L’usura delle mafie nella pandemia da Covid-19
Fin dagli albori del fenomeno della criminalità organizzata, il connubio tra povertà sociale e infiltrazioni mafiose è sempre stato evidente, anche agli occhi delle potenze statali.
La storia ci insegna, infatti, che la forza dell’attività criminale ha visto la sua maggiore crescita proprio nelle fasi in cui il tessuto sociale e quello economico –nazionale e globale- erano maggiormente indeboliti per effetto di eventi drammatici, come quelli bellicosi, che hanno costantemente provocato importanti crisi economiche, oltre che sociali, non sempre di facile risoluzione.
Il legame tra questi due fenomeni è, tuttavia, destinato a rafforzarsi; il significativo crollo economico mondiale, provocato dalla pandemia da Covid-19, ha infatti creato il terreno fertile per le organizzazioni criminali, dandogli modo di insinuarsi ancora una volta nelle dinamiche imprenditoriali, attraverso lo strumento dell’usura, tipico del metodo mafioso.
Nel codice penale italiano, il reato di usura viene disciplinato dall’art. 644 c.p. che punisce chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari.
Affinché possa configurarsi il delitto de quo è richiesto dal legislatore che l’autore della condotta agisca secondo le logiche del dolo generico; è, infatti, sufficiente che il reo sia cosciente nel suo agire e voglia richiedere interessi o prestazioni di natura usuraria.
Altra ipotesi contemplata dalla lex poenalis rileva, poi, nei casi in cui il soggetto agente procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario (ex art. 644, co.2, c.p.).
Il comma 4 del citato art. 644 c.p. riconosce, inoltre, come usurari gli interessi, anche se inferiori al limite legale, e ‹‹gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria››.
Molti clan della vita criminale utilizzano, ormai da decenni, il mezzo usurario per inserirsi compiutamente nella economia “sommersa” del credito nero; la presenza ingombrante della criminalità nel giro d’affari del prestito di denaro ha contribuito, del resto, al mutamento della ratio legis del delitto di usura.
Se in passato l’usura era considerata un reato contro il patrimonio, ossia unicamente lesivo dell’integrità patrimoniale della persona offesa dalla condotta criminosa, oggi l’orientamento dottrinario maggioritario ritiene ampliato il carattere offensivo di tale delitto, considerandolo potenzialmente dannoso del più generico bene della pubblica economia, nonché della libertà di autodeterminazione contrattuale.
Essendo un reato comune, il soggetto agente cui è possibile imputare la condotta usuraria può essere rappresentato da chiunque, non essendo richieste dal legislatore specifiche caratteristiche personali per la commissione del delitto de quo.
Stesso discorso vale per il soggetto passivo del reato, potendo essere chiunque vittima di usura; qualora, però, l’azione usuraria dovesse essere esercitata nei confronti di un imprenditore, di un artigiano o di un professionista, è prevista l’applicazione di una circostanza aggravante, con contestuale aumento di pena in caso di condanna.
La fattispecie incriminatrice così come delineata dall’art. 644 del codice penale prevede diverse modalità di esecuzione e realizzazione del reato in esame. Più nel dettaglio, il legislatore penale accoglie ben tre diverse ipotesi di usura: 1) usura presunta (o oggettiva) che si realizza quando si eccede la soglia dei tassi di interesse legali; 2) usura concreta (o soggettiva) che ricorre laddove l’autore del reato abusa dello stato di difficoltà della vittima, ottenendo un indebito lucro attraverso la sproporzione delle prestazioni; 3) mediazione usuraria che si verifica quando il soggetto agente pretende, per la sua opera di mediazione, vantaggi usurari (usura presunta) o comunque sproporzionati rispetto alla prestazione resa (usura concreta).
Ciò detto, sebbene l’autore del reato di usura può agire seguendo diverse logiche comportamentali, è senza dubbio l’usura concreta (o soggettiva) a rappresentare l’ipotesi più complessa in termini probatori e di verificabilità.
La questione della cd. usura soggettiva, valorizzando la situazione personale del debitore, ha come scopo principe quello di punire tutti i casi meritevoli di tutela che apparentemente non rientrano nelle ipotesi in cui la soglia di usura viene superata.
Rilevante, a tal proposito, è l’elemento rappresentato dalla difficoltà economica in cui deve versare la persona offesa dal reato, ossia il soggetto finanziato, perché possa parlarsi di usura concreta e non semplicemente di usura presunta. Secondo una recente pronuncia della Suprema Corte[1] “per l’accertamento della condizione di difficoltà economica della vittima deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana”. Il che porterebbe a considerare sufficiente un contingente impedimento economico della vittima, anche di non elevata intensità, affinché possa dirsi configurabile l’ipotesi delittuosa dell’usura soggettiva.
Diversa è, invece, la valutazione che gli ermellini presentano della seconda condizione necessaria per il delitto di usura soggettiva, ossia la difficoltà finanziaria del debitore che, si legge in sentenza, “investe in generale l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo ed è caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e di beni”.
L’elemento che, tuttavia, appare centrale nella figura della usura soggettiva è quello rappresentato dalla sproporzione del tasso di interesse in concreto applicato, il quale, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di usura oggettiva, non è un valore quantitativo bensì qualitativo del rapporto; è la situazione soggettiva del debitore finanziato che trasforma in illegittimo un comportamento di per sé legittimo (la definizione contrattuale di un tasso entro la soglia legale). A rilevare, quindi, è principalmente la sproporzione tra le prestazioni delle parti, la quale deve essere tale da alterare in modo significativo il sinallagma tra usuraio e vittima.
In uno scenario come quello odierno, ricolmo di difficoltà economiche e finanziarie, tanto dei singoli cittadini quanto delle imprese e dei professionisti, la criminalità organizzata riesce indisturbata a tessere i fili di una ragnatela sempre più ramificata e preponderante, che dà origine a quel mercato usurario in cui la presenza delle mafie è ormai diventata cardinale.
La crisi economica globale che attualmente vive il mercato internazionale causata dalla pandemia da Covid-19 è, dunque, un perfetto palcoscenico per le attività criminali delle mafie, ad oggi, del tutto delocalizzate e prive di confini territoriali, le quali approfittandosi delle difficoltà economico-finanziarie che la società sta affrontando, riescono a controllare quel giro di affari estremamente florido che gli consente di guadagnare denaro attraverso la mercificazione del denaro stesso.
Senza contare, poi, che nonostante l’usura mafiosa sia un fenomeno noto e particolarmente presente nei meccanismi economici, nazionali ed internazionali, la stessa risulta, ancora oggi, fondata sull’omertà, sulla paura e sulla vergogna di denunciare; ed è proprio a causa di questo sentimento “sociale” di soggezione che l’usura delle mafie contribuisce fortemente alla progressione del cd. mercato sommerso, impossibile da fronteggiare e contenere in assenza di segnalazioni e denunce da parte delle vittime.
Ciononostante, trattandosi di un delitto a consumazione prolungata (o a condotta frazionata), le periodiche dazioni di denaro, successive al momento della pattuizione che perfeziona di per sé il reato, non essendo post-fatti penalmente non punibili, permettono la posticipazione della consumazione dell’usura.
Le implicazioni sul piano processuale sono, dunque, evidenti e pregnanti. La posticipazione della consumazione del reato di usura compromette, infatti, il termine prescrizionale, il quale risulterà, a sua volta, posticipato; tale meccanismo assicurerà, pertanto, maggiori possibilità di repressione del crimine attraverso l’espressione dell’azione giudiziaria.
[1] Cass. Pen. Sez.II, 29 marzo 2017, n. 26214
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Valentina Carella
Nata a Napoli nel 1990, laureata nel 2014 in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha conseguito un Master di II livello presso la Luiss School of Law, in collaborazione con il Ministero dell'Interno, in "Politiche di contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata". Subito dopo la laurea ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e, contestualmente, ha terminato positivamente lo stage ex art. 73 D.L. 96/2013 presso gli Uffici Giudiziari del Tribunale di Napoli, Ufficio Gip. Abilitata alla professione forense.