L’operatore sanitario che non interviene su sospetto covid-19 per mancanza di DPI a cosa va incontro?

L’operatore sanitario che non interviene su sospetto covid-19 per mancanza di DPI a cosa va incontro?

Negli ultimi mesi la professionalità e la determinazione degli operatori sanitari è stata di primaria rilevanza nel fronteggiare il coronavirus ed ha consentito, seppur con ingente sforzo di singoli, la tenuta del Sistema Sanitario Nazionale.

In diverse occasioni, tuttavia, abbiamo assistito ad una certa resistenza – non a torto a parere di chi scrive – da parte, ad esempio, degli infermieri in servizio sulle ambulanze i quali, chiamati ad intervenire su un sospetto positivo, si sono trovati sprovvisti dei necessari Dispositivi di Protezione Individuale.

Prima facie potrebbe sembrare che il rifiuto di intervento possa avere risvolti penali e di responsabilità civile.

La tematica, ad ogni buon conto, necessita delle dovute precisazioni attesa l’eccezionalità dell’emergenza che impone di contestualizzare l’individuazione di possibili responsabilità tanto dei singoli operatori quanto delle strutture.

In questa sede si vuole prescindere dalla responsabilità di queste ultime in quanto, in ordine alla carenza di DPI, il combinato disposto degli artt. 55, co.5, lett. c-d e 18, co. 1, lett. d-f, TUSL (D.Lgs. 81/2008), prevede sanzioni penali a carico del datore.

Per quanto concerne il singolo operatore, le ipotesi di reato che sembrano maggiormente ravvisabili sono quelle di rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.) e di interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.).

Ebbene, a parere di chi scrive, in entrambi i casi non potrebbe aversi la condanna dell’infermiere.

Difatti la prima fattispecie presuppone il rifiuto senza opporre una valida giustificazione; laddove, al contrario, nel caso in esame, il rifiuto origina dall’assenza di DPI.

Del pari, ed in concreto, non risulta configurabile neppure la seconda poiché, anche in tal caso, la condotta dell’operatore è conseguenza dell’inadempimento del datore.

Sul fronte civilistico, invece, si dovrebbe avere riguardo a due rapporti: quello con l’azienda datrice di lavoro e quello con l’utenza.

Nel primo caso la condotta del professionista risulterebbe giustificata dalla legittima difesa (art. 2044 c.c.) ed egli potrebbe opporre di conseguenza la eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (Cass. Civ. Sez. III n.8760/2019).

Nei confronti dell’utenza, se il soggetto che lamenta l’omissione dovesse avanzare richiesta risarcitoria, si potrebbe ritenere applicabile (fatta salva la eventuale ed esclusiva riconducibilità del nesso causale al datore di lavoro) la scriminante dello stato di necessità (art. 2045 c.c.) con la mera corresponsione del solo equo indennizzo in luogo del risarcimento.

Fermo restando che, comunque, i possibili esiti dipendono dallo svolgimento e dalle risultanze istruttorie dei singoli giudizi.


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