L’istituto del diritto all’asilo, tra diritto internazionale e Costituzione italiana

L’istituto del diritto all’asilo, tra diritto internazionale e Costituzione italiana

Di Valentina Spata* e Christian Catera*

*Analista Geopolitica specializzata in Medioriente e Africa sub sahariana e in terrorismo internazionale. Esperta in Diritto delle Migrazioni e Diritti Umani. Collaboratrice ONU .

*Avvocato classe 1993, Founder Catera Studio Legale.

 

Sommario: 1. L’istituto del diritto all’asilo – 1.1. Il diritto di asilo – 1.2. Il diritto di asilo nella Costituzione italiana – 2. Diritto internazionale: la Convenzione di Ginevra – 2.1. Diritto internazionale: la Convenzione di Dublino

 

1. L’istituto del diritto all’asilo

1.1. Il diritto di asilo

Il principio del “diritto a un rifugio sicuro” di fronte alle persecuzioni perpetrate nello Stato di appartenenza o di residenza trova la sua giustificazione nella necessità imprescindibile di proteggere lo straniero, in quanto individuo indifeso.

È importante notare fin da subito che, nonostante si faccia riferimento ai “richiedenti asilo”, in realtà non vi è un’assimilazione completa tra il “diritto di asilo” e il “diritto al rifugio”. Il criterio distintivo risiede nel fatto che, mentre al rifugiato è garantita la protezione in presenza di fondate ragioni di temere persecuzioni nel proprio Paese, il diritto d’asilo spetta a coloro i quali hanno subito un’oggettiva repressione dei loro diritti civili e politici nel Paese di origine.

Uno Stato di diritto basato sui principi del costituzionalismo riconosce i diritti inalienabili dell’uomo, conferendo loro il ruolo di valori fondamentali del proprio ordinamento giuridico. In questa prospettiva, i diritti fondamentali vengono universalmente garantiti e indipendenti dalla cittadinanza, richiedendo la creazione di strumenti di tutela che superino i confini nazionali.

Gli Stati stanno rivalutando l’espansione della propria discrezionalità al fine di garantire la tutela dei diritti umani dei rifugiati, facendo affidamento in primo luogo sul diritto internazionale pattizio e consuetudinario che contribuisce ad arricchire il patrimonio valoriale di ciascuno Stato.

Nel contesto del diritto internazionale, la prima definizione generale di “rifugiati” – intesi come persone che, se facessero ritorno nel Paese di provenienza, sarebbero esposti a pericolo – è stata elaborata soltanto dopo la Prima Guerra Mondiale, nell’ambito della Società delle Nazioni. A questo ha fatto seguito la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948, la quale nel suo Preambolo sancisce che tutte le Nazioni, “avendo costantemente presente questa Dichiarazione”, si impegnano a promuovere il rispetto dei diritti e delle libertà in essa enunciati, in ossequio al principio di solidarietà. Ancor più eloquente in merito allo status di rifugiato è, sempre nell’ambito del diritto internazionale, la Convenzione di Ginevra del 1951 la quale ne fornisce una definizione informandosi al principio fondamentale del non-refoulement (non respingimento). La ragione storico-sociale che sottende la Convenzione consiste nella necessità di attribuire uno status giuridico a quei fuggitivi che, a seguito degli eventi della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda, temevano di rientrare in patria. Infine, va sottolineato il ruolo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) nel garantire la protezione dei diritti dell’uomo anche all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea. A livello europeo, la sfida di assicurare la tutela dei diritti inalienabili dell’individuo si scontra con i considerevoli flussi migratori e con le diverse posizioni degli Stati membri. In questo contesto, si pone il problema del bilanciamento tra gli interessi sottesi a ciascun ordinamento e la tutela dei diritti dei richiedenti, se si può parlare realmente di bilanciamento. La natura inviolabile ed assoluta dei diritti fondamentali implica l’indisponibilità degli stessi. Il dibattito giuridico ha spesso affrontato la questione se tale bilanciamento sia effettivamente possibile, tendendo verso una risposta negativa.

Le politiche europee sull’asilo e sull’immigrazione si sono trovate di fronte alla mancata piena armonizzazione degli ordinamenti, con conseguente divisione non equa delle responsabilità a spese dei richiedenti protezione internazionale e degli Stati situati lungo i confini. Pur riconoscendo e tutelando la sovranità degli Stati membri, una gestione razionale dei flussi migratori non può prescindere da un approccio armonizzato che rappresenti un comune sentire europeo. Di conseguenza, nell’ambito del diritto dell’Unione Europea sono stati progressivamente sviluppati vari strumenti per affrontare e gestire i considerevoli flussi migratori degli ultimi anni. Tali flussi migratori hanno generato una vera e propria “crisi migratoria”, che ha raggiunto il suo apice nel 2015 mettendo in luce tutti i limiti del Sistema Dublino così come definito e disciplinato nel Regolamento Dublino III, evidenziando la necessità di intervenire in senso riformatore, soprattutto in risposta agli atteggiamenti chiusi adottati da alcuni Stati membri dell’Unione Europea.

Nell’ambito delle fonti di natura europea, la protezione internazionale assume una portata più ampia rispetto a quella accordata nel contesto “internazionale”, rivolgendosi ad un novero di soggetti che ricomprende categorie ulteriori di legittimati alla protezione internazionale.

1.2. Il diritto di asilo nella Costituzione italiana

Il comma 3 dell’articolo 10 costituisce una disposizione estremamente garantista per il riconoscimento del diritto di asilo territoriale, rappresentando una delle formulazioni più ampie e lungimiranti in Europa. Mentre molte costituzioni degli altri Paesi lasciano alla legge la definizione dei requisiti per ottenere asilo, oppure richiedono che l’individuo sia oggetto di persecuzione politica nel suo Paese d’origine, la nostra Carta fondamentale va oltre, offrendo asilo non solo a coloro che sono perseguitati per le proprie opinioni politiche, ma anche a chi è cittadino di uno Stato in cui le fondamentali libertà democratiche non sono effettivamente riconosciute.

L’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana stabilisce che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

L’interpretazione dell’articolo 10, comma 3, della Costituzione è condivisa dalla dottrina e dalla recente giurisprudenza come il diritto soggettivo perfetto dello straniero – al quale nel suo Paese sia effettivamente negato l’esercizio anche di una sola delle nostre libertà – di entrare e soggiornare nel territorio dello Stato italiano, almeno al fine della presentazione della domanda d’asilo alle autorità italiane, diritto immediatamente azionabile anche in mancanza delle leggi ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo esercizio. In ogni caso, è opportuno considerare che l’insieme degli stranieri titolari del diritto d’asilo previsto in Costituzione è ben più ampio di quello dei soli perseguitati individuali definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, poiché comprende anche quei soggetti che fuggano dal proprio Paese per la necessità di salvare la propria vita, sicurezza o incolumità dal pericolo grave ed attuale derivante da situazioni di conflitto, guerra civile, disordini gravi e generalizzati, ferma restando la legittimità di misure statali volte a limitare l’ammissione degli stranieri nel territorio nazionale nel solo caso di esodo di massa. Tuttavia, in Italia non è mai stata adottata una legge per attuare la norma costituzionale sul diritto di asilo, né la giurisprudenza ha stabilito un orientamento uniforme sul contenuto di tale diritto. Una disciplina comune del diritto di asilo tra gli Stati membri dell’UE è prevista dal regolamento n. 604/2013, noto come regolamento di Dublino III. Inoltre, l’Italia accoglie coloro che lasciano il proprio paese a causa del pericolo di essere perseguitati (per le proprie convinzioni, opinioni politiche o orientamento sessuale), i quali possono chiedere asilo in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 e al Protocollo di New York del 1967.

Per concludere, riguardo al comma 4, questo impedisce l’estradizione per motivi politici. È quindi possibile distinguere tra tre tipi di Richiedenti Asilo:

  • Rifugiato politico: chi vive nel fondato timore di venir perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo;

  • Richiedente asilo: la persona che non chiede solamente il soggiorno, bensì anche la protezione, per essersi egli sottratto agli organi di giustizia del Paese d’origine per motivi di persecuzione infondata e ingiusta;

  • Profugo, fuggito per motivi legati alla guerra, alla persecuzione o a calamità naturali.

La tutela giuridica dello straniero residente in Italia è garantita mediante l’istituzione di una riserva rafforzata di legge: il trattamento legale al quale è sottoposto non è lasciato all’arbitrio dell’amministrazione pubblica, ma può essere determinato esclusivamente dalla legge e non può essere meno favorevole di quanto stabilito nelle norme del diritto internazionale, sia consuetudinarie che convenzionali.

2. Diritto internazionale: la Convenzione di Ginevra

In base al diritto internazionale, il termine “rifugiato” si riferisce a colui che è stato costretto dal proprio governo a lasciare il proprio paese e a cercare asilo in un altro paese, sia direttamente attraverso l’espulsione o l’impedimento al rientro in patria, che indirettamente a causa dell’effettiva o ragionevolmente temuta limitazione nell’esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali.

Questa nozione risulta ulteriormente specificata dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra, che indica i seguenti motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato:

  • Discriminazioni fondate sulla razza;

  • Discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico);

  • Discriminazioni fondate sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale;

  • Limitazioni al principio della libertà di culto;

  • Persecuzione per le opinioni politiche.

Mentre per quando riguarda la cessazione dello status di rifugiato avviene quando (sez. C dell’art. 1 della Convenzione):

  • Il rifugiato abbia nuovamente usufruito della protezione del Paese di cui abbia la cittadinanza oppure ne riacquisisca volontariamente la cittadinanza;

  • Il rifugiato sia tornato a stabilirsi volontariamente nel proprio Paese;

  • Il rifugiato abbia acquisito una nuova cittadinanza e goda della protezione del Paese che gliel’ha concessa;

  • Siano venute meno le condizioni in seguito alle quali la persona abbia ottenuto il riconoscimento della qualifica di rifugiato.

L’articolo 32 della Convenzione stabilisce chiaramente il divieto di espellere un rifugiato che risiede legalmente nel territorio di uno degli Stati contraenti, salvo per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. In tali circostanze, al rifugiato deve comunque essere garantita la possibilità di far valere le proprie ragioni e deve essere concesso un periodo di tempo per cercare di essere ammesso in un altro Paese.

Il principio del divieto di espulsione è stato incorporato nel testo unico del 1998 (art. 19), che vieta l’espulsione e il respingimento se, nello Stato verso cui lo straniero è estradato, potrebbe essere soggetto a persecuzione “per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali” (vedi scheda Immigrazione – Il contrasto all’immigrazione clandestina).

2.1. Diritto internazionale: la Convenzione di Dublino

Con la Legge n. 523 del 1992, l’Italia ha ratificato la Convenzione di Dublino relativa alla determinazione dello Stato competente per l’esame delle domande di asilo presentate in uno degli Stati membri della Comunità europea, in ottemperanza alle disposizioni della Convenzione di Ginevra. Gli Stati membri si impegnano ad esaminare le domande di asilo presentate da qualsiasi straniero in conformità con la propria legislazione e gli obblighi internazionali, secondo i criteri stabiliti negli articoli 5-8 della Convenzione. Ogni Stato membro ha il diritto di esaminare le domande di asilo, liberando così lo Stato competente.

Lo Stato competente ha l’obbligo di:

  • Accettare il richiedente asilo che abbia presentato domanda in altro Stato membro o di riammetterlo se si trova irregolarmente in altro Stato membro;

  • Condurre a termine l’esame della domanda.

Gli Stati membri hanno poi l’obbligo di:

  • Procedere a scambi reciproci riguardanti la legislazione nazionale e i dati statistici relativi al numero dei richiedenti asilo;

  • Comunicare a qualsiasi altro Stato membro che ne faccia domanda le informazioni di carattere personale necessarie per determinare lo Stato competente per l’esame della domanda e l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla Convenzione, ovvero (previo consenso dell’interessato) i motivi invocati dal richiedente a sostegno della domanda e della decisione presa nei suoi confronti.

In sintesi, lo status di rifugiato e le forme di protezione sussidiaria vengono riconosciute dopo un’approfondita valutazione da parte delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Secondo quanto stabilito dal Regolamento Dublino II dell’UE, uno straniero può presentare richiesta di protezione internazionale nello Stato in cui è entrato per primo, che quindi diventa competente per esaminare la domanda. Al fine di accelerare la procedura di ottenimento dello status di rifugiato, sono state introdotte varie normative riguardanti il personale e la composizione delle Commissioni territoriali e delle relative sezioni, nonché l’organizzazione delle diverse fasi di valutazione.


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