L’overruling giurisprudenziale nella circolazione stradale: dal reato continuato a quello complesso

L’overruling giurisprudenziale nella circolazione stradale: dal reato continuato a quello complesso

La Cass. pen., Sezione IV^, all’ ud. 29 maggio 2018 – dep. 12 giugno 2018, n. 26857, stabiliva cheIn tema di reati, nel caso in cui si contesti all’imputato di essersi, dopo il 25 marzo 2016, data di entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza e di avere in tale stato cagionato, per colpa, la morte di una o più persone, ovvero lesioni gravi o gravissime alle stesse, la condotta di guida in stato di ebbrezza alcoolica viene a perdere la propria autonomia, in quanto circostanza aggravante dei reati di cui agli artt. 589-bis, comma l, c.p. e 590-bis, comma 1, c.p., con conseguente necessaria applicazione della disciplina sul reato complesso ai sensi dell’art. 84, comma l, c.p. ed esclusione, invece, dell’applicabilità di quella generale sul concorso di reati …”.

Colla Sentenza indicata, la Corte di Cassazione, IV^ Sezione penale, ha avuto cura di precisare, quanto, invero, ad occhio non profano della materia penale potesse apparire scontato o banale.

Tuttavia a tale pronunciamento si è giunti, non senza difficoltà, a causa ed in forza dell’incedere delle Procure prima e dei Tribunali poi, lungo i sentieri giurisprudenziali, già tracciati, e, tuttavia da ritenersi superati, con l’Entrata in vigore della Legge 23 marzo 2016, n. 41, che ha introdotto e coniato le nuove figure delittuose di cui agli artt. 589-bis c.p. e 590-bis c.p..

Ora, se, come noto, il sistema positivo, sul tema del concorso apparente di norme, per quanto qui interessa approfondire, si fonda, ex art. 15 c.p., sul principio riassunto nel noto brocardo latino “lex specialis derogat legi generali”, che se non desta problematiche applicative nella c.d. specialità unilaterale, ove sola una norma è specifica rispetto ad un’altra più generica, è con gli ulteriori criteri, affilati dagli Ermellini[1], ma già noti ai Giuristi dell’epoca di Giustiniano, quello della consusnzione o assorbimento da un lato e della sussidiarietà dall’altro, che viene risolto il problema della specialità bilaterale o reciproca[2].

Secondo il primo dei due sottocriteri poc’anzi accennati lex primaria derogat legi subsidiariae, è sussidiaria, quindi, subordinata, la norma che tutela un’offesa meno grave dell’identico interesse protetto dalla norma incriminatrice, conseguentemente la norma superiore esaurisce l’intero disvalore criminale del fatto, punendo anche le condotte in esse incluse, nonché meno gravi.

In ultima analisi, lex consumens derogat legi consumptae, ovvero è consumante la norma che includendo in sè il fatto previsto dalla norma consumata, erode l’intero disvalore del fatto, perché la commissione di un reato comporta, secondo l’id quod plerumque accidit, anche la commissione dell’altro.

Tanto sinteticamente premesso, è utile per meglio comprendere le ragioni per le quali il reato complesso, disciplinato dal comma 1 dell’art. 84 del c.p., secondo cui “… Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato … “, è l’istituto più calzante al caso di specie trattato.

In particolare, nel caso di cui al concorso apparente dell’art. 589 bis o 590 bis c.p. con gli artt. 186 o 187 C.d.S., siamo innanzi ad ipotesi che dalla Dottrina vengono definite di reato complesso “circostanziato” o “aggravato”, o “di secondo tipo”, in quanto, come chiarito dalla Sentenza in commento, un reato è circostanza aggravante di altro reato, diversamente che nel reato complesso “speciale” o “di primo tipo”, in quanto dalla fusione dei due reati ne viene costituito un terzo, autonomo.

Ad ogni modo, preme evidenziarsi, come a tali considerazioni, si sia giunti, dopo un evidente overruling giurisprudenziale, che ha sovvertito il precedente orientamento, quello, ben descritto, ad esempio, dalla sentenza 28 gennaio 2010, n. 3559, ove la quarta sezione della Suprema Corte riteneva la configurabilità di “un concorso di reati, e non di un reato complesso, in caso di omicidio colposo qualificato dalla circostanza aggravante della violazione di norme sulla circolazione stradale, quando detta violazione dia per sé luogo ad un illecito contravvenzionale”.

Nella fattispecie, è stato ritenuto il concorso del delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazioni di norme sulla circolazione stradale con la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, come anche di recente, come precedentemente accennato, dopo l’entrata in vigore dell’omicidio stradale, talune Procure hanno seguitato a contestare, avallate, evidentemente, dai Tribunali aditi, che si poggiavano sulla giurisprudenza di legittimità da considerarsi, oggi, con la sentenza in commento, definitivamente ed a ragione superata.

l’iter argomentativo del nomofilattico consesso, che escludeva l’ipotesi di applicazione dell’art. 15 c.p., e dall’altro, quella di cui all’art. 84 c.p., è oggi da ritenersi superato, seppur è utile rammentarne le argomentazioni così di seguito riassunte “sebbene l’art. 186 c.d.s. reciti che la contravvenzione è configurabile <<ove il fatto costituisca più grave reato>>, tale clausola non determina, per il principio di specialità, un assorbimento della guida in stato di ebbrezza nel delitto di omicidio colposo, ciò perchè tra le due disposizioni non si configura un concorso apparente di norme. Quest’ultimo si realizza quando una norma si pone come speciale rispetto a quella generale e cioè quando contiene tutti gli elementi costitutivi di quella generale e, altresì, un quid pluris”.

Così come si escludeva un rapporto tra genere e specie tra l’art. 186 c.d.s. e l’art. 589 c.p. “essendo nettamente distinte le tipicità dei fatti ed avendo i reati oggetti giuridici diversi: l’incolumità pubblica la contravvenzione; la vita il delitto”.

Sull’ipotesi del reato complesso, ritenuta invero la più suggestiva, nonostante da ultimo sconfessata, già la Corte costituzionale in passato ebbe a precisare che l’art. 84 c.p. imponga come elementi costitutivi o circostanze aggravanti, fatti costituenti di per sè autonomi “reati”13, mentre, osservava la Cassazione nella citata sentenza del 2010, che “nell’art. 589 comma 2, c.p., invece, vengono in modo generico richiamate le norme sulla circolazione stradale, senza alcun distinguo tra mere regole prive di sanzione, illeciti amministrativi e contravvenzioni, con ciò mostrando che il legislatore non ha inteso costruire tale ipotesi aggravata come un caso di reato complesso, altrimenti avrebbe codificato la disposizione con richiami a specifiche violazioni contravvenzionali. Deve pertanto condividersi la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, sebbene, risalente, che nega nel caso in questione l’applicabilità dell’art. 84 c.p., non verificandosi una totale perdita di autonomia dei reati contravvenzionali stradali ed una fusione con l’omicidio colposo aggravato (cfr. Sez. V, n. 2608 del 1979, Schiavone; Sez. IV, n. 1103 del 1971, Bacci; Sez. I, n. 1638 del 1971, Antonelli)”.

Peraltro -si aggiunge- “con specifico riferimento al rapporto tra l’art. 589 c.p. e l’art. 186 c. strad., va ricordato che perchè ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 84 c.p., è necessario che il reato assorbito abbia con quello in cui si fonde un legame causale con carattere di immediatezza (cfr. Sez. II, n. 10812 del 1995, Marinino)”; ciò che non avviene nel caso in cui il soggetto agente inizia “la consumazione della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza ben prima della consumazione del delitto di omicidio, pertanto anche sotto tale profilo, in assenza di una immediata coincidenza causale tra le due violazioni, non può configurarsi l’ipotesi di cui all’art. 84 c.p.”.

Tale percorso motivazionale, da ritenersi, evidentemente, ora coma allora, estensibile anche alle ipotesi di reato previste dall’art. 187 c.d.s., non ha, come si crede già evidenziato, più ragione di esistere, ne d’essere condiviso, quantomeno, sin a partire dalla entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, che, come meglio argomentato nella Sentenza in commento, rappresenta il dies a quo, con l’introduzione delle nuove figure di reato p.p. dagli artt. 589 bis e 590 bis c.p., in cui il Legislatore, dando seguito anche al ragionamento delle precedenti pronunce di legittimità sul tema, ha suggellato una figura di reato complesso, escludendo, con ciò, si possa ritenere il concorso dei reati di cui agli artt. 186 e 187 c.d.s., proprio poiché, si ripete, circostanze aggravanti dei primi.


[1] Cass., Sez. Un., 22 giugno 1995, n. 16; v. anche, Cass., Sez. Un., 19 aprile 2007, n. 16568.

[2] Vedi, per maggiori approfondimenti, LATTANZI-LUPO, Codice Penale – Rassegna di giurisprudenza e dottrina, I, 2010, p. 617.


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