Maltrattamenti in famiglia e sospensione della responsabilità genitoriale
Sommario: 1. Premessa – 2. La pena accessoria di cui all’art. 34, co. 2, c.p. e il reato di maltrattamenti in famiglia. Quando si configura? – 3. Conclusioni
1. Premessa
L’art. 572 c.p., rubricato “maltrattamenti contro familiari e conviventi”, è collocato all’interno dei Titolo XI “delitti contro la famiglia”, in particolare nel Capo IV relativo ai delitti contro l’assistenza familiare.
Tale fattispecie delittuosa si realizza allorquando chiunque maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, trattasi, pertanto, di reato proprio stante il rapporto intercorrente tra autore e vittima, giacché il quadro in cui si delinea tale delitto ha come sfondo un contesto relazionale. Ed è sull’affidamento reciproco che nasce da questa relazione che la legge fonda la sanzione di quei comportamenti vessatori.
Con la parola “famiglia” si è dapprima inteso tutelare soltanto il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati e gli adottanti, tuttavia, ragioni storico-sociali hanno esteso tale concetto in modo da ricomprendervi anche i conviventi more uxorio e, in generale, tutti coloro che sono in qualche modo legati da un rapporto di parentela con il maltrattante e ai domestici con questo conviventi.
La condotta si concreta in una serie di atti prevaricatori, vessatori e oppressivi reiterati nel tempo, tali da produrre nella vittima un’apprezzabile sofferenza fisica o morale, o anche da pregiudicare il pieno e soddisfacente sviluppo della personalità della stessa. Pertanto ciò che rileva ai fine dell’integrazione della fattispecie de quo è il compimento di atti non sporadici, necessitando di una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima. [1]
Dunque, è un reato abituale, vale a dire contraddistinto dalla ripetizione, nel tempo, di più condotte omogenee, di per sé lecite ma anche illecite, qualora venga concretizzato con ingiurie o lesioni.
Con riferimento, invece, all’elemento soggettivo, consiste nel dolo generico, ossia della coscienza e volontà di arrecare delle sofferenze alla vittima.
Da ciò si desume che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie delittuosa è rappresentato dalla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma[2];difatti, le modifiche apportate alla norma oggetto di esame hanno interessato il regime sanzionatorio e l’estensione della tutela ai soggetti conviventi e, da ultimo, con il c.d. Codice rosso delle modifiche in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
2. La pena accessoria di cui all’art. 34, co. II, c.p. e il reato di maltrattamenti in famiglia. Quando si configura?
Con sentenza n. 34504/2020, la Corte di Cassazione ha statuito espressamente che è applicabile la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 34, co. II, c.p., anche quando le condotte di reato, colpendo l’altro genitore, siano indirettamente rivolte contro i figli minori, costringendoli ad assistere, secondo i parametri normativi di cui all’art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, c.p., ad atti di violenza e sopraffazione destinati ad avere inevitabili conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica.
Ebbene, nel caso di specie, il reato contestato è quello di maltrattamenti in famiglia rivolto alla madre dei figli minori e moglie del ricorrente, aggravato dall’art. 61, co. I, n. 11-quinquies, c.p. per averlo commesso alla presenza dei figli minori della coppia.
A tal riguardo, merita comprendere l’iter argomentativo attraverso il quale il Supremo Consesso è arrivato a tale pronuncia.
In particolare, la circostanza aggravante oggetto di analisi è stata introdotta con D.l. n. 93/2013 conv. in L. n. 119/2013 in attuazione della Convenzione di Instanbul del 7 aprile 2011 e si perpetra allorquando il minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato, e dunque, anche quando l’autore non percepisca la presenza dello stesso, non essendo necessario che il minore sia in grado di percepire l’illiceità della condotta posta in essere dall’autore.
Esaminata la circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. I, n. 11-quinquies, c.p., occorre soffermarsi sull’art. 34, co. II, c.p..
L’art. 34 c.p. disciplina sia la decadenza (co. I) nei casi previsti espressamente dalla legge sia la sospensione della responsabilità genitoriale derivante dalla condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale (co. II).
Per quel che qui interessa, occorre chiedersi quali reati possono essere ricompresi nel termine “abuso della responsabilità genitoriale”.
Per spiegare questo concetto, i giudici di legittimità riprendono l’art. 330 c.c., secondo il quale la decadenza dalla responsabilità genitoriale consegue alla violazione dei doveri di cui all’art. 316 c.c., ossia il dovere crescere i figli tenendo conto della loro capacità, inclinazioni e aspirazioni, o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio per il figlio.
Tracciate le coordinate normative, la Cassazione ha ritenuto che la fattispecie di cui all’art. 61, co I, n. 11-quinquies, c.p. rientrasse nel novero delle condotte in grado di riconoscere l’applicazione dell’art. 34, co. II, c.p.. Difatti, rientrano nelle condotte abusive sia quelle direttamente sia indirettamente rivolte contro i figli minori, che sono costretti ad assistere a condotte vessatorie e violente con la conseguenza di incrinare inevitabilmente la loro evoluzione psico-fisica, segnandone il carattere e la memoria.
3. Conclusioni
Dal quadro normativo e giurisprudenziale delineato, appare chiaro che l’abuso della responsabilità genitoriale integri la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 34, co. II, c.p. sia nell’ipotesi di maltrattamenti in famiglia a danno dei minori, spettatori dei soprusi inferti su un altro familiare, sia nel caso di violenza assistita come aggravante di un reato commesso contro costui.
Note:
[1] Cass. Pen. N. 6126/2019
[2] Ex multis., Cass. Pen. N. 37019/2003
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Silvia Passarini
Nata in provincia di Macerata nel 1992, ha conseguito lalaurea in giurisprudenza presso l'Università di Macerata nell'aprile 2017 con la tesi in diritto del lavoro "il licenziamento discriminatorio".
Abilitata alla professione forense presso la Corte d'Appello di Ancona nell'ottobre 2020.
Ha altresì svolto il Master di II livello in materia di privacy presso l'Università Niccolò Cusano nel novembre 2020.
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