Lo stalking condominiale
Quando parliamo di stalking siamo immediatamente portati a pensare al reato introdotto dal legislatore con l’articolo 612 bis c.p. nel 2009 che inquadra la fattispecie delittuosa nella condotta di chi, “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, salvo che questo non costituisca reato più grave.
Siamo in presenza di un intervento legislativo molto importante nel panorama penale italiano che introduce il reato di persecutori quasi a creare una disciplina generale che non si esaurisce, appunto, nello stalking, ma lo include.
Questa precisazione, come avremo modo di vedere di qui a breve, è particolarmente rilevante poiché la disciplina in parola deve essere considerata, in base a quanto ci dice la giurisprudenza, estendibile a fattispecie che non riterremo annoverabili al disposto normativo cui stiamo facendo riferimento nella sua accezione più immediata.
Il fenomeno dello stalking è stato ed è, infatti, oggetto di grande attenzione e l’intervento del legislatore del 2009, dopo numerose pressioni di opinione pubblica e dottrina, si deve leggere come orientato a colmare un vuoto normativo di cui si sentiva la stringente esigenza per rispondere ad una realtà di violenza che, molto spesso, si perpetrava nei rapporti di coppia, in corso o finiti, e non solo.
Dopotutto dobbiamo ricordare che il termine stalking deriva dal verbo inglese to stalk che letteralmente vuole dire fare la posta ed esprime in modo chiaro il concetto di colui che si apposta, si occulta per spiare la vita della sua vittima e per stare pronto, in agguato, per arrecarle danno.
Si tratta di una qualificazione molto puntuale che evidenzia sia i profili di condotta, tipici, dello stalker che quelli della vittima. Se da una parte, infatti, abbiamo un soggetto che si comporta in modo da incutere paura, timore, avendo un atteggiamento minaccioso o comunque molesto prima di sfociare in condotte fisicamente violente, dall’altra abbiamo la vittima che subisce queste condotte e vive sensazioni di ansia, paura, angoscia ed, in sostanza, non può condurre una vita normale e serena.
Queste caratteristiche, dunque, non necessariamente devono essere tipiche di una relazione di tipo sentimentale e di tutte le sue deviazioni, ma, come ha avuto modo di osservare la giurisprudenza, possono essere associabili ad altri rapporti interpersonali in contesti differenti.
Non è il primo caso, infatti, in cui la giurisprudenza sopperisce a quelli che possono essere dei vuoti normativi estendendo il campo di operatività di talune norme che, come nel caso in questione, si prestano comunque ad una estensibilità delle fattispecie.
La scelta di relazionare il tema degli atti persecutori alle dinamiche condominiali, a ben guardare, è stata piuttosto logica poiché proprio nel condominio si vengono a creare, frequentemente, rapporti tesi che sorgono anche su inezie ma che, sulla base della quotidianità, tendono ad assumere contorni molto più grandi.
La scelta della giurisprudenza, infatti, di creare la figura dello stalking condominiale, infatti, è proprio figlia dell’esarcebazione di queste dinamiche che, frequentemente, sfociano in veri e propri atti penalmente perseguibili.
Si è cercato, inoltre, di trovare una figura che potesse coprire quelle condotte che, normalmente, non trovavano una loro qualificazione e quindi non erano facili da perseguire e non potevano rientrare nell’ambito né della diffamazione, da una parte, né della violenza privata, dall’altra.
Il Tribunale di Milano, infatti, con una recentissima sentenza del settembre del 2021 (la n. 9221), ha qualificato lo stalking condominiale come quella serie di comportamenti molesti e persecutori portati avanti da un condomino nei confronti di uno o più condomini o anche nei confronti dell’amministratore di condominio.
Le condotte in parola devono essere reiterate e condizionare la vita di chi le subisce tanto da giungere al mutamento delle proprie abitudini di vita determinato dal timore che possa essere arrecato danno a sé o anche ai membri della propria famiglia.
Il timore, dunque, viene a costituire l’aspetto cardine della fattispecie poiché è in esso e nella reiterazione delle condotte che si sostanzia la gravità del reato. Se così non fosse, infatti, ci troveremo in presenza di altre figure delittuose tipiche.
La rilevanza della creazione giurisprudenziale in parola risiede proprio in questo, ovvero nell’aver trovato una figura delittuosa specifica che si ricolleghi a specifici comportamenti ed a specifici effetti.
Nella sentenza del Tribunale di Milano, infatti, la vittima , costituitasi parte civile nel processo, ha avuto modo di spiegare il suo turbamento, il suo timore e quindi il suo malessere raccontando le condotte del suo persecutore che si sostanziavano in una escalation di violenza verbale ed a tratti fisica che inducevano la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita (cambiare gli orari di rientro e di uscita di casa, non prendere l’ascensore e così via), giungendo anche a decidere di soggiornare presso alcuni parenti.
La sensazione indotta nella vittima, spesso anche accompagnata da minacce verbali, era quella che le sarebbe potuto succedere qualcosa di brutto a livello fisico che esulava i singoli episodi di violenza o di vessazione.
La vittima avrebbe potuto agire per ogni singola condotta illecita portata avanti dal condomino persecutore, in sede civile o penale, senza però giungere mai ad una visione di insieme del problema e senza mai ottenere una condanna che inquadrasse la fattispecie in modo compiuto.
Gli atti portati avanti dal condomino, infatti, andavano dal danneggiamento della proprietà privata alla violenza fisica, dalle minacce alle lesioni e così via.
La sentenza del Tribunale di Milano che ci offre un quadro molto chiaro della fattispecie alla nostra attenzione è figlia, a sua volta, di un lavoro portato avanti dalla Corte di Cassazione che è iniziato quasi nell’imminenza dell’introduzione dell’articolo 612 bis c.p. nel panorama normativo italiano.
La Cassazione, infatti, ha avuto modo di estendere il campo di operatività dell’articolo in parola non solo a quelle che erano le ipotesi che riduttivamente potremo definire sentimentali o affettive ma anche alle ipotesi come quella dei rapporti condominiali.
Già dal 2011, infatti, la Cassazione ha avuto modo di delineare i contorni dello stalking condominiale trovandosi ad affrontare le fattispecie più disparate come quella di un condomino che molestava alcune condomine e che ingenerava in loro turbamento ed angoscia (Cass Penale n. 20895/11).
L’aspetto interessante di questa sentenza risiede proprio nel tema della percezione della vittima della condotta criminosa poiché il molestatore in questione ingenerava ansia in tutte le condomine, ovvero anche in quelle non direttamente colpite dagli atti persecutori, tanto da essere condannato, in via definitiva, come persecutore di tutte indistintamente.
Ancora, sul punto, in un pronunciamento più recente, lo stato ansia di un condomino vessato e perseguitato da una coppia di condomini che aveva indotto la vittima ad assumere un investigatore privato per riprendere le condotte persecutorie. La Cassazione con sentenza n.17346 del 2020 aveva ritenuto, rigettando il ricorso degli imputati, che quel materiale fosse legittimamente acquisibile in giudizio, poiché afferente azioni compiute in luogo pubblico, e che la necessità di ricorrere ad ottenere le stesse era il parametro dello stato d’ansia e sofferenza nel quale stava versando la vittima.
Ancora la Cassazione, sempre sul punto, ha avuto modo di fornirci, in via esemplificativa, un quadro di quali possano essere le condotte assoggettabili alla fattispecie dello stalking condominiale: “I comportamenti del condomino consistenti nell’abbandono di escrementi davanti alle porte di ingresso delle abitazioni, nel danneggiamento di autovetture, nel versamento di acido muriatico nei locali comuni, nell’immissione di suoni ad alto volume, nella pronuncia di epiteti gravemente ingiuriosi e nell’inserimento di scritti di contenuto delirante nelle cassette postali, che hanno determinato gli eventi previsti dall’art. 612-bis c.p. (i.e. stato di ansia e di timore per l’incolumità della famiglia e mutamento delle abitudini di vita) configurano la fattispecie incriminatrice e giustificano l’emissione di un provvedimento di natura cautelare o di sicurezza” (Cass. Pen., 26589/2014).
Sostanzialmente la Cassazione ci permette di avere tutti gli aspetti che possono qualificare il reato di atti persecutori andando ad indicare, puntualmente, quelle che devono essere le caratteristiche delle condotte dell’autore, onde evitare sovrapposizioni con altre figure delittuose laddove non assorbibili, la condizione della vittima e la sua percezione delle condotte stesse e l’intenzione di colui che porta avanti le condotte medesime, che è riscontrabile proprio nel creare danno ma, soprattutto, disagio e ansia.
Infine, proprio per l’estensione della disciplina alla fattispecie condominiale, si può osservare che per queste ipotesi, che si ricorda essere sempre perseguibili a querela di parte nel termine prescrizionale dilazionato di sei mesi, è possibile esperire il rimedio dell’Ammonimento del Questore che è stato introdotto proprio con la legge n.38/2009 che ha tipizzato la disciplina degli atti persecutori.
In tal modo la vittima può ricorrere all’Autorità di Pubblica Sicurezza esponendo i fatti che vanno ad integrare gli atti persecutori, anche relativamente alle dinamiche condominiali ed avanzando al Questore, ex articolo art. 8, D.L. 11/2009, proprio una richiesta di ammonimento nei confronti del condomino molestatore.
Sul punto, è importante osservarlo pur se in via conclusiva, esistono orientamenti della giurisprudenza amministrativa non sempre conformi.
Nel momento in cui, infatti, la giustizia penale iniziava a creare la figura dello stalking condominiale, il TAR riteneva, con riferimento al ricorso all’istituto dell’Ammonimento del Questore” che “non ci si può rivolgere all’autorità di pubblica sicurezza per sanare contrasti privati o per rimediare a problemi di civile convivenza.”(TAR Emilia Romagna, sentenza n. 792/16), sostanzialmente chiudendo la porta all’estensione contenutistica del disposto normativo alla fattispecie condominiale.
Di par contro, però, possiamo citare un pronunciamento più recente del TAR di Trento (276/18) che invece riconosce l’applicazione della disciplina alle questioni di tipo condominiale, giungendo a ritenere che il Questore possa emettere il provvedimento di ammonizione anche solo sulla base degli atti e delle informazioni assunte senza provvedere all’audizione dell’interessato.
Un pronunciamento di questo tipo ci conferma l’importanza dell’aver provveduto alla creazione giurisprudenziale della figura dello stalking condominale e della sua rilevanza in concreto.
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