L’Ordinanza della Cassazione n. 17183/2020 come cura della sindrome di Peter Pan

L’Ordinanza della Cassazione n. 17183/2020 come cura della sindrome di Peter Pan

 Sommario: 1. Introduzione – 2. Contesto normativo e giurisprudenziale sul mantenimento del figlio maggiorenne – 3. L’ordinanza 17183/2020 della Corte di Cassazione – 4. Conclusioni

 

1. Introduzione 

Spesso il nostro ordinamento disciplina in maniera scarna e superficiale determinati fenomeni sociali di rilevante importanza, generando numerosi grattacapi per gli operatori del diritto.

Tra questi vi è la complessa problematica del mantenimento del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, nel momento in cui  non decida di sganciarsi dal “nido familiare “ al fine di diventare autonomo e autosufficiente.

In un complesso e intricato panorama giurisprudenziale  irrompe l’ordinanza 17183 del 2020 della Suprema Corte di Cassazione, delineando i presupposti che devono guidare il giudice al riconoscimento dell’assegno di mantenimento al figlio non economicamente indipendente. Il fulcro di tale ordinanza è la relazione che lega il mantenimento del figlio richiedente con il principio di autoresponsabilità, il quale ha un valore fondamentale nel nostro ordinamento giuridico.

2. Contesto normativo e giurisprudenziale sul mantenimento del figlio maggiorenne

La famiglia può essere definita come un’organizzazione fondata sulla  “comunione stabile di vita, spirituale e materiale, tra un uomo e una donna e i loro figli” 1 . Essa è consacrata  dall’ articolo 29 2 della Costituzione e dall’articolo 12 della CEDU 3 , che ne sottolineano indiscutibilmente l’importanza  nella vita di ogni individuo.

Nell’ambito del nucleo familiare, oltre al rapporto tra i coniugi, assume un ruolo centrale la tutela della prole. L’ articolo 30 della carta costituzionale pone in capo ai genitori il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio. Il contenuto di tale principio costituzionale è enucleato dalle norme del codice civile; si pensi all’articolo 147, il quale recepisce i doveri posti dall’articolo 30, sancendo in più anche l’obbligo di assistere moralmente i figli, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La legge n. 219 del 2020 ha introdotto l’articolo 315 bis, il quale richiamando l’articolo 147 cc stabilisce compiutamente i diritti e i doveri dei figli. Oltre ai diritti precedentemente richiamati la norma sancisce il diritto a crescere in famiglia, a mantenere rapporti significativi con i parenti e il diritto all’ascolto4 . Inoltre pone in capo ai figli il dovere di rispettare i genitori e di contribuire al mantenimento della famiglia durante la convivenza, in relazione alle proprie capacità, sostanze e reddito.

Si evince che il nostro ordinamento nutre una particolare attenzione ai rapporti tra i componenti della famiglia , stabilendo quali sono i diritti e i doveri con i quali i vari soggetti di quest’ultima inevitabilmente interagiscono. Tra i vari diritti, quello al mantenimento ha un’ importanza fondamentale per il figlio, il quale  normalmente non è in grado di provvedere autonomamente al proprio sostentamento.  Il contenuto di tale diritto si differenzia profondamente dal diritto agli alimenti: quest’ultimo si sostanzia in una prestazione a carattere patrimoniale a favore di un soggetto che versi in uno stato di bisogno. Il soggetto obbligato al mantenimento invece “ deve provvedere a tutte le occorrenze di vita in proporzione delle sue sostanze e delle sue possibilità “ 5. Di conseguenza il mantenimento si differenzia rispetto al dovere di prestare gli alimenti in quanto non si fonda sullo stato di bisogno del beneficiario . Inoltre è rilevabile una differenziazione sia  quantitativa che qualitativa : mentre il concetto di alimenti comprende i beni di stretta necessità ( si pensi al cibo, al vestiario, all’abitazione, ecc. ) quello di mantenimento comprende anche altri beni non strettamente necessari, considerando le concrete possibilità del soggetto obbligato. Il diritto al mantenimento  spetta pacificamente al figlio minorenne alla luce gli articoli 147 e 315-bis del codice civile.

La situazione è sicuramente più problematica nel momento in cui il figlio diventa maggiorenne, e quindi totalmente capace di agire. Sicuramente permane il diritto agli alimenti a tutela del figlio che versi in stato di bisogno, in quanto questo non si estingue nemmeno con il raggiungimento della maggiore età.  Per ciò che concerne il mantenimento  è opportuno richiamare l’articolo 337-septies, il quale dispone che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore del figlio maggiorenne non indipendente economicamente il pagamento di un assegno periodico. La formulazione di questa norma non è certamente limpida ;  il testo  infatti contiene il verbo “può” , quindi sembra  non imporre al giudice , quando ne ricorrono i presupposti, il riconoscimento dell’assegno al richiedente. Inoltre la concessione di quest’ultimo è subordinata alla valutazione delle circostanze fattuali da parte dell’organo giudicante,  che sono alla base dello stato di mancata autosufficienza economica. L’ulteriore problema è che la norma non contiene, in maniera precisa e puntuale, i criteri che devono orientare il giudice nella valutazione del caso concreto.

Quindi nel corso degli anni la giurisprudenza è stata costretta a colmare, con la propria attività, tale lacuna normativa. Ad esempio, la Suprema Corte ha rilevato che l’eventuale matrimonio, quindi con la contestuale costituzione di un nuovo nucleo familiare, sia incompatibile con la natura del mantenimento 6; infatti contrarre matrimonio postula l’acquisizione di una determinata autonomia.  Sicuramente il giudice deve utilizzare come coordinate per la valutazione del caso concreto l’eventuale impiego del figlio o l’impegno negli studi. In passato, secondo la giurisprudenza,  il figlio perdeva definitivamente  il diritto al mantenimento una volta acquisita l’autosufficienza economica, cioè quando avveniva la “percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio …è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta“ 7 . Ovviamente il figlio doveva impegnarsi concretamente nella ricerca di un lavoro , al fine di affrancarsi economicamente dai propri genitori, altrimenti vi sarebbe stato un incentivo al “ parassitismo “ . In questo senso la giurisprudenza ha successivamente ribadito 8 che l’obbligo dei genitori di mantenere il figlio maggiorenne non doveva protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo, valutabili dal giudice caso per caso.  Il Tribunale di Milano con un’ordinanza 9 ha stabilito che il compimento del trentaquattresimo anno d’età da parte del figlio comportava la perdita del diritto al mantenimento;  tale orientamento è stato specificato in maniera più precisa  dalla Suprema Corte, la quale ha disposto 10 che il compimento del trentesimo anno di età costituiva una presunzione di negligenza del figlio ancora non economicamente autosufficiente, la quale poteva comportare la perdita del diritto al mantenimento posto in capo a quest’ultimo. Più recentemente, la Cassazione ( ordinanza 19135/2019) ha richiamato la precedente giurisprudenza, secondo cui “ il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso, e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni che devono tuttavia essere compatibili con le condizioni economiche dei genitori”

3. L’ordinanza 17183/2020 della Corte di Cassazione 

In questo panorama giurisprudenziale appena richiamato, certamente non troppo chiaro, s’inserisce in maniera dirompente l’ordinanza 17183/2020 della Corte di Cassazione, stabilendo i presupposti fondamentali per la concessione dell’ assegno di mantenimento al figlio maggiorenne. La corte d’appello di Firenze, la quale aveva emesso la sentenza impugnata ,  affermava che “ l’obbligo di mantenimento cessa in relazione alla raggiunta capacità di mantenersi, che deve essere presunta oltre i trent’anni, quando una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista …” .

Nel caso di specie la parte ricorrente affermava che il figlio maggiorenne ha sempre diritto all’assegno di mantenimento, purché non abbia raggiunto l’indipendenza economica, tenendo conto anche delle varie aspirazioni lavorative sulla base degli studi effettuati e dell’esperienze concretamente acquisite. La Suprema Corte però ritiene infondato tale assunto, e ripercorrendo l’itinerario giurisprudenziale sul tema in questione ne sottolinea il cambiamento orientato verso il principio di “autoresponsabilità” . Tale principio è sicuramente il pilastro portante del lucido ragionamento della Cassazione, il quale permea numerosissimi ambiti del diritto ( nell’ordinanza in questione la corte richiama il diritto di famiglia, i rapporti patrimoniali e il diritto processuale ).

Il principio in questione è essenziale al fine di consentire la certezza dei rapporti giuridici, in quanto stabilisce che ogni soggetto è responsabile delle proprie scelte e delle proprie dichiarazioni,  dovendone accettare le conseguenze. In quest’ordinanza esso  si pone metaforicamente come cura alla sindrome di “Peter Pan”, una particolare disfunzione psicologica teorizzata dallo psicologo Dan Kiley nel 1983, rilevata in alcuni soggetti che manifestavano un vero e proprio rifiuto verso le responsabilità che connotano normalmente gli adulti.

Precisato ciò , se in passato la giurisprudenza connetteva la perdita del mantenimento alla percezione di un reddito proporzionato alla professionalità acquisita, con quest’ordinanza si ammette la vocazione educativa del mantenimento, ponendo in capo al figlio l’onere di cercare con zelo l’affrancazione dal “ nido familiare “. Di conseguenza, l’obbligo di mantenere il figlio deve considerarsi estinto una volta raggiunta la maggiore età da parte di quest’ultimo e una volta trovato un lavoro. Altrimenti, rileva la Suprema Corte, l’eventuale negligenza del figlio nella ricerca dell’ indipendenza economica, preordinata al continuamento della fruizione del mantenimento, potrebbe configurare un ipotesi di abuso del diritto.

Ovviamente la formulazione parecchio generica dell’art 337 septies del codice civile consente al giudice di valutare ogni circostanza pertinente alla fattispecie, potendo quest’ultimo dichiarare ancora sussistente l’obbligo al mantenimento nei casi in cui comunque si evince il forte impegno del figlio a inserirsi nella società,  ad esempio l’espletamento  di un corso di studi proficuo; mentre il diritto al mantenimento si affievolisce nel caso del figlio che frequenta un corso di studi per svariati anni , senza raggiungere considerevoli risultati.

Di conseguenza, gli ermellini tracciano  in maniera estremamente schematica e precisa i confini sul complesso tema del mantenimento del figlio maggiorenne,  il quale sicuramente spetta a quest’ultimo nel momento in cui versi in una“ condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci“ 11. In caso di handicap grave del figlio maggiorenne, il secondo comma dell’art. 337 septies del codice civile dispone l’applicabilità delle norme sul figlio minorenne, di conseguenza il mantenimento permane pacificamente. Altrimenti è da ritenersi ancora sussistente il mantenimento quando vi è  l’espletamento “ di studi ultra liceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso “.

Il profuso impegno del figlio nell’acquisizione delle proprie  “skills “ professionali è riconosciuta dalla Suprema Corte come situazione meritevole di tutela , quindi l’ ordinamento deve favorire il permanere del mantenimento a favore del figlio. Una volta conclusi gli studi , la Cassazione ha ritenuto che si deve lasciare un congruo lasso di tempo al giovane per cercare un posto di lavoro, durante il quale non viene meno il diritto al mantenimento, purchè “ questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro “ . Si considera che il giudice, al fine di determinare gli elementi fattuali precedentemente esposti, possa utilizzare dati statistici sul tempo medio di reperimento di un’occupazione lavorativa. Una volta effettuati tutti i possibili tentativi di ricerca , il mantenimento può comunque non estinguersi ; cioè quando la mancata conquista dell’autosufficienza economica non sia imputabile all’inerzia o alla negligenza del figlio. La Suprema Corte precisa che se non è possibile trovare un lavoro effettivamente corrispondente alle proprie competenze e aspirazioni  , alla luce del principio di autoresponsabilità ,  deve avvenire un ridimensionamento delle proprie pretese, in modo tale da acquistare l’autosufficienza. Tale assunto si pone in netto contrasto con la giurisprudenza precedentemente richiamata (Cassaz. 7186/2016 ), in quanto si ammette che l’autosufficienza non si conquista più con l’effettiva realizzazione delle proprie aspirazioni ( più precisamente con la percezione di un reddito corrispondente alle proprie capacità ), bensì è essa stessa che deve essere la concreta aspirazione del figlio. L’ordinamento non può far gravare “ sine die “ sui genitori il costo economico delle aspirazioni del figlio.

Tale ordinanza si inserisce in maniera estremamente coerente nel contesto economico attuale, ove è assai raro il raggiungimento pieno dei propri sogni professionali con la prima occupazione. Si tiene conto implicitamente che le aspirazioni devono essere assecondate, ma entro un certo limite. Il fatto di accettare una posizione lavorativa non esattamente coerente alla propria preparazione non inibisce definitivamente il proprio progresso professionale e personale. Le prime esperienze lavorative, spesso anche spiacevoli e non pienamente appaganti , sono essenziali alla costruzione della personalità di ogni individuo ; il figlio potrà sempre continuare a studiare , a formarsi e giustamente a sognare nel corso della propria vita. In una società sempre più “ flessibile “ , iniziando con la “ gavetta “ , pian piano il figlio può raggiungere un giorno le proprie aspirazioni e realizzarsi definitivamente. Ragionando diversamente, le aspirazioni personali avrebbero l’utilità opposta : invece di essere il trampolino  verso i propri sogni fungerebbero da “ barriera “; avrebbero una funzione ostruzionistica. In questo senso il principio di autoresponsabilità deve condurre il figlio a staccarsi dalla propria famiglia e a spiccare il volo verso i propri sogni, seppure con qualche difficoltà.

Tale ricostruzione si riflette inevitabilmente anche sull’onere della prova. In generale , richiamando l’articolo 2697 del codice civile, chi vuol far valere un diritto in giudizio  deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento . Precedentemente , la giurisprudenza sosteneva che l’onere della prova fosse posto in capo al genitore, interessato alla declaratoria volta ad estinguere l’obbligo di mantenimento. Secondo tale orientamento , era quindi il genitore a dover  provare che “ il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica .. ovvero finchè non sia provato che il figlio stesso, posto nelle concrete condizioni per poter a divenire all’autosufficienza, non ne abbia poi tratto profitto per sua colpa “ 12 . Invece , in base all’ordinanza in esame , al fine di stabilire la sussistenza del mantenimento, non è il genitore ad essere onerato di provare l’eventuale conquista da parte del figlio dell’indipendenza economica ( ad esempio dimostrando che quest’ultimo ha un lavoro adeguato alle proprie aspirazioni ). Al contrario,  spetta al figlio maggiorenne provare   lo stato di mancata indipendenza economica , l’effettivo impegno nella propria preparazione personale e nella ricerca di un lavoro. Da ciò si desume che col passare del tempo dal raggiungimento della maggiore età , sarà sempre più gravoso provare la sussistenza dei presupposti necessari al mantenimento ; così il principio di autoresponsabilità su cui verte il ragionamento della Suprema Corte esplica i suoi effetti anche sull’onere probatorio. Ovviamente tali presupposti sono necessari in una situazione di conflitto, nessuna norma del nostro ordinamento  vieta ai genitori di farsi carico delle aspirazioni dei propri figli .

4. Conclusioni

A questo punto è possibile esporre le opportune conclusioni a quest’analisi. L’ordinanza 17183/2020  è certamente fondamentale per la corretta determinazione dei presupposti alla base del mantenimento a favore del figlio maggiorenne.

Si potrebbe auspicare una riforma da parte del legislatore, in modo tale da stabilire in maniera precisa e puntuale i requisiti che consentono al figlio maggiorenne di continuare a godere del mantenimento. Tale soluzione però sembra più un’ utopia: è vero che l’articolo 337- septies è estremamente generico, però allo stesso tempo sembra quasi del tutto impossibile immaginare una norma in grado di disciplinare compiutamente questa materia. Considerando che la certezza del diritto è ormai riconosciuta da tutti come una chimera, forse è meglio avere a disposizione una norma elastica,  idonea a essere suscettibile ai vari cambiamenti economici e sociali che ci circondano.

Dal ragionamento della Cassazione  , richiamando i precedenti giurisprudenziali, si rileva che le conclusioni di quest’ultima sono il frutto di un lento percorso che si è pian piano formato e sedimentato nella giurisprudenza. Tale ordinanza quindi ha pacificamente il merito di chiarire  il complesso e spesso imprevedibile tema di cui si è scritto  , fornendo ai giudici delle coordinate chiare da utilizzare nella valutazione del caso concreto. Inoltre declina  il proprio punto di vista attraverso il principio di autoresponsabilità ,  il quale conferisce una carica di importante innovatività alle valutazioni sul mantenimento del figlio maggiorenne, in maniera perfettamente coerente al nostro contesto socioeconomico. Per queste ragioni si può collocare quest’ordinanza in una posizione mediana, tra il passato e il futuro , e riconoscerle il merito di aver chiarito e contestualizzato i precedenti orientamenti giurisprudenziali. Sembra curioso che sia stato merito dei giuristi , e non degli psicologi,  aver trovato un rimedio alla sindrome di “ Peter Pan “.

 

 


1 A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, 2015, p. 363.
2 “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
3    A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia  secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.
4 Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
5 A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, 2015, p. 376.
6 Cass., 17 novembre 2006, n. 24498.
7 Cass. ordinanza 12 aprile 2016 , n. 7186.
8 Cass. civ. sez. I, n. 18076 del 20 agosto 2014.
9 Trib. di Milano, ordinanza 29 marzo 2016.
10 Cass., 22 giugno 2016 , n. 12952 .
11 Cass.,14 agosto 2020, n. 17183.
12 Cass., 11 gennaio 2007., n. 407.

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