Lo sgombero dell’immobile di proprietà comunale spetta al Dirigente e non al Sindaco
L’ordinanza di sgombero degli immobili comunali è una prerogativa del Dirigente amministrativo e non rientra tra le competenze del Sindaco. Nota a Cons. di Stato, sez. VII, 23 gennaio 2024 n. 2914.
Avv. Dott. Renzo Cavadi
Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La vicenda da cui si è sviluppato il contenzioso – 3. Il ricorso di fronte al TAR Campania contro l’ordinanza del Dirigente comunale e la decisione del giudice di primo grado – 4. I motivi di appello sollevati davanti al Consiglio di Stato – 5. La traiettoria argomentativa seguita dai giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, sez. VII, 23 gennaio 2024 n. 2914) – 6. Riflessioni finali
1. Premessa introduttiva
Ai beni del patrimonio indisponibile è applicabile il principio in tema di sdemanializzazione tacita, la quale è ravvisabile solo in presenza di atti e/o fatti che mostrino inequivocabilmente la perdita di destinazione ad uso pubblico del bene, non potendosi desumere tale conseguenza dalla mera circostanza che il medesimo non sia più adibito, anche per lungo tempo all’uso pubblico.
In caso di occupazione abusiva, un bene appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile, l’amministrazione, ai sensi dell’articolo 823, comma 2, c.c., può esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio, non potendosi giammai ingenerare un affidamento “legittimo” in presenza di una situazione connotata da evidente illegittimità.
Non è, infine, revocabile in dubbio che la competenza ad adottare il provvedimento di sgombero di proprietà comunali sia del dirigente e non del sindaco. L’attività in questione non ha alcun contenuto politico, trattandosi di mera gestione, sicché il relativo provvedimento può essere legittimamente adottato dal dirigente preposto allo specifico settore, rinvenendosi la fonte del relativo potere nella previsione di cui all’art. 107, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267.
Sulla base di tali presupposti il Consiglio di Stato, sez. VII, con un’interessante pronunzia del 23 gennaio 2023, n. 2914 (Est. L. Marzano), ha colto l’occasione per ribadire nel suo insieme, che la competenza ad adottare un’ordinanza di rilascio di un immobile comunale (appartenente al patrimonio indisponibile), spetta direttamente al dirigente amministrativo e non al Sindaco.
La pronunzia dei giudici di Palazzo Spada ha il pregio altresì, di aver affrontato e approfondito sotto diversi aspetti, uno delle ipotesi più attuali concernenti le diverse problematiche concernenti la separazione delle competenze tra organi di governance dell’Ente locale e della dirigenza([1]), così come previsto dall’articolo 4 del D. Lgs. n. 165/2001 e dal D. Lgs n. 267/2000.
2. La vicenda da cui si è sviluppato il contenzioso
Il Comune di Aversa, è proprietario di una parte di suolo in forza di cessione gratuita formalizzata con atto rogato dal segretario generale, quale quota parte degli standard urbanistici derivanti da programma di fabbricazione approvato con delibere comunali del 1975: la cessione era correlata al rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni, ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
Nell’atto di cessione, era stabilito che l’area ceduta dovesse essere sistemata a verde pubblico, su progetto del Comune, a cura e spese della cedente s.r.l. Cooperativa Habitat.
Di fatto tale area, è stata utilizzata dai condomini, fino alla data di adozione di un’ordinanza di ingiunzione (la n. 85 del 6 maggio 2016), a firma del Dirigente – Ufficio Patrimonio del Comune di Aversa, concernente il rilascio dell’area la quale, nelle motivazioni evidenziate dall’Amministrazione comunale, risultava illegittimamente occupata ed utilizzata a fini privati.
3. Il ricorso di fronte al TAR Campania contro l’ordinanza del Dirigente comunale e la decisione del giudice di primo grado
I condomìni coinvolti, nonché destinatari dell’ordinanza in oggetto, ritenendo viziato e ingiusto il provvedimento adottato dal Dirigente del Comune di Aversa, decidevano di far valere le loro ragioni giuridiche, impugnando l’ordinanza comunale davanti al TAR Campania chiedendone l’annullamento.
Ebbene i giudici del TAR Campania, attraverso la sentenza n. 4979/2022, respingevano le censure dei condomini sollevate contro l’amministrazione comunale, riconoscendo la validità e la legittimità dell’ordinanza emessa dal Dirigente del Comune di Aversa.
In via preliminare il giudice di prime cure, sottolineava come l’attività di autotutela esercitata dal Comune di Aversa, non fosse legato a vincoli temporali e non doveva essere supportata da particolari oneri motivazionali (distinti dal semplice ripristino della legalità), “non essendo configurabile alcun legittimo affidamento a fronte di occupazioni palesemente abusive”.
Ciò premesso per quanto di nostro interesse, il Collegio Amministrativo campano riteneva perfettamente sussistente la competenza del Dirigente del Comune, ad adottare l’ordinanza di ingiunzione finalizzata al rilascio dell’area destinata a standard urbanistici e illegittimamente occupata dai condomini.
Questi ultimi dal canto loro, ritenendo ingiusta la sentenza di primo grado, la quale non aveva dunque riscontrato alcun vizio nell’ordinanza adottata dal Comune, decidevano d’impugnarla di fronte al Consiglio di Stato, chiedendone l’integrale riforma.
4. I motivi di appello sollevati davanti al Consiglio di Stato
A tal proposito occorre precisare che gli appellanti, contestano diversi aspetti della sentenza di primo grado, tra cui, la presunta destinazione ad uso pubblico del bene e la conseguente inclusione dello stesso nel patrimonio indisponibile dell’ente, sebbene l’area di cui si discute, fosse occupata da oltre vent’anni dagli stessi condomìni. A conferma di quanto sollevato davanti ai giudici di Palazzo Spada, parte appellante infatti, evidenzia che con provvedimento sindacale del 27 ottobre 1986, il Comune di Aversa, autorizzava in via espressa i condomìni “a poter eseguire lavori di sistemazione a verde e recinzione del lotto di terrendo di proprietà comunale”.
La stessa statuizione del giudice di prime cure sarebbe da censurare in quanto, non avrebbe inoltre rilevato l’assoluta incompetenza del dirigente del Comune ad adottare l’ordinanza d’ingiunzione, laddove invece, la competenza sarebbe stata da ascrivere esclusivamente tra le prerogative del Sindaco.
Per la parte appellante, la decisione del TAR Campania, non avrebbe tenuto debitamente in considerazione il legittimo affidamento dei condomini i quali, occupavano l’area da diverso tempo (segnatamente da oltre 20 anni).
Infine parte appellante, censurava la sentenza del giudice di prime cure, nella parte in cui avrebbe ritenuto non condivisibili le doglianze sull’operato dell’amministrazione comunale, legate a un presunto difetto di motivazione e carenza e/o non sufficiente istruttoria.
L’amministrazione comunale dal canto suo, fermamente convinta della propria decisione esplicata in persona del proprio Dirigente, difendeva la propria posizione giuridica, evidenziando in memoria, la legittimità dell’atto adottato e la sua competenza ex lege a poterlo emanare.
5. La traiettoria argomentativa seguita dai giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, sez. VII, 23 gennaio 2024 n. 2914)
La sentenza del Consiglio di Stato, conferma in maniera inequivocabile la proprietà del Comune sull’area in questione, la quale risulta acquisita attraverso una cessione gratuita avvenuta nel lontano 1982.
Ai fini della decisione della controversia sottoposta alla loro attenzione, i giudici del Consiglio di Stato, precisano che la proprietà dell’area di cui si discute non può che appartenere proprio al Comune. A conferma di tale assunto tale circostanza, si ricava dall’atto di cessione gratuita avvenuta nel lontano 1982 “non risultando che il Comune abbia mai inteso abdicare, neanche per facta concludentia, alla titolarità della stessa”.
L’autorizzazione sindacale ad eseguire i lavori di recinzione, invocata dalla parte appellante a sostegno di una non precisata titolarità dei condomìni sull’area, secondo i giudici di Palazzo Spada, “depone in senso esattamente contrario a quello preteso dalla stessa parte”. Infatti il provvedimento del sindaco, datato 1986 (vista l’istanza dei legali rappresentanti delle cooperative Habitat e Parco Milena finalizzata ad ottenere l’autorizzazione a realizzare a cura e spese degli stessi, i lavori di sistemazione a verde e di parziale recinzione del lotto di terreno di proprietà comunale), “concedeva l’autorizzazione a condizione che l’area restasse a disposizione dell’amministrazione comunale “per l’uso che alla stessa è proprio, e che fosse garantita la sola accessibilità pubblica al lotto”.
In sostanza, nel contenuto dell’autorizzazione (dove si evinceva che sia la proprietà in capo al Comune sia la destinazione pubblica dell’area), l’attuazione della previsione inserita nell’atto di cessione gratuita rogato dal segretario generale, stabiliva che l’area ceduta dovesse essere sistemata a verde pubblico, su progetto dell’amministrazione comunale, a cura e spese della cedente Cooperativa Habitat.
Su tale area, pertanto, la parte appellante non può rivendicare alcuna titolarità né possessoria né proprietaria, in ipotesi derivante da usucapione, sia per la natura del bene, appartenente al patrimonio indisponibile del Comune di cui all’articolo 826 c.c. (stante la proprietà in capo alla P.A. e la sua concreta destinazione a fini pubblici), sia per assenza dei presupposti di ciascuna delle suddette situazioni, le quali, in ogni caso, necessiterebbero di apposite pronunce del giudice ordinario, nel caso di specie assenti, sia per quanto riguarda il possesso sia per quanto riguarda la proprietà. Il Consesso Amministrativo, nel richiamare un precedente orientamento dei giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7365), ricorda che “Ai beni del patrimonio indisponibile è applicabile il principio, in tema di sdemanializzazione tacita, la quale è ravvisabile solo in presenza di atti e/o fatti che mostrino inequivocabilmente la perdita di destinazione ad uso pubblico del bene, non potendosi desumere tale conseguenza dalla mera circostanza che il medesimo non sia più adibito, anche per lungo tempo, all’uso pubblico”. ciò posto, i giudici del Consiglio di Stato evidenziano che oltre a essere decisamente irrilevante “è palesemente non corrispondente al vero la tesi, prospettata dalla parte appellante, secondo cui il Comune per molti anni non avrebbe inteso adibire l’area allo specifico standard (verde pubblico) per il quale era stata acquisita”.
Del resto l’amministrazione comunale, in attuazione di quanto indicato nell’atto di cessione dell’area, aveva autorizzato la parte cedente, a sua cura e spese e, cosa più importante, senza nulla pretendere in cambio, “a sistemare l’area a verde pubblico, ferma restandone la proprietà comunale e l’utilizzazione pubblica”.
Ciò premesso, occorre sottolineare che all’esito di sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale in data 2016, dal rapporto circostanziato, si evidenziava che, l’area risultava invece abusivamente adibita ad uso privato, motivo per cui il Comune di Aversa ex lege, ha inevitabilmente attivato il proprio potere di autotutela esecutiva disciplinato dall’art. 823 c.c, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile. Secondo la Sezione decidente, che richiama giurisprudenza consolidata sul punto “in caso di occupazione abusiva di un bene appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile, l’amministrazione, ai sensi del citato articolo 823, comma 2, del codice civile, può esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio (Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554)”.
Per il Collegio Amministrativo, siffatto provvedimento ha natura doverosa e vincolata, non essendo retto da una particolare onere motivazione, e non poggiando su una preventiva comparazione con gli interessi in gioco del privato occupante, “non potendosi giammai ingenerare un affidamento legittimo in presenza di una situazione connotata da evidente abusività”. Secondo i giudici del Consiglio di Stato, l’ordine di rilascio ai sensi del comma 2 dell’art. 823 c.c. è infatti, un provvedimento di matrice sostanzialmente vincolata, il quale peraltro, “non necessita di particolare motivazione se non quella necessaria a dare atto dell’accertamento dell’abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l’esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico”.
A sostegno di quanto evidenziato, il Collegio Amministrativo richiamando orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa dei giudici di Palazzo Spada, precisa che in tale circostanza non osta nemmeno il fatto che “vi sia stata un’eventuale iniziale tolleranza in merito all’occupazione del bene, non radicando un simile contegno dell’amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all’occupante sine titulo” (Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775).
Ciò premesso, i giudici del Consiglio di Stato, passano a valutare il secondo motivo di doglianza sollevato da parte appellante, vale a dire la presunta incompetenza del Dirigente dell’Amministrazione comunale a emettere l’ordinanza d’ingiunzione nei confronti dei condomini in luogo del Sindaco del Comune di Aversa.
Ebbene secondo il Collegio Amministrativo “Non è, infine, revocabile in dubbio che la competenza ad adottare il provvedimento in questione sia del dirigente e non del sindaco”. A tal proposito secondo il pensiero dei giudici di Palazzo Spada, per i quali deve tenersi sempre a mente il fondamentale ed insuperabile principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione, deve osservarsi “che l’attività di sgombero di proprietà comunali non ha alcun contenuto politico, trattandosi di attività di mera gestione, sicché il relativo provvedimento può essere legittimamente adottato dal dirigente preposto allo specifico settore, rinvenendosi la fonte del relativo potere nella previsione di cui all’art. 107, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267”.
Motivo per cui, agli occhi del Collegio Amministrativo, risulta perfettamente legittima la condotta dell’Amministrazione comunale che ha esternato la sua volontà, attraverso la longa manus del Dirigente del Comune in una fattispecie per la quale la sfera di competenza non ricadeva tra i poteri del Sindaco([2]). In sostanza, i giudici del Consiglio di Stato, sostenendo che il Comune (anche nella figura del Dirigente dell’Ufficio del Patrimonio), possiede ex lege il pieno diritto di esercitare il potere di autotutela esecutiva, ritengono legittimo il provvedimento finalizzato al ripristino della legalità (mantenendo la priorità sulla proprietà dell’area e garantendo il suo utilizzo pubblico), in caso di occupazione abusiva di un bene comunale, senza essere vincolato da limiti temporali.
Sulla base di tali presupposti, delle considerazioni svolte e della giurisprudenza richiamata, il Consiglio di Stato respinge l’appello, confermando la sentenza emessa dal TAR Campania.
6. Riflessioni finali
La sentenza del Consiglio di Stato, evidenzia l’importanza all’interno delle amministrazioni comunali, della netta e fondamentale separazione tra i poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo (la cosidetta governance dell’Ente locali) spettanti al Sindaco (e più in generale agli organi di governo), e quelli di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, di pertinenza invece dei dirigenti, espressa dal combinato disposto dai commi 1 e 2 dell’articolo 107 del D. Lgs. n. 267/2000 ([3]) e dall’articolo 4 del D. Lgs. n. 165/2001 ([4] ) con la conseguenza, ribadita anche dalla giurisprudenza amministrativa che «tutta l’attività gestionale rientra, unitamente alle scelte che le sono inerenti, nella sfera delle competenze dirigenziali, e non in quella degli organi politici» (C.G.A. per la Regione Sicilia, 17 giugno 2016, n. 173).
Sicché l’ordine di sgombero dagli immobili di proprietà comunali (occupati da persone senza alcun titolo), fisiologicamente finalizzato alla riacquisizione all’uso originario dei beni dell’Amministrazione comunale, non costituisce un atto di indirizzo né di governance amministrativa, trattandosi invece di un atto di gestione e come tale, lontano dall’indirizzo politico fornito dal Primo Cittadino.
([1])I n argomento si veda in particolare G. LA GRECA, Sgombero e demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio comunale: natura del potere, giurisdizione e responsabilità in Riv. Azienditalia, 7, 2020.
([2])La decisione del Consiglio di Stato trova conferma anche nell’orientamento della giurisprudenza amministrativa di primo grado. A tal proposito si veda per tutte TAR Sicilia, n. 2134/2021, Tar Lombardia n. 1184/2020 e TAR Abruzzo n. 434/2019.
([3])Il comma 1 dell’articolo 107 del d. Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali) così dispone: “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Il successivo comma 2 afferma che: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”.
([4])Il comma 4 del D. lgs. n. 165/2001 (recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) cosi dispone: “I dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa della gestione e dei relativi risultati”.
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