L’istituto del silenzio-assenso nella l. 241/1990 (modificata dal d.l. semplificazioni) tra esigenza di semplificazione e tutela degli interessi sensibili
L’art. 2 l. 241/1990 sancisce il dovere dell’amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, sia nell’ipotesi in cui il procedimento sia stato avviato su istanza di parte, sia in quella in cui sia stato avviato d’ufficio.
La ragione di tale dovere è illustrata nell’art. 1 l. 241/1990, norma che detta i principi generali a cui la p.a. deve attenersi nell’esercizio della propria attività: vengono in rilievo in special modo i principi di efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa, oltre che quelli di collaborazione e buona fede nei confronti del privato (di recente codificati con l’inserimento nell’art. 1 l. 241/1990 – operato con il d.l. 76/2020, detto d.l. semplificazioni, convertito con l. 12/2020 – del c.2bis), che risulterebbero frustrati in caso di mancata adozione di un provvedimento esplicito.
D’altro canto, l’obbligo della p.a. di provvedere espressamente deriva anche da quanto disposto da fonti sovraordinate alla legge ordinaria: il riferimento è alla Costituzione e alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. In particolare, a norma dell’art. 97 Cost. l’organizzazione dei pubblici uffici deve avvenire in modo da garantire il buon andamento dell’amministrazione. L’art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’UE afferma invece il diritto della persona ad una buona amministrazione, prevedendo la necessità che le questioni riguardanti le persone siano trattate entro un termine ragionevole.
Ed infatti il provvedimento amministrativo, oltre a dover essere espresso, deve essere emesso entro termini congrui stabiliti dalla legge; di regola il termine è pari a 30 gg, ferme le deroghe previste ai c.3 e 4 dell’art. 2 l. 241/1990.
Da quanto detto si evince l’importanza attribuita dalla Legge sul procedimento amministrativo all’adozione da parte della p.a. procedente di un provvedimento esplicito entro i termini di legge.
Alla violazione di tale dovere il legislatore riconduce una serie di conseguenze. In primo luogo, a norma dell’art. 2bis c.1bis l. 241/1990, il privato leso dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento ha diritto al risarcimento del danno da ritardo (a condizione, secondo la giurisprudenza – si veda da ultimo Cons. St. Sez. IV, 1 dicembre 2020 n. 7622 -, che venga dimostrata la probabile spettanza del bene della vita richiesto all’amministrazione); inoltre, quando si tratta di procedimenti relativi all’avvio o all’esercizio dell’attività di impresa, al privato può essere anche concesso un indennizzo.
Occorre anche ricordare che, secondo il disposto dell’art. 2 c.9 l. 241/1990, l’inottemperanza al dovere di provvedere tempestivamente è valutata sul piano della performance individuale ed è idonea a determinare la responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
Tornando al privato, va puntualizzato che egli ha diritto, oltre alla tutela risarcitoria e a quella indennitaria (alle condizioni sopra descritte), ad agire in giudizio con il “procedimento avverso il silenzio” (artt. 31 e 117 cpa) al fine di ottenere una sentenza che accerti l’obbligo della p.a. inadempiente di provvedere. Qualora l’attività dell’amministrazione sia vincolata o caratterizzata da bassa discrezionalità, il giudice adito potrà anche pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa.
Da quanto finora illustrato sembrerebbe discendere che un eventuale silenzio serbato dall’amministrazione a fronte dell’istanza presentata dal privato sia sempre privo di significato, e determini l’esperibilità da parte del privato di rimedi quale mezzo di reazione all’inadempimento. Al contrario, in numerosissime ipotesi l’inerzia della p.a. è significativa, equivalendo ad un diniego o ad un assenso (per sinteticità di esposizione, non si tratteranno qui le peculiari figure di silenzio facoltativo e devolutivo ex artt. 16 e 17 l. 241/1990 e il c.d. silenzio-rigetto configurabile nell’ambito del ricorso gerarchico).
Nel primo caso, l’istanza dell’interessato si intende rifiutata: è il caso della richiesta di accesso procedimentale ai sensi dell’art. 25 c.4 l. 241/1990 e della richiesta di accertamento di conformità in materia edilizia (art. 36 dpr 380/2001). Nel secondo caso invece il silenzio della p.a. è equiparato ad un provvedimento espresso di accoglimento; si parla in proposito di silenzio-assenso.
Il silenzio-assenso rappresenta l’ipotesi principale di silenzio significativo e trova una propria generale disciplina all’art. 20 l. 241/1990. Si tratta di un istituto di applicazione tutt’altro che residuale: all’opposto, esso ha portata generale, ricorre cioè sempre a meno che si verta in uno dei casi previsti dall’art. 19 l. 241/1990 (vale a dire quelli in cui l’attività del privato è totalmente liberalizzata, potendo la p.a. intervenire solo a posteriori) e a meno che sussista una delle eccezioni elencate dal c.4 dell’art. 20 l. 241/1990, cioè si tratti di procedimenti che involgono interessi particolarmente sensibili come l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza e la salute pubblica.
La disposizione in tema di silenzio-assenso prevede, nel dettaglio, che “il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3” – cioè entro il termine di conclusione del procedimento – “il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2” indicendo una conferenza di servizi.
Per quanto riguarda la ratio, la previsione di tale forma di silenzio a valenza generalizzata risponde ad una esigenza di semplificazione dell’attività amministrativa, necessaria allo scopo di assicurare il buon andamento e l’efficienza della p.a. così come sancito dalla Costituzione in ossequio altresì ai principi che ai sensi dell’art. 1 l. 241/1990 devono permeare l’agere amministrativo. Si tratta di una esigenza particolarmente importante, avvertita soprattutto a partire dagli anni ’90 del secolo scorso e variamente perseguita tramite interventi miranti a snellire il procedimento amministrativo, che coesiste con quella – ricordata all’inizio – della necessità di concludere il procedimento tramite un provvedimento espresso.
Con riguardo alla disciplina normativa, è invece necessario ricordare che il c.3 dell’art. 20 l. 241/1990 contempla il potere della p.a. di intervenire in autotutela ai sensi dell’art. 21nonies l. 241/1990 annullando o revocando il provvedimento di silenzio-assenso; tale disposto è coerente con la natura provvedimentale del silenzio-assenso, che implica la possibilità di adottare provvedimenti di secondo grado che incidano sullo stesso.
Si segnala che era invece controverso il valore da attribuire all’eventuale provvedimento espresso di diniego emesso dalla p.a. successivamente al formarsi del silenzio-assenso. Secondo la giurisprudenza (si veda ex multis T.A.R. Camp. Napoli Sez. VII, 28 maggio 2018 n. 3493), si trattava di un provvedimento annullabile, in quanto afflitto dal vizio della violazione di legge (che impone alla p.a. di provvedere entro un certo termine, decorso il quale si forma il silenzio-assenso).
La questione è stata però affrontata in un recentissimo intervento legislativo: con la legge 12/2020 che ha convertito il già citato d.l. semplificazioni, nell’art. 2 l. 241/1990 è stato inserito il c.8bis, che ha stabilito che “Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’articolo 14-ter, comma 7 […] sono inefficaci”.
Pertanto, il provvedimento dell’amministrazione intervenuto dopo la formazione del silenzio (non solo nell’ipotesi di cui all’art. 20 l. 241/1990, ma anche nell’ambito della conferenza di servizi o dei rapporti tra amministrazioni – istituti che saranno menzionati nel prosieguo -) è inefficace. La sanzione dell’inefficacia è stata verosimilmente introdotta dal legislatore al fine di alleggerire la posizione del privato, che nel regime previgente doveva impugnare entro 60 gg un eventuale provvedimento tardivo.
Pare opportuno adesso soffermarsi su alcune questioni (affrontate dalla giurisprudenza o che emergono dalla disciplina normativa) riguardanti il silenzio-assenso in materie connotate dalla presenza di interessi sensibili.
Una prima questione attiene alla configurabilità del silenzio-assenso a seguito della richiesta all’ente parco di un nulla-osta ai sensi dell’art. 13 della legge 394/1991 (Legge quadro sulle aree protette). Tale norma concerne il “rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco”, che “è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco”. In essa si prevede che decorso il termine di 60 gg dalla richiesta, il nulla-osta si intende rilasciato; si sottolinea che la disposizione è stata introdotta nel 1991, epoca in cui le ipotesi di silenzio-assenso erano rare ed episodiche (tanto che l’art. 20 l. 241/1990 allora vigente affidava ad un dpr la loro identificazione, e non escludeva – come invece fa ora – dall’ambito di operatività della norma le materie incidenti su interessi sensibili).
A seguito della modifica che ha riguardato l’art. 20 l. 241/1990 (che esclude la materia dell’ambiente dal novero di quelle in cui può operare il silenzio-assenso), si è posto pertanto il problema di stabilire se l’art. 13 l. 394/1991 sia stato implicitamente abrogato dalla novella legislativa o, all’opposto, continui ad essere in vigore.
Ebbene, i giudici amministrativi (Cons. St. Ad. Pl., 27 luglio 2016 n. 17), chiamati a decidere sul punto, hanno statuito che nonostante la modifica intervenuta sull’art. 20 l. 241/1990, a fronte della richiesta di nulla-osta all’ente parco continua a formarsi il silenzio-assenso. Infatti, il legislatore non ha espressamente abrogato le ipotesi di silenzio-assenso in materia ambientale già vigenti, il che lascia intendere che le stesse restano in vigore come ipotesi eccezionali rispetto alla nuova regola sancita dall’art. 20 l. 241/1990. Inoltre il nulla-osta dell’ente parco, a detta dei giudici del Consiglio di Stato, sarebbe il frutto di procedimento a bassa discrezionalità (si parla di un “margine di discrezionalità tecnica […] ben più ridotto di quanto sarebbe, ad esempio, per un’autorizzazione che fosse prevista per valutare la concreta compatibilità dell’intervento con un vincolo interessante il territorio”): l’ente parco, infatti, deve effettuare una mera valutazione di conformità tra l’opera che il privato intende realizzare da un lato, e le disposizioni e il regolamento del parco dall’altro (sarà invece l’amministrazione procedente, nell’ambito del più ampio procedimento in cui si inserisce il rilascio del nulla-osta, a dover discrezionalmente valutare interessi connessi all’ambiente). Essendo quindi la verifica rimessa all’ente parco puramente formale, ne deriva la non indispensabilità dell’adozione di un provvedimento espresso.
Conclusivamente, l’ipotesi del nulla-osta dell’ente parco va considerata speciale, e non può ritenersi implicitamente abrogata a fronte dell’introduzione di un silenzio-assenso generalizzato, in virtù del principio espresso dal brocardo “lex posterior generalis non derogat priori speciali” (la legge successiva generale non deroga a quella precedente speciale).
Occorre a questo punto soffermarsi, sul piano normativo, sulle altre forme di silenzio-assenso introdotte dal legislatore sulla base dell’archetipo rappresentato dall’art. 20 l. 241/1990. Si tratta del silenzio-assenso nell’ambito della conferenza di servizi e di quello nell’ambito dei rapporti tra amministrazioni, oggetto peraltro di recenti modifiche.
Gli artt. 14bis e 14ter l. 241/1990 disciplinano la conferenza di servizi semplificata e simultanea tra amministrazioni prevedendo che qualora un’amministrazione rimanga inerte, su tale inerzia si forma il silenzio-assenso, anche se tale amministrazione è preposta alla tutela ambientale (diversamente da quanto stabilito dall’art. 20 l. 241/1990). In materie come l’ambiente opera soltanto un più lungo termine per provvedere (pari a 90 gg) rispetto ai casi ordinari.
Ugualmente, l’art. 17bis l. 241/1990, concernente il silenzio dell’amministrazione codecidente o – a seguito della modifica operata con il d.l. semplificazioni – anche proponente nell’ambito di procedimenti in cui intervengono più p.a., stabilisce l’operatività del silenzio-assenso anche nelle materie sensibili (anche qui, derogando alla disciplina generale in tema di silenzio-assenso).
Va peraltro sottolineato che il meccanismo previsto dall’art 17bis l. 241/1990 prevede che l’amministrazione codecidente rimasta inerte abbia comunque ricevuto uno schema di provvedimento da parte della p.a. procedente; pertanto, il silenzio serbato presuppone comunque la conoscenza dei tratti essenziali del provvedimento finale. Allo stesso modo, quando a rimanere in silenzio è l’amministrazione proponente, la formazione del silenzio presuppone l’invio alla stessa di uno schema di provvedimento.
Nei procedimenti inerenti interessi particolarmente rilevanti vige però, come nella conferenza di servizi, il più lungo termine di 90 gg.
Resta comunque ferma, sia nella conferenza di servizi sia nel silenzio-assenso tra amministrazioni, la non configurabilità del silenzio-assenso in materie come l’immigrazione o la sicurezza: in tali settori, quindi, non ci si discosta dalla disciplina generale dell’art. 20 l. 241/1990.
Alla luce di quanto esposto, si può affermare che il legislatore ha finora tentato di contemperare le esigenze di semplificazione di cui è espressione l’istituto del silenzio assenso con la tutela di interessi sensibili (come quello ambientale), ritenuta talora (ma non sempre) in contrasto con la mancanza di un provvedimento espresso. In ogni caso, la previsione generalizzata del silenzio-assenso non ha fatto venir meno il principio costituito dalla necessità per l’amministrazione di adottare, a conclusione del procedimento, un provvedimento espresso, in un’ottica di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa.
– F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, VIII ed., Dike, 2015;
– E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, XIX ed., Giuffré, 2017;
– Lezioni prof. L. S. Bertonazzi tenute nell’ambito del Corso teorico-pratico in diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo di preparazione al concorso in magistratura ordinaria, organizzato dalla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali delle Università degli Studi di Milano, di Milano Bicocca e dell’Insubria in collaborazione con Fondazione Istud, frequentato nel periodo 10/2016-06/2017.
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