L’onere della prova in tema di repêchage spetta al datore di lavoro
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo “la parte datoriale ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto” del personale (cfr. ex plurimis, Cass. Civ. n. 7474/2012).
Questo principio, generale e pacifico, è stato richiamato dai Giudici della Suprema Corte nella sentenza n. 20436/2016, accogliendo il ricorso di un lavoratore cui era stata rigettata, sia in primo grado che in appello, la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
I Giudici del gravame, infatti, motivavano il rigetto delle richieste del ricorrente in quanto “l’impossibilità di una utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, non doveva essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dal medesimo lavoratore una collaborazione nell’accertamento di un possibile ricollocamento nell’assetto organizzativo aziendale”.
La Suprema Corte, cassando parzialmente la sentenza di appello, ha precisato, sulla scorta di un orientamento granitico, che il datore di lavoro ha l’onere di provare, con riferimento all’organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento, l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte “giustificandosi il recesso solo come extrema ratio” (per tutte v. Cass. Civ. n. 11720/2009).
Deve precisarsi, inoltre, che l’art. 5 della L. n. 604/1966 pone, inequivocabilmente, a carico del datore di lavoro l’onere probatorio circa l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, “con esclusione di ogni incombenza, anche in via mediata, a carico del lavoratore” (sul punto cfr. Cass. Civ. n. 4460/2015). Ogni eventuale inversione dell’onere probatorio costituisce una divaricazione di onere di allegazione ed onere della prova, nel senso di addebitare il primo ad una delle parti in lite ed il secondo all’altra laddove, invece, detti oneri devono incombere sulla medesima parte nel senso che ci ha l’onere di provare un fatto primario ha, altresì, l’onere della relativa compiuta allegazione (Cfr. Cass. Civ. 12101/2016).
La Cassazione, nella sentenza in commento, ha inoltre rilevato che, mentre il lavoratore non ha un accesso completo al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare dove e come potrebbe essere ricollocato, il datore di lavoro ne dispone agevolmente così da avere concretamente la possibilità di allegazione e prova delle proprie ragioni.
Da ciò discende che il lavoratore, una volta provata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto con il licenziamento, deve solo allegare l’illegittimo rifiuto di prosecuzione del rapporto in assenza di giusta causa o giustificato motivo. In capo al datore incombe, invece, allegare e dimostrare il fatto estintivo e, cioè, l’effettiva esistenza di una giusta causa o giustificato motivo di recesso, in cui rientra anche l’impossibilità del repêchage.
Giuseppe Rossini
Avvocato in Potenza
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