L’ubiquità della compensato lucri cum damno
Sommario: 1. Inquadramento storico e sistematico della compensatio lucri cum damno – 2. I nebulosi confini della compensatio lucri cum damno nella giurisprudenza civile ed amministrativa – 2.1. La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – 2.2. La questione sottoposta all’esame dell’Adunanza Plenaria – 3. La compensatio lucri cum damno quale principio generale dell’ordinamento giuridico.
1. Inquadramento storico e sistematico della compensatio lucri cum damno.
Nel corso degli ultimi anni la dottrina e la giurisprudenza hanno prestato particolare attenzione al principio della compensatio lucri cum damno, tanto che la sua ammissibilità e, soprattutto, l’ambito di operatività della stessa sono stati dibattuti in seno ai più alti organi della giustizia civile ed amministrativa.
Infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sono state chiamate ad esercitare la propria funzione nomofilattica circa la portata applicativa di tale principio.
Tuttavia, prima di affrontare le questioni su cui i suddetti organi sono stati chiamati a pronunciarsi, si reputa opportuno analizzare la compensatio al fine di definire i nebulosi confini entro i quali si muove questo principio.
La compensatio lucri cum damno si può definire come il principio che, nella determinazione delquantum risarcitorio, afferente ad un danno contrattuale o extracontrattuale, impone di tener conto dell’eventuale vantaggio che il fatto illecito abbia procurato al danneggiato.1
Alcuni autori ritengono che l’origine di tale principio debba ricercarsi nel diritto romano laddove già veniva usato nella costruzione del danno.2 Viceversa, altri autori sostengono che la compensatio, nonostante il nome latino, non abbia origine nel diritto romano, in quanto affonda le proprie radici nel diritto tedesco, in virtù di alcune pubblicazioni apparse in Germania verso la fine del XIX secolo.3
In Italia, le prime tracce della compensatio lucri cum damno si rinvengono agli inizi del Novecento, in occasione della stampa, ad opera di Francesco Leone, di un saggio avente ad oggetto il suddetto principio.4
Nonostante, della compensatio se ne parli da più di un secolo o, secondo alcuni, addirittura dall’epoca romana, l’ammissibilità della stessa non è ancora unanimemente accolta.
Infatti, in dottrina si registra un vivace dibattito, che può essere sintetizzato in tre diversi filoni interpretativi.
Un primo filone nega l’esistenza della compensatio atteso che, nel nostro ordinamento, manca una norma che l’enunci espressamente ed, inoltre, rileva che, dall’art. 1223 c.c., non sia possibile desumere il principio in argomento, poiché tale norma non fa alcun richiamo alla compensazione tra conseguenze negative e positive dell’illecito, ma si limita solo a considerare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito.
Infine, l’ammissibilità di una simile regola comporterebbe conseguenze eccessivamente inique per il danneggiato, poiché solleverebbe l’autore dell’illecito dalle conseguenze del suo operato.
Un secondo filone, invece, ammette la compensatio ma solo in determinati casi, in quanto non ritiene che tale principio possa considerarsi alla stregua di un principio generale dell’ordinamento italiano.
Viceversa, l’orientamento, sviluppatosi in seguito al trattato sul danno di Adriano De Cupis, consacra la compensatio lucri cum damno quale principio generale applicabile alle nuove fattispecie emerse nella responsabilità civile, attesa la sua funzione di equità.5 Tale orientamento ravvisa il suo fondamento, in ambito contrattuale ed extracontrattuale, nell’all’art. 1223 c.c. che limita il danno risarcibile alle conseguenze immediate e dirette,6 in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento7 e nell’art. 2056 c.c. che richiama l’art. 1223 c.c. nella responsabilità extracontrattuale. Il valore delle affermazioni di quest’ultimo orientamento si possono cogliere maggiormente analizzando le molteplici funzioni della responsabilità civile, attesa la correlazione esistente tra questa e la compensatio lucri cum damno.
Storicamente alla responsabilità civile sono state attribuite la funzione compensativa, in base alla quale lo scopo della responsabilità sarebbe quella di reintegrare il danneggiato ponendolo, in attuazione del “c.d. principio di indifferenza”, nella situazione in cui si sarebbe trovato in assenza del fatto ingiusto e la funzione preventiva (o deterrente) in base alla quale la responsabilità civile avrebbe anche la funzione di evitare la reiterazione del fatto illecito.
Alle suddette funzioni, recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aggiunto anche la funzione punitiva, già ampiamente riconosciuta nei paesi di common law, purché vi sia una precisa disposizione legislativa che consenta di irrogare, nel caso specifico, sanzioni punitive. Quindi, tra le diverse funzioni svolte dalla responsabilità civile, la compensatio lucri cum damno si inserisce in quella compensativa, atteso che, insieme ai principi delineati negli att. 1223, 1225, 1227 c.c., mira a ristabilire, nella sua integralità, la condizione patrimoniale antecedente alla provocazione del danno.8 In altri termini, mira a garantire che il danneggiato, nel risarcimento del danno, non riceva né più e né meno di quanto sia necessario a ristorare il danno.
Infatti, sebbene la causazione di un danno evochi, il più delle volte, la produzione di sole conseguenze negative, in alcuni casi può accadere che comporti anche conseguenze positive (es. incremento patrimoniale).9
Pertanto, la compensatio, imponendo di tenere in considerazione, nella determinazione del danno, anche le conseguenze positive dallo stesso prodotte, è volta ad evitare che il danneggiato si possa trovare in una situazione più favorevole rispetto a quella anteriore al fatto dannoso, con conseguente violazione della funzione riequilibratrice del danno.10 Per scongiurare tale risultato, difatti, lacompensatio lucri cum damno ridurrà o estinguerà l’obbligazione risarcitoria proporzionalmente al lucro che il fatto illecito abbia provocato nel patrimonio del danneggiato.11
In tal modo, verrà rispettata la regola generale posta a fondamento del risarcimento integrale del danno, in base alla quale il danno non può eccedere la misura dell’interesse leso, divenendo fonte di lucro per il danneggiato.12
2. I nebulosi confini della compensatio lucri cum damno nella giurisprudenza civile ed amministrativa.
La particolare rilevanza che ha assunto la compensatio sia nella giurisprudenza civile che in quella amministrativa disvela la sua peculiarità principale: l’ubiquità.
Infatti, la compensatio viene in rilievo in ambiti molto differenti tra loro come il danno da emotrasfusione, il danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta a cui spetta anche la pensione di reversibilità13 o il danno causato dall’incidente stradale.14 Nonostante la diversità, questi, presentano una matrice comune che può essere individuata nella corresponsione di un risarcimento congiuntamente ad un indennizzo.
Per districarsi in questo “mare magnum”, si possono individuare le diversi ipotesi in cui lacompensatio lucri cum damno venga in rilevo, differenziandole in tre categorie, ponendo particolare attenzione a quelle sottoposte all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
La prima categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e obbligato ad effettuare una prestazione derivante da un unico titolo (rapporto bilaterale).
La seconda categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati in base a titoli differenti (rapporto trilaterale).
In tale categoria possono rientrare le forme di assicurazione privata contro i danni che obbligano l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, in attuazione del principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno concretamente patito, ai sensi degli artt. 1908 e 1910 c.c..15
La terza categoria è quella in cui è presente un’unica condotta responsabile e un unico soggetto obbligato in base a titoli differenti.
In tale categoria rientrano i danni da emotrasfusione, ove il Ministero della Salute è chiamato sia a risarcire il danneggiato per l’infezione contratta, a causa della mancata vigilanza prestata sulle sacche di sangue, che a corrispondergli le somme indennitarie previste dalla legge n. 210/1992.
Si precisa, che la materia delle trasfusioni di sangue è stata la prima in cui la giurisprudenza ha riconosciuto l’operatività della compensatio, (prima il tribunale di Roma16 e, poi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione),17 ammettendo lo scomputo dalle somme erogate a titolo di risarcimento del danno di quanto già corrisposto al danneggiato a titolo di indennizzo ex legge n. 210/1992.18
2.1. La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Le ordinanze nn. 15534, 15535, 15536 e 15537 del 22 giugno 2017,19 hanno rimesso per la seconda volta la questione della compensatio lucri cum damno all’esame delle Sezioni Unite, atteso che, nel caso precedente,20 queste ultime non si erano pronunciate ritenendo che la suddetta questione non avesse rilievo diretto per la risoluzione della vicenda processuale loro sottoposta.21
L’attuale questione all’esame delle Sezioni Unite riguarda il noto disastro aereo, conosciuto come strage di Ustica, in cui è andato distrutto un velivolo, causando, conseguentemente, la morte dei suoi passeggeri.
Nel caso de quo, viene in rilievo la questione concernente la cumulabilità del risarcimento del danno con l’indennizzo, in quanto la società proprietaria del velivolo chiede il risarcimento del danno per la perdita dell’aeromobile, negatole in appello in quanto l’indennizzo assicurativo erogatole era stato considerato superiore al valore del bene al momento della tragedia.22
Tale questione rientra in quella che, in precedenza, è stata individuata come seconda categoria, in quanto si configura un rapporto trilaterale ove vi è un solo soggetto autore della condotta responsabile e due soggetti obbligati in base a titoli differenti (Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e società assicurativa).
Prima di analizzare i diversi orientamenti che hanno provocato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, occorre precisare che i requisiti necessari affinché possa operare la compensatio sono quattro.
In relazione ai primi tre: sussistenza del danno risarcibile, vantaggio ottenuto dalla medesima vittima che ha subito il danno e sussistenza di una causalità giuridica immediata e diretta del risarcimento e dell’indennizzo non vi è dibattito.
Il contrasto, invece, si ha sul quarto ed ultimo elemento poiché, come si vedrà in seguito, un orientamento richiede che il lucro e il danno abbiano lo stesso titolo mentre un altro orientamento richiede che gli stessi derivino dalla medesima condotta.23
L’orientamento tradizionale limitava la portata applicativa della compensatio lucri cum damno alle sole ipotesi in cui tanto il danno quanto il lucro fossero scaturiti in modo immediato e diretto dal fatto illecito. In altri termini, tale orientamento limitava la portata della compensatio alle sole ipotesi in cui vi sia identità di titolo tra il lucro e il danno.
Pertanto, la compensatio non potrebbe mai operare nel caso in cui il danneggiato benefici di un risarcimento e di un indennizzo, attesto che, i medesimi, presentano un diverso titolo, in quanto il danno scaturisce dall’illecito ed è volto a ripristinare la situazione precedente alla verificazione del danno mentre il diritto all’emolumento indennitario sorge ex lege ed è volto tutelare la vittima per un danno accidentale,24 non necessariamente commisurato all’effettiva entità del danno subito e determinato in base a parametri previsti dalla legge o dal contratto.25
Dunque, non può detrarsi dal risarcimento quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di reversibilità, di assegni e qualsiasi altra erogazione che non abbia finalità risarcitoria.26
Tale orientamento è stato sposato dalla Corte di Cassazione27 in occasione del disastro del Vajont,28laddove ha affermato che i contributi concessi dallo Stato ai comuni coinvolti nel suddetto disastro non possono essere detratti dalla somma dovuta agli stessi a titolo di risarcimento, in quanto non hanno titolo nel fatto illecito ma in un atto di solidarietà nazionale.29
Pertanto, nel caso de quo, ha escluso la cumulabilità tra indennizzo e risarcimento poiché il primo aveva funzione di contributo solidaristico riconosciuto nei confronti delle vittime del disastro, mentre il secondo aveva scopo risarcitorio a fronte della responsabilità extracontrattuale di terzi. 30L’orientamento più recente, invece, ritiene che la compensatio lucri cum damno possa applicarsi anche quando danno e lucro derivino dalla medesima condotta. A sostegno di tale tesi propongono diversi argomenti.
Innanzitutto, rileva come il principio della compensatio sia stato da sempre concepito in relazione alla condotta31 atteso che il requisito dell’identità del titolo sarebbe dovuto ad una erronea interpretazione della giurisprudenza che, nel corso del tempo, è passata, prima, da “medesima condotta” a “medesimo fatto” e, poi, da questo a “medesimo titolo”.32
Inoltre, rileva che, ponendo a presupposto della compensatio l’identità del titolo, si giungerebbe ad una implicita abrogazione del principio stesso, atteso che sono rarissimi i casi un cui un illecito possa provocare sia un danno che un lucro.
In ultimo, non ritiene tale soluzione iniqua per il danneggiato in quanto il lucro e il danno non devono essere concepiti come delitto o credito autonomi ma come conseguenze immediate e dirette del fatto illecito. Pertanto, la situazione di danno che deve essere coperta dal responsabile non può non tenere conto dei benefici che deriverebbero dall’indennizzo.33
Infatti, l’affermazione secondo cui l’illecito non sarebbe causa in senso giuridico dell’indennizzo erogato alla vittima non tiene conto del fatto che in realtà si intrecciano due rapporti: tra danneggiato e terzo sovventore e tra danneggiato e danneggiante dove solo nel primo rapporto l’illecito è causa dei vantaggi, in quanto nel secondo rapporto l’illecito è causa solo del danno ma non del lucro.
Pertanto, prendendo a presupposto dell’operatività della compensatio lucri cum damno la medesima condotta si consentirebbe la piena operatività di tale principio anche laddove vengano in rilievo poste risarcitorie e poste indennitarie. Di conseguenza, si scongiurerebbe la possibilità che il danneggiato ottenga per il medesimo fatto lesivo due diverse attribuzioni patrimoniali, realizzando cosi un ingiustificato arricchimento.34
Ad oggi, il contrasto sopra esposto non è stato ancora risolto dalle Sezioni Unite.
2.2. La questione sottoposta all’esame dell’Adunanza Plenaria.
La questione rimessa all’Adunanza Plenaria dalla IV sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 2719 del 6 giugno 2017 riguardava in particolare il caso di un procuratore che essendo costretto, per lavoro, a restare in ufficio molto tempo aveva contratto un tumore renale, in quanto i muri esterni all’ufficio erano costruiti in amianto. Pertanto, domandava istanza di riconoscimento di dipendenza dell’infermità da causa di servizio, al fine di ottenere la concessione dell’equo indennizzo e la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute patito a seguito dell’esposizione all’amianto.
Nel caso de quo, ricorre un rapporto bilaterale, che è stato in precedenza ricondotto nell’ambito della terza categoria, in cui è presente una condotta responsabile e un soggetto obbligato ma a titoli differenti (Ministero della giustizia).
I diversi orientamenti maturati in seno alla giurisprudenza amministrativa non appaiono dissimili a quelli emersi nella giurisprudenza civile.
Il primo orientamento si mostra favorevole al cumulo dell’indennizzo e del risarcimento, in quanto sottolinea la diversità di titolo tra i medesimi. Infatti, si afferma che la condotta illecita non rappresenti la causa dell’indennità ma la mera occasione di essa.
Il secondo orientamento, invece, ritiene possibile l’operatività della regola della compensatio, atteso che la condotta è unica ed è questa a costituire sia la causa del danno sia dell’attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso.
Tale orientamento, inoltre, sottolinea come questa sia l’unica soluzione praticabile perché, diversamente ragionando, si attribuirebbe al risarcimento del danno una funzione sovracompensativa.
Inoltre, a sostegno della propria tesi quest’ultimo richiama le disfunzioni che si verrebbero a creare, condividendo il contrario orientamento, nell’ambito della disciplina assicurativa. Infatti, applicando il meccanismo della surrogazione prevista dall’art. 1916 c.c., il danneggiante potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato sia, a seguito della successione nel rapporto obbligatorio, al soggetto o all’ente che ha corrisposto l’indennità alla parte lesa, con l’evidente inconveniente di dover erogare due volte la medesima somma, senza possibilità di consentire l’operatività della surrogazione.
Preso atto dei due diversi orientamenti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1 del 2018, condivide l’orientamento favorevole all’operatività della compensatio lucri cum damno. Infatti, dopo aver sottolineato come nel caso de quo ricorra un rapporto giuridico bilaterale in cui è presente un responsabile obbligato a titoli differenti e un danneggiato, rileva che la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, impedisce l’erogazione di due diverse prestazioni e, anzi, giustifica l’attribuzione di una prestazione patrimoniale unitaria.
Il supremo organo di giustizia amministrativa, distinguendo le tre ipotesi in cui può venire in rilievo la compensatio lucri cum damno, dimostra di dar rilievo, in tal caso, non solo all’ingiustificato arricchimento del danneggiato ma anche all’ingiustificato depauperamento dell’autore della condotta illecita, atteso che, questo, dovrà erogare due somme: una a titolo risarcitorio e un’altra a titolo indennitario.
Tuttavia, precisa che, nel caso di specie, non si tratta di applicare il principio della compensationella sua versione tradizionale, che come si è detto in precedenza richiede che da una condotta si origini un danno e un lucro, in quanto manca l’elemento del lucro.
Infatti, atteso che l’indennità da causa di servizio può derivare tanto da un atto illecito quanto da un atto lecito dannoso, la compensatio potrebbe venire in rilievo solo qualora il danno sia originato da un atto illecito ma non qualora il medesimo sia originato da un atto lecito dannoso, in quanto, in tal caso, l’indennità prevista dalla legge avrebbe natura risarcitoria.
Pertanto, l’Adunanza Plenaria, ritenendo che, in tal caso, l’indennità erogata non presenti natura diversa rispetto alle somme risarcitorie, in quanto la nozione di indennità sarebbe compatibile, oltre che con un atto lecito dannoso, anche con una condotta che integri gli estremi di un atto illecito, non verrà il rilievo la compensatio intesa in senso tradizionale quanto piuttosto l’esigenza di evitare il cumulo di due voci risarcitorie.
3. La compensatio lucri cum damno quale principio generale dell’ordinamento giuridico.
Dalle considerazioni in precedenza svolte è emersa, non solo l’ubiquità e l’onnipresenza dellacompensatio lucri cum damno nell’ordinamento ma sopratutto sono emersi gli incerti confini in cui essa è chiamata ad operare.
Infatti, nel panorama giurisprudenziale italiano si assiste a pronunce che disapplicano lacompensatio qualora il lucro e il danno siano derivati dal medesimo fatto, ad altre che, invece, ne riconoscono l’applicabilità e, infine, ad altre ancora che applicano il principio predetto, pur non enunciandolo espressamente.35
In tale contesto, la pronuncia dell’Adunanza Plenaria potrebbe aver finalmente rimosso tutte le incertezze applicative sorte intorno al suddetto principio, consolidando quell’orientamento che riconosce alla compensatio portata di regola generale dell’ordinamento.
Infatti, sebbene la conclusione a cui è giunta l’Adunanza Plenaria riguardi il caso in cui l’autore del danno sia tenuto a corrispondere sia il risarcimento del danno che l’indennizzo, la medesima pronuncia non ha escluso che il suddetto principio possa essere esteso anche alle ipotesi in cui vi siano due distinti soggetti a dover erogare il risarcimento e l’indennizzo.
Invero, a rafforzare la tesi che sostiene la portata generale di tale principio si possono menzionare svariate ipotesi in cui già a livello codicistico ed extra codicem si ammette l’operatività dellacompensatio.
Innanzitutto, si può citare l’art. 1149 c.c. che permette la compensazione tra il diritto alla restituzione dei frutti e l’obbligo di rifondere al possessore le spese per produrli; l’art. 1479 c.c. che permette la compensazione tra il minor valore della cosa e il rimborso del prezzo e l’art. 1592 c.c. che, nel caso di vendita di cosa altrui, permette la compensazione del credito del locatore per i danni alla cosa con il valore dei miglioramenti.36
A tale ipotesi previste nel codice civile si aggiunge la disposizione prevista nell’art. 41, comma 1, l. 25 giugno 1865, n. 2359, che, in materia di espropriazioni per pubblica utilità, consente di detrarre dall’indennità lo speciale vantaggio che sarebbe derivato, in esecuzione dell’opera pubblica, al proprietario del fondo non espropriato.
Tuttavia, l’elemento maggiormente decisivo in tale ottica perviene dalle funzioni della responsabilità civile.
Infatti, come rilevato all’inizio della presente trattazione, la funzione principale della responsabilità è quella compensativa, ossia quella che mira garantire il principio dell’integralità del risarcimento, non permettendo al danneggiato di ottenere di più di quanto sia necessario per ripristinare la lesione subita.37
Nell’assolvimento di tale funzione non si può prescindere dal principio della compensatio lucri cum damno atteso che sarà proprio questo, nei casi in cui il danneggiato possa ottenere dal danno un lucro, a riequilibrare la funzione riparatoria, evitando che il danneggiato consegua un ingiustificato arricchimento, venendosi a trovare in una situazione patrimoniale migliore di quella in cui si trovava anteriormente all’evento lesivo.38
Tale ragionamento è coerente con l’analisi economica del diritto poiché il danneggiato sarà collocato nella stessa curva di indifferenza dove si sarebbe trovato in assenza dell’evento lesivo. Inoltre, il suddetto principio scongiurerà anche un ingiustificato depauperamento del danneggiante, nei casi in cui questo debba corrispondere sia il risarcimento che l’indennizzo. Infatti, lacompensatio, impedendo al danneggiante di pagare due volte per il medesimo fatto, eviterà che la responsabilità civile si trasformi in uno strumento di pena nei casi in cui non vi sia una copertura normativa in tal senso.
In ultimo, il principio della compensatio lucri cum damno consentirà, al giudice, di svolgere compiutamente la funzione equitativa, personalizzando il risarcimento del danno, in modo da tenere in considerazione tutti gli effetti positivi e negativi prodotti dall’evento lesivo.
Peraltro, laddove il giudice non potesse svolgere una simile funzione si lederebbe il comune senso di giustizia poiché il danneggiato otterrebbe un lucro eccedente la situazione antecedente all’evento pregiudizievole.39
Alla luce di quanto fin qui esposto, si deve ritenere che la compensatio operi quale principio generale dell’ordinamento italiano, desumibile dall’art. 1223 c.c. e che, pertanto, trovi applicazione in ogni ipotesi in cui l’erogazione congiunta di una somma risarcitoria e una somma indennitaria possa dar luogo ad un ingiustificato arricchimento per il danneggiato e ad un ingiustificato impoverimento per il danneggiante.
Infatti, sebbene sia vero che indennizzo e risarcimento abbiano fonte in un diverso titolo, ciò non può ritenersi ostativo all’applicabilità della compensatio in quanto il risarcimento del danno e l’indennizzo, in concreto, perseguono il medesimo risultato, essendo volti a garantire al danneggiato una somma di danaro a ristoro della lesione, occasionata dal medesimo evento.
Pertanto, alla luce di quanto sin qui esposto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione potrebbero, come è auspicabile, o dare seguito a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, attribuendo cosi definitivamente alla compensatio dignità di principio generale dell’ordinamento italiano oppure, sulla base della polifunzionalità attribuita alla responsabilità civile, negare la valenza generale dellacompensatio lucri cum damno e ammetttere il cumulo tra risarcimento e indennizzo, privilegiando la natura sanzionatoria della responsabilità civile anche in ipotesi non previste dalla legge.
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Francesco Molinaro
laureato con lode in giurisprudenza, specializzato nelle professioni legali e abilitato all'esercizio della professione forense.