Maltrattamenti in famiglia: la denigrazione può integrare reato?

Maltrattamenti in famiglia: la denigrazione può integrare reato?

Con il termine “denigrazione”, utilizzato nel quotidiano, si intende una condotta consistente nell’offuscare la reputazione o il valore di qualcuno con intento malevolo.

Ebbene, il discrimen tra una “battuta” ed un’offesa volta proprio a tal fine è ben sottile laddove si consideri che, talora, si perde di vista il peso delle parole utilizzate e delle modalità con le quali le stesse vengono gestite e soppesate in uno scambio dialettico.

Ma si badi bene: un conto è “fare una battuta” in un contesto formale ed amichevole, altro conto è scagliarsi volutamente nei confronti di una persona con il solo intento di offenderla e denigrarla, anche attraverso un’espressione che sembrerebbe, in un primo momento, innocua.

Ebbene, considerare esenti da punizioni gli insulti e le denigrazioni, perpetrate ai danni di una persona nel quotidiano, costituirebbe una valutazione oltremodo superficiale ed erronea, potendosi in talune circostanze ricondurre nel più ambio genus dei “maltrattamenti”.

A tal proposito, sembra doveroso riportare qui di seguito quanto enunciato all’interno dell’art. 572 c.p. rubricato “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni(1). La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi(2). [La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici] (3). Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato (4).

La ratio dell’enunciato suesposto è da rinvenirsi nella tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei soggetti appartenenti all’universo familiare o para-familiare.

Ma cosa si intende con l’assunto “violenza familiare” o “violenza domestica”?

Trattasi di una tipologia di coazione che ricomprende nel suo alveo tutte quelle modalità di utilizzo della violenza tra i membri di una comunità di vita (nell’ambito di un rapporto familiare o di coppia), commessa tra le persone tra le quali sussiste un legame affettivo ed una dipendenza che può assumere plurime connotazioni.

La crescente attenzione riservata, non solo in ambito giuridico, al fenomeno della violenza in ambito familiare si è tradotta in un suo esplicito riconoscimento normativo da parte del legislatore penale, prima con la l. n. 119 del 2013 (legge sulla violenza di genere) e poi con la l. n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso).

Ebbene, la crescente attenzione derivante dal dilagante allarme sociale che sembra prender sempre più piede nella nostra società, ha costituito la ragione fondante di molteplici pronunce giurisprudenziali susseguitesi sul punto, che hanno consentito il pacifico riconoscimento dell’integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia in caso di violenze psicologiche ed economiche.

Ed è proprio questo il caso oggetto di una recente sentenza della Corte di Cassazione, tornata ad enunciare il principio secondo cui insultare il coniuge integra il reato di maltrattamenti in famiglia, pronunciandosi in merito ad un’ipotesi in cui non erano state consumate aggressioni fisiche, bensì quotidiani insulti e denigrazioni ai danni della moglie e della figlia da parte di un uomo accusato, nel caso di interesse, di maltrattamenti contro le stesse nonché di violenza sessuale nei confronti della coniuge sulla scorta dell’ art. 572 c.p. (Cass. Pen., Sez. IV, 34351/2020).

In particolare, la Corte ha ribadito a chiare lettere che ad integrare il reato di “Maltrattamenti contro familiari o conviventi” fosse proprio la ripetitività e l’ossessività degli insulti perpetrati, indice e prova dell’abitualità richiesta ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti.

Sul punto, evidenziano gli Ermellini, l’utilizzo di espressioni denigratorie (nella specie “sei una scrofa”, “come sei brutta”, “copriti, fai schifo”, “sei grassa”, “dovrei cambiare le porte perché non ci entri più”, “tra dieci anni ti cambio con una più giovane e più bella”) non era circoscritto ai soli ed eventualmente sporadici litigi privati (profilo che, ad ogni modo, non  ridurrebbe in alcun modo la gravità e la portata delle circostanze), ma per converso costituivano parte integrante ed usuale dell’intercalare dell’imputato.

Si riporta, di seguito, uno stralcio della pronuncia di cui sopra: “[…] la Corte territoriale con la sentenza qui impugnata rappresenta gli episodi di prevaricazione nei confronti della vittima, consiste in continui insulti (…) pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, nel far mancare alla persona offesa i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate. Siffatte considerazioni sono sufficienti a sorreggere il giudizio di ripetitività ed abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di cui all’art. 572 cod. pen., costituendo il nucleo di un abituale comportamento vessatorio ai danni della moglie dell’imputato”.


(1) Comma così modificato dall’art. 9, comma 2, lett. a), L. 19 luglio 2019, n. 69, a decorrere dal 9 agosto 2019.
(2) Comma inserito dall’art. 9, comma 2, lett. b), L. 19 luglio 2019, n. 69, a decorrere dal 9 agosto 2019.
(3) Comma abrogato dall’art. 1, comma 1-bis, D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119.
(4) Comma aggiunto dall’art. 9, comma 2, lett. c), L. 19 luglio 2019, n. 69, a decorrere dal 9 agosto 2019.

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