L’istigazione a delinquere sui social network

L’istigazione a delinquere sui social network

Il diritto moderno ha inevitabilmente subito le conseguenze della diffusione dei social network. Questi ultimi, infatti, se da un lato rappresentano un importante strumento di comunicazione, dall’altro comportano dei rischi poiché possono essere utilizzati in modo da ledere diritti fondamentali dell’individuo (ad es. diritto alla privacy e alla riservatezza) o come strumento attraverso il quale porre in essere attività di natura illecita.

In ambito penalistico, dove non è intervenuto direttamente il legislatore per regolamentare l’utilizzo dei social network, che solitamente rileva quale circostanza aggravante nella commissione di un determinato delitto, si è assistito all’intervento a più riprese della giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi, per l’appunto, sul rapporto tra i social network e singole fattispecie di reato. Tra le altre, rilevano le pronunce in merito alla rilevanza penale dell’istigazione a delinquere sui social network.

L’istigazione a delinquere è un delitto contro l’ordine pubblico, disciplinato dall’art.414 c.p., ai sensi del quale:

“Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:

1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;

2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n.1.

Alla pena stabilita nel n.1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti.

La pena prevista dal presente comma nonché dal primo o secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà.

La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.”

La norma disciplina due distinte fattispecie incriminatrici: l’istigazione a delinquere e l’apologia di delitti.

L’apologia consiste in quella particolare modalità di manifestazione del pensiero che si esplica nell’esaltazione del fatto o del suo autore con intento di propaganda, nelle forme di istigazione indiretta (ANTOLISEI).

Tralasciando la fattispecie dell’apologia, è opportuno soffermarsi sulla fattispecie dell’istigazione a delinquere, oggetto della presente trattazione.

Per istigazione si intende la determinazione o il rafforzamento in altri di un determinato proposito criminoso.

In particolare, la condotta penalmente rilevante consiste nell’istigare “pubblicamente” a commettere delitti o contravvenzioni, in ciò differenziandosi e derogando all’art.115 c.p., a tenore del quale non è punibile l’istigazione a commettere un reato che non sia seguita dalla sua effettiva commissione.

La differenza tra l’art. 414 c.p. e l’art. 115 c.p. sta nel fatto che l’istigazione pubblica è considerata condotta concretamente idonea a determinare altri a commettere un reato e, dunque, incriminata dall’ordinamento giuridico.

Per definire i limiti della nozione di istigazione pubblica (“pubblicamente”) soccorre l’art. 266, terzo comma, cod. pen., il quale indica quando “…[a]gli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente”.

In particolare, secondo la citata disposizione, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso “col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda”.

La condotta di istigazione, poi, può essere primaria o secondaria. E’ primaria quando fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente, è secondaria quando rafforza un proposito già presente.

La condotta può realizzarsi in forma commissiva, mediante un comportamento attivo, oppure in forma omissiva, mediante un comportamento meramente negativo, quale il silenzio.

In ogni caso, affinché possa configurarsi il reato di cui all’art.414 c.p., l’istigazione deve apparire idonea a conseguire l’effetto voluto dal soggetto istigatore, ricorrendo al contrario una forma di libera manifestazione del pensiero, in quanto tale non punibile.

Trattasi di un reato di pericolo concreto, il cui accertamento deve essere fatto caso per caso. In particolare, la più recente giurisprudenza ha ribadito che “la verifica, proprio perché diretta ad appurare il pericolo concreto della genesi del proposito criminoso in altre persone, deve essere compiuta sulla base di un giudizio ex ante, secondo il criterio della prognosi postuma, e cioè avendo riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso” (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 14953/2024).

Il delitto in esame si consuma nel luogo e nel momento in cui viene pubblicamente posta in essere la condotta istigatrice.

L’elemento soggettivo del reato è rappresentato dal dolo generico e consiste nella volontà di istigare gli altri a commettere determinati reati nonché nella previsione del loro carattere delittuoso e della pubblicità del proprio comportamento.

Il tentativo non è ammissibile.

Infine, il reato è aggravato “se il fatto è commesso mediante strumenti informatici o telematici”. E’ prevista, inoltre, una circostanza aggravante speciale ad effetto speciale qualora, fuori dei casi di cui all’art.320 c.p., l’istigazione riguardi delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità, ulteriormente aggravata se posta in essere mediante strumenti informatici o telematici.

Il ruolo dei social network. Negli ultimi anni, si è posto un problema in ambito penalistico concernente la possibilità che la divulgazione di un contenuto (post, video o immagine) sui social network potesse rappresentare condotta idonea ad integrare gli estremi del reato di istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p.

La giurisprudenza è intervenuta rispondendo in modo affermativo a tale quesito; nella specie, la Corte di Cassazione, con una recente pronuncia (Cass.Pen., Sez.I, sent. n.22163/2019) ha considerato una simile condotta idonea ad integrare il reato di cui all’art.414 c.p. argomentando che la “smaterializzazione”, quale modalità di manifestazione delle condotte poste in essere sul web e sui social network, non è caratteristica sufficiente per negare “la specifica e incontestabile offensività” delle stesse in ragione della lesione arrecata ai beni giuridici protetti.

Tuttavia, la comunicazione sui social network, al fine di integrare il fatto tipico previsto dall’art.414 c.p., deve rispettare i requisiti previsti dalla norma, tra cui rileva in particolar modo il requisito della pubblicità.

I social network sono descritti come una sorta di “piazza virtuale” in cui solitamente gli utenti del web – salve eventuali restrizioni – hanno libero accesso. Essi, dunque, in virtù del fatto che i contenuti ivi pubblicati hanno una larghissima diffusione – raggiungendo un numero elevato ed indeterminabile di persone – rappresentano un mezzo idoneo a soddisfare il requisito di pubblicità richiesto dall’art.414 c.p.

La Suprema Corte di Cassazione in una recente sentenza, pronunciandosi  sul reato di istigazione a delinquere attraverso i social network, ha attribuito espressamente ad uno di questi (Twitter) la natura di “mezzo di propaganda”, che si ritiene di poter estendere agli altri social network presenti sul web. La Corte si è espressa nei seguenti termini: “Risulta corretto ritenere che un account presente sulla piattaforma Twitter, utilizzato per pubblicare un messaggio, costituisce “mezzo di propaganda”, specie se, come nella vicenda in esame, il testo è immediatamente e liberamente accessibile ad un numero considerevole di persone” (Cass. Pen., Sez.III, sent. n. 14953/2024).

Dunque, ciò che rileva al fine di soddisfare il requisito della pubblicità è la significativa portata diffusiva del mezzo utilizzato per porre in essere il delitto di istigazione, idonea a raggiungere un numero indeterminato di persone.


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Maria Lerario

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