L’ordine europeo di indagine in materia di cooperazione giudiziaria e le garanzie difensive del destinatario

L’ordine europeo di indagine in materia di cooperazione giudiziaria e le garanzie difensive del destinatario

Sommario1. L’evoluzione della cooperazione giudiziaria in materia penale – 2. L’ordine europeo di indagine ed il principio di proporzionalità – 2.1. La procedura passiva – 3. Le garanzie difensive del destinatario dell’OIE

1. L’evoluzione della cooperazione giudiziaria in materia penale

Fin dalle origini della Comunità Europea, vista la complessa realtà sociale, gli strumenti tradizionali di cooperazione giudiziaria internazionale si sono dimostrati del tutto inadeguati, ponendo la necessità di ricercarne dei nuovi, capaci di garantire una maggiore celerità nelle relazioni tra autorità giudiziarie e realizzare il reciproco riconoscimento dell’efficacia dei provvedimenti adottati attraverso una costante integrazione dei sistemi giudiziari penali degli Stati membri.

Prima dell’istituzione dell’Unione Europea, infatti, la cooperazione giudiziaria in materia penale era estranea alle competente comunitarie ed i rapporti tra le autorità giudiziarie erano disciplinati dalle rogatorie internazionali e dai rapporti intergovernativi tra i vari Stati membri.

La spinta determinante per lo sviluppo di tale materia è stata posta dall’esigenza di affrontare in modo unitario a livello europeo sia il fenomeno del terrorismo internazionale sia il processo di abbattimento delle frontiere, avvenuto poi con l’Accordo di Schengen.

La novità più rilevante introdotta con l’accordo di Schengen riguarda, il Sistema di Informazione Schengen (S.I.S.) che è rappresentato da una banca dati istituita con lo scopo di garantire, tramite un meccanismo di segnalazioni, che determinati soggetti non possano circolare liberamente all’interno del territorio europeo.

A livello istituzionale, il primo passo verso la creazione di una reale cooperazione giudiziaria in materia penale in ambito europeo è stato segnato, innanzitutto, dal trattato di Maastricht che ha provveduto ad istituzionalizzare la cooperazione giudiziaria anche se restava confinata nell’alveo del diritto internazionale generale.

Successivamente, nel tentativo di avvicinare i meccanismi del terzo pilastro al diritto comunitario e di limitarne i caratteri di intergovernatività, il Trattato di Amsterdam e di Lisbona hanno provveduto a riformare il ruolo ed i poteri spettanti alle istituzioni europee aumentando i poteri del Parlamento europeo e, di conseguenza, il suo peso politico.

Ulteriore tassello verso una reale cooperazione giudiziaria in materia penale è rappresentato dall’istituzione di Eurojust quale organo europeo nato con il compito di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata ed, in particolare, di agevolare il buon coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale.

Un passo decisivo, in materia di cooperazione giudiziaria, è stato poi realizzato con l’adozione della decisione quadro del Consiglio n. 584 del 13 giugno 2002, che ha trovato attuazione nel nostro ordinamento con la legge n. 69 del 2005 ed attraverso la quale gli Stati membri hanno raggiunto un accordo volto ad integrare alcune norme dei vari sistemi giudiziari europei, allo scopo di rendere più agevoli e snelle le procedure di consegna delle persone ricercate, condannate con sentenza definitiva o in attesa di  giudizio.

Ciò risponde all’esigenza di realizzare una più penetrante cooperazione in materia giudiziaria penale tra i Paesi dell’Unione, senza affievolire le garanzie costituzionali riconosciute dagli ordinamenti degli Stati membri ai soggetti, cittadini e non, ritenuti colpevoli di fatti delittuosi.

Il progressivo ravvicinamento degli ordinamenti giuridici degli Stati membri si è realizzato passando dal tradizionale istituto dell’estradizione alla nuova procedura della consegna della persona ricercata, sulla base del mandato di arresto europeo (MAE).

2. L’ordine europeo di indagine ed il principio di proporzionalità

Sulla scorta di quanto detto si può introdurre, così, il d. lgs. 21 giugno 2017, n. 108 con cui il legislatore ha dato attuazione alla direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’ordine europeo di indagine penale.

Sul tema dell’indagine penale, preliminarmente, è necessario sottolineare che precedentementeera stata già adottata la decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio che si poneva lo scopo di raggiungere un immediato riconoscimento reci­proco dei provvedimenti idonei ad impedire atti di distruzione, trasformazione, spostamento, trasferimento o aliena­zione di prove.

Con tale decisione quadro era stata prevista, in altre parole, l’immediata esecuzione dei provvedimenti di “blocco dei beni” o di “sequestro probatorio” per un rilevante numero di reati.

Tuttavia, diversi fattori hanno deposto in negativo contro il successo di tale strumento di indagine penale.

Innanzitutto, bisogna tener conto del fatto che un provvedimento di blocco o di sequestro dovrà necessariamente essere accompagnato da una distinta richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato richiedente, quindi, tale procedura risulta per forza di cose macchinosa vista la scissione in due fasi che spesso rischia di comprometterne l’efficienza.

In secondo luogo, un tale regime si è trovato a coesistere con gli strumenti tradizionali dei vari Stati membri di cooperazione giudiziaria penale, e ciò ha spinto le autorità competenti ad avvalersene raramente nella prassi.

Con l’ordine europeo di indagine penale, invece, si sta cercando di superare tali ostacoli e di accantonare i tradizionali mezzi di cooperazione nel rispetto ed attuazione del principio del mutuo riconoscimento intendendo realizzare un “sistema globale di acquisizione delle prove nelle fattispecie aventi dimensione transfrontaliera”, che risulti idoneo a sostituire “tutti gli strumenti esistenti nel settore”e ad essere utilizzato per tutte le tipologie di prova.

In buona sostanza, il Consiglio europeo, rilevando che gli strumenti esistenti nel settore costituivano una disciplina frammentaria e che era necessaria una nuova impostazione, ha chiesto la creazione di un sistema globale in sostituzione di tutti gli strumenti esistenti nel settore  delle indagini che contempli, per quanto possibile, tutti i tipi di prove, stabilisca i termini di esecu­zione e limiti al minimo i motivi di rifiuto.

L’ordine di indagine europeo è, dunque, una decisione giudiziaria emessa dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione e diretta all’autorità giudiziaria di un altro Stato membro, attraverso un modulo uniforme appositamente predisposto, al fine di compiere uno o più atti di indagine, la cui finalità è quella di snellire i temi di ricerca, acquisizione e trasferimento delle fonti di prova nello spazio territoriale dell’Unione.

In uno scenario come quello comunitario nel quale si trovano ad operare autorità giudiziarie di diverse nazionalità, si rende però necessaria l’individuazione di alcuni principi generali che siano in grado di costituire un codice linguistico condiviso in grado di facilitare il dialogo tra giudici coinvolti nelle procedure di cooperazione. Tale ruolo sembra essere rappresentato, nel caso dell’Ordine Europeo di Indagine, dal principio di proporzionalità disciplinato dall’art. 7 della normativa in esame.

In ragione del principio di proporzionalità si dovrebbe optare per un OEI quando l’esecuzione di un atto di indagine appaia proporzionata, adeguata e appli­cabile al caso in questione.

L’autorità di emissione dovrebbe, pertanto, accertare se le prove che si intende acquisire siano necessarie e proporzionate ai fini del procedimento, se l’atto di indagine scelto sia necessario e proporzionato per l’acquisizione di tali prove, e se sia opportuno emettere un OEI affinché un altro Stato membro partecipi all’ac­quisizione delle stesse.

Ciò, in altre parole, significa che l’OEI potrà avere esecuzione solo laddove esso comporti l’utilizzo del mezzo più idoneo, solo in quanto necessario al raggiungimento del fine e in modo tale da non comprimere in maniera intollerabile la sfera giuridica dell’interessato.

2.1. La procedura passiva

Sul modello del mandato di arresto europeo, anche nel caso dell’OEI è stata operata, dalla normativa interna di attuazione, una separazione tra la procedura passiva, che vede il nostro Paese quale destinatario di una richiesta di acquisizione probatoria proveniente dall’estero, e la procedura attiva, che opera nel senso opposto.

Nell’ambito della procedura passiva, in particolare, è stato attribuito un ruolo particolarmente pregnante al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel quale devono essere compiuti gli atti richiesti.

Più nello specifico, dopo aver dato comunicazione dell’avvenuta ricezione dell’ordine di indagine all’autorità che l’ha emesso e dopo aver inviato copia dello stesso al Ministro della giustizia, il Procuratore distrettuale deve provvedere, entro trenta giorni dalla ricezione, al riconoscimento dell’ordine di indagine, prima della sua esecuzione, secondo i parametri fissati dall’art. 10 del d. lgs n. 108/2017.

In particolare non  si provvede al riconoscimento e all’esecuzione dell’ordine di  indagine, ai sensi dell’art. 10, nei seguenti casi: innanzitutto, laddove esso risulti incompleto o contenga informazioni erronee; nel caso in cui la persona nei cui confronti si procede goda di immunità per lo Stato italiano; quando l’esecuzione delle indagini potrebbe arrecare un pregiudizio alla sicurezza nazionale; se dalle informazioni trasmesse risulta una violazione del ne bis in idem; laddove l’esecuzione dell’atto richiesto non sia compatibile con i diritti fondamentali dell’Unione europea.

Infine, conclude l’art. 10, che deve essere restituito de plano all’autorità di emissione  l’ordine  di  indagine emesso da un’autorità diversa da quella giudiziaria  o che da  quest’ultima  non sia stato convalidato. Uno dei motivi ulteriori di rifiuto, sempre previsto dall’art. 10  e specificamente alla lett. f, è rappresentato dalla necessità della “doppia incriminazione”, vale a dire che il fatto per cui viene emesso l’ordine di indagine non può essere riconosciuto qualora esso non sia punito dalla legge italiana come reato.Sul punto, però, il successivo art. 11 prevede – così come nel caso del mandato di arresto europeo – una serie di ipotesi derogatorie in riferimento a trentadue fattispecie di reato per le quali non opera tale causa impeditiva del doppio riconoscimento, sempre che per tali reati siano previste nello Stato di emissione pene non inferiori ai tre anni.Una delle garanzie difensive più importanti previste dalla normativa in parola è rappresentata dal fatto che il decreto di riconoscimento dell’OEI, una volta emesso dal Procuratore, deve essere comunicato al difensore della persona sottoposta alle indagini, così come previsto dall’art. 4, comma 4 del d. lgs. 108/2017.

3. Le garanzie difensive del destinatario dell’OIE.

Prima di concludere sembra opportuno soffermarsi sul tema delle garanzie difensive, ed in particolare sui tempi di tale comunicazione, prendendo spunto dalla recente sentenza n. 8320 del 2019 attraverso cui la IV sez. della corte di Cassazione penale si è pronunciata sul tema delle garanzie difensive del soggetto sottoposto ad un OIE.

Più nello specifico, la pronuncia della Suprema Corte affronta il delicato tema dei tempi entro i quali il decreto di riconoscimento dell’ OIE deve essere comunicato al difensore della persona sottoposta alle indagini.

Questo è, indubbiamente, un aspetto centrale rispetto alle garanzie difensive del soggetto sottoposto alle indagini, tenuto conto che la comunicazione tempestiva del decreto di riconoscimento dell’OIE rappresenta il dies a quoper presentare, entro cinque giorni, opposizione dinanzi al giudice per le indagini preliminari, eccependo eventuali motivi di rifiuto del riconoscimento o dell’esecuzione, oppure assenza di proporzionalità dell’attività richiesta.

La sentenza in parola ha fornito, così, una significativa interpretazione dell’art. 4, comma 4, d. lgs. 108/2018 e delle relative conseguenza di una eventuale violazione dell’obbligo di comunicazione.

La Cassazione, sul punto, ha specificato che i termini e le modalità di comunicazione devono essere ricavati dalla legislazione processuale, in base allo specifico atto probatorio da compiere, con la conseguenza che laddove le norme processuali interne prevedano solo il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto a sorpresa il decreto di riconoscimento è comunicato nel momento stesso in cui l’atto viene compiuto o immediatamente dopo.Quello della tempestiva comunicazione sembra essere lo snodo cruciale per le garanzie difensive del soggetto sottoposto alle indagini anche perché, così come rilevato nella stessa sentenza di cui si tratta, la violazione dell’art. 4, comma 4, d. lgs. 108/2017 avrebbe determinato un duplice effetto negativo in prospettiva difensiva: da un lato, infatti, non sarebbe possibile contestare, nel breve lasso di tempo a disposizione, la presenza di ragioni ostative all’esecuzione degli atti di indagine richiesti e, dall’altro, non si potrebbe impedire – quando la procedura di impugnazione possa essere definita con l’accoglimento dell’opposizione – la trasmissione delle prove acquisite sul territorio dello Stato dell’autorità giudiziaria richiedente.


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