Lite temeraria e compensazione delle spese di lite
L’art. 96 c.p.c. negli ultimi anni è stato protagonista di un acceso dibattito giurisprudenziale.
Oggetto della discussione è stato il tema della dichiarazione di soccombenza reciproca, con conseguente compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c., qualora una parte, vittoriosa rispetto alla propria domanda principale, abbia al contempo ottenuto il rigetto dell’istanza di lite temeraria avanzata nei confronti della controparte.
La normativa
L’art. 96 c.p.c. disciplina la c.d. responsabilità aggravata o per lite temeraria.
Ai sensi del primo comma, se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese di lite, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.
La ratio dell’istituto è la tutela di un soggetto dal c.d. illecito processuale, che può consistere, alternativamente, nel comportamento di colui che agisce o resiste in giudizio: a) con la consapevolezza dell’infondatezza della propria pretesa o difesa, abusando del diritto d’azione; b) con la mancanza di quel minimo di diligenza o prudenza necessarie per rendersi conto dell’infondatezza della propria pretesa e per valutare le conseguenze dei propri atti.
Ai fini dell’applicazione dell’istituto in esame devono sussistere dei presupposti oggettivi e soggettivi.
Presupposto oggettivo è la totale soccombenza della parte nei cui confronti è avanzata la domanda di responsabilità aggravata.
Da un punto di vista soggettivo, invece, la condotta del litigante temerario deve essere caratterizzata dalla malafede o dalla colpa grave. La prima è la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa o difesa; la seconda è la mancanza di quel minimo di diligenza richiesta per l’acquisizione di tale consapevolezza.
Il secondo comma della disposizione disciplina, accomunandole tra loro, specifiche ipotesi di responsabilità aggravata: l’esecuzione di un provvedimento cautelare, la trascrizione di una domanda giudiziale, l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale, l’avvio o il compimento dell’esecuzione forzata.
Si tratta di ipotesi tassative che, pur rientrando nell’alveo del principio generale di cui al primo comma, rispetto alla condotta in quest’ultimo descritta, prevedono altri requisiti, diversi e ulteriori, perché possa dirsi integrato l’illecito processuale.
In primo luogo, oltre alla totale soccombenza del litigante temerario, deve sussistere l’inesistenza del diritto, da intendersi come accertata insussistenza della situazione giuridica sostanziale a tutela della quale sono stati compiuti gli atti indicati dalla stessa norma.
Dal punto di vista soggettivo, invece, per integrare la responsabilità non sono richiesti dolo o colpa grave, ma la sola assenza di normale prudenza, da intendersi nel senso di colpa lieve.
Il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. prevede che in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., il giudice, anche d’ufficio, possa altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata[1].
L’evoluzione giurisprudenziale
Poste tali premesse in merito alla disciplina generale dell’art. 96 c.p.c., si può ora esaminare il tema della compensazione delle spese di lite, derivante dalla declaratoria di soccombenza reciproca, nel caso in cui una parte processuale abbia ottenuto, allo stesso tempo, l’accoglimento della propria domanda principale e il rigetto della domanda di lite temeraria avanzata nei confronti della controparte.
Con la sentenza n. 20838 del 14 ottobre 2016, la Corte di Cassazione ha affermato che nel caso in cui venga rigettatala domanda proposta ai sensi dell’art. 96 c.p.c. da una parte processuale, nonostante sia stata accolta la domanda principale di merito avanzata dalla medesima, si configura l’ipotesi di parziale soccombenza reciproca che giustifica la compensazione totale o parziale delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c..
La decisione dalla Corte di legittimità si fonda su due motivi.
In primo luogo, la natura autonoma della domanda di condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c..
In secondo luogo, il c.d. principio di causalità, in base al quale gli oneri processuali ricollegabili all’attività svolta per l’istruzione e decisione delle varie domande proposte (o dei vari capi dell’unica domanda, o anche dell’unica domanda che sia risultata solo in parte fondata), sono imputabili alla parte che vi ha dato causa per aver resistito infondatamente alle altrui pretese avanzate ovvero per avere avanzato pretese infondate (ex multis Cass. 3438/2016).
Pertanto, data la natura autonoma della domanda di lite temeraria, ove la stessa sia infondata, sono imputabili al soggetto istante, per avervi dato causa, gli oneri processuali inerenti la relativa decisione. Conseguentemente, il rigetto di tale istanza, contrapposto all’accoglimento della domanda principale, giustifica la soccombenza reciproca e la compensazione delle spese di lite.
Successivamente, con la sentenza n. 9532 del 12 aprile 2017 la Suprema Corte ha statuito che, in caso di rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, non si configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, sicché non può essere disposta la compensazione delle spese di giudizio ai sensi dell’art. 92 c.p.c..
Ribaltando l’indirizzo affermato con la sentenza del 2016, la Cassazione attribuisce alla domanda di lite temeraria una natura meramente accessoria e non autonoma. L’eventuale rigetto di tale domanda, pertanto, in quanto trattasi di un’istanza non in contrapposizione con la domanda principale avanzata dallo stesso istante ex art. 96 c.p.c., deve ritenersi assorbito dall’accoglimento della domanda principale medesima. Con la conseguenza che non è configurabile una soccombenza reciproca e, quindi, la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c..
Questa seconda opzione interpretativa è stata avallata dalla sentenza n. 11792 del 15 maggio 2018 e dalla pronuncia n. 22952 del 13 settembre 2019, che ne hanno peraltro esteso la portata.
Con la decisione del 2018, la Corte ha stabilito l’insussistenza della soccombenza reciproca e della conseguente compensazione delle spese di lite, partendo dal presupposto della natura meramente accessoria della domanda ex art. 96 c.p.c. rispetto all’effettivo tema di lite cui va rapportata la verifica della soccombenza e sottolineando che detta domanda ha, quale condizione necessaria, ma non sufficiente, per il suo accoglimento, proprio il riconoscimento della soccombenza integrale della parte cui si attribuisce l’illecito processuale.
Con la pronuncia del settembre 2019, la Cassazione ha completato il quadro argomentativo.
In detta decisione, la S.C. ha precisato che l’impossibilità di dichiarare la soccombenza reciproca e la compensazione ex art. 92 c.p.c. si fonda non tanto sulla natura della domanda di lite temeraria, “pur indubbiamente accessoria”, quanto sull’accertamento della totale soccombenza del soggetto presunto litigante temerario.
Il ragionamento seguito dalla Corte di legittimità in queste due decisioni parrebbe essere il seguente.
La domanda di condanna per responsabilità aggravata ha natura accessoria rispetto alla domanda principale di merito proposta dallo stesso istante.
Il presupposto principale, ma non esclusivo, per l’esame, e quindi per la decisione, sulla domanda di lite temeraria è la soccombenza del soggetto contro cui viene proposta e di riflesso l’accoglimento della domanda principale del soggetto che chiede la condanna ex art. 96 c.p.c. (ex multis Cass. 7409/2016).
Ove il soggetto contro cui è proposta la domanda di lite temeraria venga dichiarato soccombente rispetto alla domanda principale del giudizio, sussistono i requisiti per decidere sulla responsabilità aggravata.
In caso di rigetto dell’istanza avanzata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., stante la sua natura accessoria, non pare si possano ritenere sussistenti oneri processuali imputabili all’istante, tali da giustificare, in forza del principio di causalità, la soccombenza reciproca.
Gli oneri processuali eventualmente derivanti dal rigetto della domanda di responsabilità aggravata, infatti, rimangono assorbiti dall’accoglimento della domanda principale, stante la loro accessorietà
Con la conseguenza che non è possibile dichiarare la compensazione delle spese di lite.
Conclusioni
Da quanto sopra esposto si desume che la giurisprudenza maggioritaria della Corte di Cassazione propende per l’impossibilità di dichiarare la soccombenza reciproca, e con essa la compensazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c., nel caso in cui una parte processuale abbia ottenuto l’accoglimento della propria domanda principale e, al contempo, si è vista rigettare la domanda di lite temeraria avanzata ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
[1] Le ipotesi di responsabilità aggravata previste dai primi due commi e quella oggetto dell’ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. si caratterizzano per rilevanti differenze, sia dal punto di processuale che da quello della natura della responsabilità stessa.
A livello strettamente processuale, in primo luogo, la condanna di cui al primo e secondo comma necessita di una espressa istanza di parte e non può essere pronunciata d’ufficio (l’inciso contenuto nella parte finale della norma relativo ad una liquidazione “anche di ufficio” deve intendersi riferito ad un potere di valutazione equitativa del giudice, relativamente al solo quantum del danno).
La declaratoria di responsabilità ai sensi del terzo comma, invece, può essere attivata prescindendo da un’esplicita richiesta di parte.
In secondo luogo, la prova del danno da illecito, nelle ipotesi di cui a commi 1 e 2, incombe sul soggetto leso, il quale avrà l’onere di dimostrare l’esistenza e l’entità di un evento pregiudizievole discendente, con nesso causale, dalla condotta illecita della controparte, nonché dello stato soggettivo che caratterizza quest’ultima. La quantificazione del danno di cui al comma 3, a differenza delle altre due, è indipendente dalla prova del danno causalmente derivato dalla condotta processuale dell’avversario, in quanto, essendo collegata ad una iniziativa anche d’ufficio del giudice, è rimessa alla sua discrezionalità.
Sulla scorta di tali considerazioni vi è chi ritiene che il terzo comma dell’art. 96. c.p.c. abbia introdotto nel nostro codice l’istituto dei danni punitivi, inquadrabili, più specificatamente, nella categoria delle sanzioni civili indirette, cioè di quelle misure afflittive patrimoniali legislativamente tipizzate, che vengono irrogate dall’autorità giudiziaria per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.