Malattia del lavoratore e obbligo di reperibilità: i giustificati motivi di esonero
Come è assai noto, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, il lavoratore è chiamato al rispetto di predeterminate fasce di reperibilità presso la propria abitazione, allo scopo di consentire l’effettuazione di eventuali controlli (la c.d. “visita fiscale”) da parte dei medici fiscali incaricati dall’INPS. In questo senso, i predetti orari risultano, attualmente, disciplinati dal D.M. 8 gennaio 1985 e, nello specifico, “la visita medica domiciliare” dev’essere effettuata entro le fasce fissate “dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19 di tutti i giorni, compresi i domenicali o festivi…”. Trattasi, peraltro, di visite cui dar luogo su richiesta proveniente direttamente dall’ente stesso ovvero, più soventemente, dal datore di lavoro (sia esso pubblico o privato).
Orbene, giova riflettere sulla possibilità o meno, per il prestatore in malattia, di sottrarsi a tale obbligo e a quali condizioni.
In tal senso, la norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 5, comma 14 della Legge 11 novembre 1983, n. 683, ove è esplicitamente prescritto che, “qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo”, oltre, naturalmente, alle indubbie conseguenze di natura disciplinare in cui può senz’altro incorrere. Invero, sotto quest’ultimo profilo, l’ipotesi considerata – se priva di valida giustificazione – rappresenta una palese violazione del dovere di diligenza che incombe sul prestatore di lavoro e può comportare, a seconda della gravità, anche alla comminazione di un provvedimento espulsivo.
Orbene, appare estremamente evidente come la questione maggiormente dirimente attenga alla necessità di individuare con precisione il significato da attribuirsi al “giustificato motivo” richiesto dalla disposizione. In tal senso, occorre riferirsi a quanto da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità e, in particolare, a quanto contenuto nell’assai recente sentenza n. 24492 del 1 ottobre 2019 della Suprema Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, un lavoratore agiva in giudizio ai fini dell’impugnazione di una multa comminatagli dal proprio datore di lavoro, appunto, per essere risultato assente alla visita medica di controllo domiciliare e ciò senza comunicare alcunché preventivamente. Stando alle difese del ricorrente, in particolare, la relativa assenza sarebbe stata del tutto giustificata, in quanto dovuta alla necessità di accompagnare il figlio minorenne al pronto soccorso. Nello specifico, questi si era, dapprima, recato urgentemente in ospedale in tarda notte e, la mattina seguente (all’orario di effettuazione della visita da parte del medico INPS), vi era ritornato per un nuovo controllo del minore suggeritogli dai medici.
La sanzione era stata dichiarata legittima nei primi due gradi di giudizio e, con la pronuncia in commento, la Cassazione ha confermato tali decisioni.
Infatti, stando alle argomentazioni del giudice di ultima istanza, il giustificato motivo per il quale lavoratore può essere legittimamente esonerato dall’obbligo di reperibilità ricorre, da un lato, nelle ipotesi di forza maggiore (che può generalmente definirsi come un evento imprevedibile e inevitabile, al quale non è oggettivamente possibile resistere) e, dall’altro, allorquando si registri un altro fatto che, “alla stregua del giudizio medio e della comune esperienza”, possa rendere pressoché plausibile “l’allontanamento del lavoratore dal proprio domicilio”. Secondo la Corte, trattasi di un motivo che, in ogni caso, non può basarsi su valutazioni di convenienza o opportunità, bensì su una vera e propria necessità del dipendente; necessità dovuta ad un’”improvvisa e cogente situazione” che renda “indifferibile la presenza del lavoratore in un luogo diverso dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità” (si veda, in senso pressoché analogo, anche Cassazione, sentenza n. 14735 del 2 agosto 2004). Peraltro, per costante orientamento giurisprudenziale, grava interamente sul prestatore di lavoro l’onere di dimostrare che, ancorché innanzi all’effettiva sussistenza di un valido motivo, fosse per lo stesso del tutto impossibile allontanarsi “in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di reperibilità” (al riguardo, vedasi Cassazione, sentenza n. 22065 del 23 novembre 2004).
Come anticipato, a tali considerazioni è conseguito il rigetto dell’impugnazione del lavoratore. Se, infatti, la necessità di accompagnare il minore all’ospedale può prestarsi – astrattamente – a costituire una valida ragione di esonero, nel caso di specie, non sussisteva un vero e proprio momento d’urgenza (individuabile in tarda notte e non la mattina seguente) idoneo a giustificare l’allontanamento e, ad ogni modo, a legittimare il mancato “previo avviso di allontanamento al proprio datore di lavoro”.
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Fabio Goffi
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