum iura utriusque competitoris vel ad excludendum” ossia quale “intervento per contrastare, nel proprio interesse, i diritti fatti valere da entrambe le parti in lite, o per escluderli”.
A mezzo del suddetto istituto processuale, infatti, il terzo può fare ingresso in un processo già pendente inter alios (e dunque tra altre persone) per far valere – in confronto di tutte le parti – un diritto, la cui tutela sia incompatibile con quella del diritto vantato dall’una o dall’altra delle parti originarie (cfr. Cass., 30 dicembre 2016, n. 27528; Cass., 20 agosto 1992, n. 9683; Cass., 20 marzo 1982; Cass., 8 luglio 1971, n. 2190), e che sia relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia (ex pluris: Cass., 20 ottobre 2014, n. 22233; Cass., 20 aprile 1994, n. 3748; Cass. 27 giugno 2007, n. 14844; Cass., 12 giugno 2006, n. 13557; Cass., 6 marzo 2006, n. 4805; Cass. 3 novembre 2004, n. 21060) o dipendente dal titolo dedotto nel processo (cft.: Cass., 20 ottobre 2014, n. 22233; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2009 n. 10274; Cass., 6 marzo 2006, n. 4805; Cass., 14 luglio 2004, n. 13063; Cass. 19 luglio 1986, n. 4648; Cass., 8 luglio 1971, n. 2190).
Ricorre, invece, la figura dell’intervento adesivo autonomo (o litisconsortile) “allorquando si faccia valere nel processo un diritto avente la suindicata relazione nei confronti di una o di alcuna delle parti, non di tutte (ex pluris: Cass., 8 luglio 1971, n. 2190)”.
Più in generale, ai fini della ammissibilità dell’intervento del terzo come autonomo, è sufficiente che la domanda dell’interveniente presenti una connessione o un collegamento implicante l’opportunità di un simultaneus processus (Cass., 23 marzo 2011, n.6703; Cass., 28 dicembre 2009, n. 27398; Cass., 27 giugno 2007, n. 14844; Cass., 12 giugno 2006, n. 13557; Cass., 3 novembre 2004, n. 21060; Cass., 15 maggio 2002, n. 7055).
Circa l’intervento adesivo dipendente, invece, lo stesso si sostanzia nell’istituto processuale a mezzo del quale il terzo subentra nel processo unicamente per sostenere le ragioni di una delle parti in lite.
Conseguenza ineludibile di ciò è che con tale forma di intervento non si introduce una domanda nuova, né si amplia il tema del contendere (Trib. Bari, 15 aprile 2014, n.1953).
Affinché lo stesso sia ammissibile, tuttavia, occorre un interesse del terzo che interviene che, pur se non collegato all’oggetto della causa (come prescritto per l’intervento principale ed autonomo dal primo comma dell’art. 105 citato), non sia di mero fatto, bensì giuridicamente rilevante e qualificato, nonché concreto e meritevole di protezione giuridica (cfr.: Trib. Bari, 15 aprile 2014, n. 1953; Cass., 2 agosto 1990, n. 7769).
All’uopo riveste tale qualifica l’interesse del terzo determinato dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi conseguenze dannose derivanti da effetti riflessi o indiretti del giudicato (Cass. 19 settembre 2013, n. 21472; Cass. 2 agosto 1990, n. 7769) attesa la sussistenza di un “rapporto giuridico sostanziale tra adiuvante ed adiuvato, tale che la posizione soggettiva dell’adiuvante, in questo rapporto, possa essere – in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che l’adiuvato sostiene contro il suo avversario in causa (Trib. Torre Annunziata, 20 gennaio 2018, n.161; Cass., 23 marzo 2017, n. 7407; Cass., 10 gennaio 2014, n. 364; Cass., 19 settembre 2013, n.21472; Cass., 24 gennaio 2003, n. 1111; Cass., 23 dicembre 1993, n.12758)”.
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Avv. Ilaria Parlato
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Ha conseguito con profitto il Master di Alta Formazione Professionale in Criminologia e Psicopatologia Forense.
È autrice di articoli in materia di Diritto Civile, Diritto di Procedura Civile, Diritto Penale e Diritto di Procedura Penale, pubblicati da riviste di pregiato valore nel mondo dell'avvocatura quali Salvis Juribus, Studio Cataldi, Altalex, Diritto.it e La legge per tutti.
L'AVV. ILARIA PARLATO è, altresì, autrice del libro giuridico "Risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali in regime more uxorio", pubblicato – nell'anno 2016 - dalla Fondazione Mario Luzi, casa editrice avente la prerogativa di premiare il merito e gli autori più meritevoli.
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