Malpratica medica: il danno poteva essere evitato o ridotto?
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32657/2021 ha censurato una decisione di Corte d’appello sul presupposto che quest’ultima avrebbe peccato nel ricollegare lo stesso effetto giuridico a due differenti giudizi di fatto.
Il Giudice di secondo grado, nella specie, avrebbe dovuto tenere distinte le ipotesi secondo cui un tempestivo intervento dello staff medico avrebbe evitato oppure semplicemente ridotto il danno subito dal paziente.
Il caso. La controversia sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità nasce con riferimento ad una gravidanza ove il feto aveva riportato gravi danni neurologici.
Dalle risultanze del CTU nominato tali danni erano ricollegabili alla preesistenza di una condizione patologica della gestante mentre dai documenti clinici erano emersi profili di errata diagnosi dipendenti dal fatto che non vi era stato un tempestivo intervento allorquando fu rilevato un ritardo nella crescita del feto causa di una progressione della patologia.
Sul punto il giudice di primo grado ha, in primo luogo, riconosciuto la responsabilità medica della struttura ospedaliera e, in secondo luogo, ha accordato un risarcimento dei danni ridotto nel quantum in considerazione della relazione tra la patologia della madre e l’insorgere dei danni riportati dal figlio.
Il giudice di secondo grado, di contro, ha sostenuto che tale riduzione non fosse giustificabile in quanto la patologia della madre era da considerarsi quale “concausa naturale e non umana” atteso che un tempestivo intervento dell’equipe medica avrebbe “evitato, o quanto meno ridotti” i danni intrauterini.
Tale ultimo passaggio, secondo al Suprema Corte, è carente in quanto sostanzialmente “privo di motivazione” non potendosi stabilire l’esclusiva responsabilità della struttura ospedaliera se prima non si è sciolto il dubbio concernente gli eventuali benefici che si sarebbero tratti da un tempestivo intervento.
La decisione della Corte. Il Supremo Consesso, intervenendo sul punto, ha evidenziato una contraddittorietà nella motivazione resa dal giudice di secondo grado il quale per un verso ha aderito alle conclusioni della CTU circa l’incidenza causale della patologia pregressa della madre ai fini della menomazione di cui è il nascituro, per l’altro, non ha delimitato in modo corrispondente il quantum debeatur.
Ha specificato la Corte che sul piano logico non possono essere assimilate la neutralizzazione e la riduzione degli esiti della patologia pregressa perché – essendo diverse le conseguenze giuridiche dei due presupposti di fatto evidenziati – si cade in un’inconciliabile contraddizione ove li si equipari.
<<…Ove infatti l’intervento sanitario sarebbe stato in grado di neutralizzare la patologia pregressa non si sarebbe posto un problema di concausa di lesione ed è corretto concludere nel senso della irrilevanza della patologia pregressa ai fini della determinazione del danno risarcibile. Ove invece le conseguenze del fattore naturale sarebbero state soltanto ridotte dal tempestivo intervento sanitario, l’incidenza delle stesse al livello della causalità giuridica di cui all’art. 1223 cod. civ. non si sarebbe potuta negare, sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 514 del 2020, n. 28986 del 2019, n. 28990 del 2019)…>>.
In tali casi trova applicazione un granitico principio di diritto per il quale:
<<…1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata; 2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale; 3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito; 4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi; 5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; 6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione: a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro; b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale; c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo dal valore (b); 7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto…>>.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha rilevato che <<…la corte territoriale ha espresso un giudizio di fatto in termini sia di neutralizzazione che di riduzione delle conseguenze della patologia pregressa da parte dell’intervento sanitario ove svolto in modo diligente, collegando a tale accertamento gli effetti giuridici della neutralizzazione (irrilevanza ai fini della determinazione del danno risarcibile) e non quelli della riduzione…>>.
Quest’ultima ha, dunque, realizzato un’anomalia motivazionale, configurante violazione di legge costituzionalmente rilevante, <<…in quanto contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, sia sotto il profilo del giudizio di fatto (neutralizzazione e allo stesso tempo riduzione delle conseguenze della patologia pregressa), sia sotto il profilo del giudizio di diritto (opzione priva di motivazione in favore della fattispecie della neutralizzazione, anziché in favore di quella della riduzione)…>>.
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Gabriella Fabiani
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