L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite

L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite

Usura sopravvenuta e la risposta delle Sezioni Unite del 19 ottobre 2017


La rimessione alle Sezioni Unite del gennaio 2017 ha avuto ad oggetto una questione di massima di particolare importanza relativa alla “efficacia della normativa antiusura sui contratti sorti anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 ma che hanno avuto vigenza anche successivamente ad essa”.

In effetti, il sistema legislativo a disposizione degli interpreti non è apparso sufficiente, da solo, a colmare i numerosi dubbi posti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Volendo disegnare brevemente il quadro normativo di riferimento, è opportuno sottolineare che, prima dell’intervento del 1996, la previsione di interessi usurari, nell’ambito del programma negoziale, comportava l’applicazione della fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 1815 c.c., così come previsto ante riforma, con la conseguente sostituzione della statuizione negoziale con gli interessi legali.

Con la modifica n. 108 del 1996, il legislatore ha innovato l’originario assetto normativo, prescrivendo la non debenza degli interessi qualora le parti pattuiscano interessi usurari, con la conseguente trasformazione del mutuo da feneratizio in mutuo gratuito.

La riforma citata ha inciso fortemente sulla questione in oggetto, laddove i contratti di mutuo sono tipici contratti di durata, dunque, esposti all’insorgenza di sopravvenienze.

I problemi di fondo che intercettano la disciplina dell’usura, per ragioni di sintesi, possono essere inquadrati in tre principali nodi problematici.

Il primo è rappresentato da tutti i casi di mutuo a tasso fisso che siano stati stipulati dopo l’intervento riformatore del 1996. Allorquando, al momento della stipula del contratto di mutuo, il tasso pattuito rientra nel limite del tasso soglia vigente e, tuttavia, per effetto di una modifica del tasso soglia stesso, il tasso d’interesse originariamente individuato dalle parti dovesse risultare superiore a quello limite, si farà luogo all’applicazione di quanto disposto dal decreto legge n.  394 del 2000, che interviene proprio al fine di fornire un’interpretazione autentica della legge del ’96. Dunque, dovendosi intendere come “usurari” quegli interessi che “superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, è evidente come tale fattispecie non pone alcun problema. Difatti, rapportando l’usurarietà dell’interesse al momento in cui questo è promesso o convenuto, non hanno rilevanza le eventuali fluttuazioni del tasso soglia durante il corso del rapporto.

Il secondo aspetto problematico attiene al diverso caso in cui a variare non è il tasso soglia, quanto quello pattuito dalle parti. Sul punto le soluzioni prospettabili sono differenti a seconda che si tratti di una modifica del tasso di interesse dovuta al mutamento di un parametro esterno cui le parti hanno agganciato la determinazione del tasso stesso (ed in tal caso sembra prevalente l’orientamento secondo cui l’interesse usurario va sostituito con quello legale); ovvero, qualora si tratti di una modifica del tasso di interesse in forza dell’esercizio del c.d. ius variandi, per cui, trattandosi di una nuova pattuizione, non può che assistersi alla trasformazione del mutuo in gratuito.

Infine, l’ultimo noto problematico attiene proprio alle ipotesi dei contratti di durata che intercettano i più speciosi profili del diritto intertemporale: più precisamente si fa riferimento ai casi di mutuo stipulato ante 1996 il cui programma negoziale continua ad esplicare i suoi effetti anche dopo la riforma.

Al fine di venire a capo del nodo gordiano, la Suprema Corte ha ritenuto di dover rimettere la questione alle Sezioni Unite al fine di poter sopire l’incalzante contrasto giurisprudenziale registratosi sul punto.

La questione ha rappresentato, per lungo tempo, un fertile terreno di scontro per gli interpreti che hanno sostenuto le più svariate posizioni ermeneutiche.

Su un primo fronte, infatti, si schierano i sostenitori della c.d. “teoria del fatto compiuto”, in forza della quale si riteneva che l’intervento del legislatore del 1996 non avrebbe potuto incidere sulla pattuizione dell’interesse, qualora fosse stata convenuta dalle parti prima della riforma.

Più semplicemente, ciò che conta è il momento in cui il tasso di interesse viene ad essere convenuto dalle parti, a nulla rilevando la circostanza secondo che durante il corso del rapporto lo stesso tasso possa essere superiore rispetto alle sopravvenute prescrizioni legislative. A dispetto di quanti ne avevano, di contro, sostenuto con forza la fondatezza, viene così ad essere negata cittadinanza alla paventata possibilità di configurare un’ipotesi di usura sopravvenuta, .

Diversamente opinando, su fronte opposto emerge la posizione di chi ritiene di dover concludere per la nullità della clausola, manente la vigenza della nuova formulazione del secondo comma dell’art. 1815 c.c..

Nel solco del terreno tracciato dalle diverse impostazioni testè brevemente indicate si inserisce il d.l. 394/2000 che ha fornito una interpretazione autentica della riforma del 1996, che, tuttavia, ha finito per  alimentare il dibattito  -già fervente in materia- rendendo necessario l’intervento della Suprema Corte nella sua Massima Composizione.

Come ricostruito dalle Sezioni Unite, accanto alle tesi fin qui esaminate, sono sorti poi ulteriori filoni interpretativi che hanno fatto leva sugli obblighi di buona fede e correttezza quale strumento utile per il mutuatario per tutelarsi da eventuali richieste del mutuante tese ad ottenere il pagamento di interessi superiori al tasso soglia. In altri casi, riesumando la teoria dell’usura sopravvenuta, si è fatto leva sulla disposizione penale in tema di usura. Infatti, la lettura congiunta degli articoli 644 e 644 ter c.p. ha condotto taluno a ritenere l’usura un reato c.d. contratto che si perfeziona e si consuma al momento della stipula, qualora alla promessa non segua anche la datio. Di contro, le singole dationes successive qualificano la fattispecie come reato di danno, incidendo anche sul piano civilistico. Ne deriva una forma di nullità sui generis che non è genetica né retroattiva; nullità che ha attenzionato dottrina e giurisprudenza, che, in un’ottica critica, hanno osservato come la fattispecie penale che si assume violata si presenta come una norma che vieta di pattuire interessi superiori ad una determinata soglia. La struttura negativa, dunque, osta ad una applicazione tesa a colmare la lacuna contrattuale.

Ancora, si è  tentato di far leva sulla diversa tesi della inefficacia della clausola (pur in assenza di una patologia cui poter essere riferita) nonché sulla diversa teoria della presupposizione, in base alla quale bisognerebbe ritenere che, venuto meno il presupposto comune che ha portato alla individuazione dell’originario programma negoziale, operi il rimedio della risoluzione del contratto. Ebbene, tale soluzione presenta una indiscutibile criticità a danno del cliente che si vedrebbe costretto a restituire l’intero importo del mutuo senza poter più fare affidamento sulla restituzione rateale, con l’unico vantaggio di non vedersi imputati gli interessi.

Il problema scandagliato dalle Sezioni Unite attiene, dunque, a quei casi in cui il contratto di durata -seppur perfettamente valido al momento della stipula- viene intercettato da una sopravvenienza nel corso del rapporto.

Dirimente, dunque, è stato l’intervento della Corte che, sopendo l’annoso dibattito, ha osservato che: “nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.


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