Maltrattamento di animali: è reato impedire al cane di abbaiare
Per gli amanti degli animali non è, in alcun modo, concepibile l’idea di arrecare nocumento ad una creatura vivente, specie se si tratti del migliore amico dell’uomo: il cane.
Sono sempre più frequenti i casi di abbandono di animali e/o di maltrattamenti degli stessi, spesso perpetrati dai medesimi padroni.
Oggetto della presente trattazione, pertanto, sarà l’analisi di una pronuncia del Tribunale di Taranto (sentenza n.492/2018) la quale ha condannato due coniugi che, nel tentativo di impedire al proprio cane di abbaiare, legavano il muso dello stesso con delle fasce, integrando con ciò il reato di cui all’art. 544 ter c.p. e rubricato, per l’appunto, “Maltrattamenti di animali”.
IL CASO
I coniugi Tizio e Caia, proprietari del meticcio Mevio, vivevano con il proprio cane alla periferia di Taranto.
I due, ormai da tempo cercavano di porre un rimedio all’insopportabile abbaiare del cane senza, tuttavia, avere esiti positivi; decidevano, pertanto, di legare il muso dello stesso con una fascetta di plastica che, pressando il muso dell’animale, evitava che questi potesse abbaiare.
Venivano, appunto, allertati i carabinieri della stazione di Marina di Ginosa i quali, avendo ricevuto la segnalazione del maltrattamento di un cane, giunti sul posto notavano effettivamente la presenza del meticcio con il predetto laccio legato sul muso.
Una volta appurata la proprietà dell’animale e ricostruiti i fatti, l’organo giudicante non aveva dubbio alcuno sulla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di maltrattamento di animali ascritto a Tizio e Caia.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO
Il reato di “maltrattamenti di animali” è disciplinato dall’art. 544-ter c.p., che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da €.5.000 ad €. 30.000.
La norma de qua, introdotta dalla L.n. 189/2004 nell’ambito del nuovo Titolo IX Bis, rubricato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” e oggetto di modifiche ad opera della successiva L.n. 201/2010 che ne ha inasprito le pene, si occupa del medesimo delitto precedentemente disciplinato dall’art. 727 c.p. (oggi rubricato “abbandono di animali”) uscendo, però, dall’ambito della mera contravvenzione per assurgere a vero e proprio reato, in armonia con la ratio sottesa alla legislazione del 2004 di una soggettività dell’animale e della necessità di una sua tutela.
L’elemento oggettivo previsto dalla norma punisce chiunque si renda autore di lesioni o di sevizie ai danni di un animale.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere la non necessità, ai fini dell’integrazione del reato in esame, delle lesioni fisiche apportate all’animale; è, infatti, sufficiente la sofferenza patita dallo stesso.
Ciò in quanto la ratio della norma è tutelare gli esseri viventi in grado di percepire dolore, anche nel caso di lesioni di tipo ambientale e comportamentale[1].
L’elemento soggettivo previsto dalla norma è il dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale, che può consistere sia in un comportamento commissivo che omissivo, sia tenuta per crudeltà ed, invece, è il dolo generico quando la condotta sia tenuta senza alcuna necessità.
Pertanto, ai fini della configurabilità del reato in esame può bastare anche la coscienza e volontà di cagionare sofferenze agli animali e l’accettazione delle stesse.
Nel caso di specie, ha precisato il giudice come il delitto di maltrattamenti risulti integrato non solo da “una condotta generatrice di lesioni ma, altresì, dalla condotta che attenti al benessere dell’animale ed alle sue caratteristiche etologiche attraverso comportamenti ritenuti incompatibili con le esigenze naturali dell’animale che vanno, indiscutibilmente, salvaguardate[2]”.
Come detto, infatti, il reato ex art. 544 ter c.p. si concretizza nell’imposizione di comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale attuati, non già, per crudeltà ma anche senza necessità.
Non è, quindi, richiesta la necessità del dolo specifico (salvo ovviamente per il fatto commesso per crudeltà), essendo sufficiente anche il solo dolo generico, ossia una condotta cosciente e volontaria.
Nella vicenda in esame, quindi, non vi è alcun dubbio sulla penale responsabilità di ambedue i coniugi, i quali avendo legato il muso dell’animale con una fascetta, lo hanno “inevitabilmente sottoposto a comportamenti insopportabili e del tutto incompatibili con le caratteristiche etologiche proprie dello stesso, avuto anche riguardo alla circostanza che l’abbaio è la principale forma di comunicazione del cane ed alle intuibili sofferenze e difficoltà anche respiratorie correlate alla costrizione del muso[3]”.
In conclusione, quindi, legare il muso del cane per impedirgli di abbaiare integra reato.
Trattasi, infatti, di un comportamento incompatibile con le caratteristiche etologiche dell’animale, posto che l’abbaio è la principale forma di comunicazione dell’animale stesso.
Inoltre, giova precisare come integri una condotta penalmente rilevante, benché punibile a titolo di contravvenzione, a differenza dell’art. 544 c.p., la condotta di chi applichi al proprio cane i collari c.d. “antiabbaio”, aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare del cane.
Sul punto si è espressa la Suprema Corte la quale, con sentenza n. 3290 del 24.01.2018[4], ha ritenuto integrato l’art. 727 c.p. comma 2 nel caso di una coppia di cani detenuta dai proprietari con i collari c.d. “antiabbaio”, ossia con quegli strumenti aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare del cane, proprio perché tali collari –per la loro natura produttiva di sofferenze- determinano una condizione incompatibile di sopravvivenza per l’animale.
Infatti, con riferimento a quest’ultima ipotesi, la giurisprudenza ha affermato come ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi non sia necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche in soli patimenti.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, l’utilizzo dei predetti collari integra il reato di cui all’articolo 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale[5].
[1] Cass. Pen. N. 46291/2003.
[2] Trib. Taranto n. 492/2018.
[3] Trib. Taranto n. 492/2018.
[4] Cass. Pen. Sez. III, n. 3290 del 24.01.2018.
[5] Cass. Pen. n. 21932 dell’11.02.2016.
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Andrea Ribichesu
Nell’anno accademico 2015/2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Sassari Dipartimento di Giurisprudenza, riportando la votazione di 105/110 e discutendo una tesi in diritto privato comparato dal titolo “Responsabilità del produttore e azione collettiva: profili comparatistici”.
È iscritto all’albo dei dottori praticanti Avvocati di Sassari dal 26 Novembre 2015.
Dal 26 Luglio 2018 ha intrapreso una collaborazione con il quotidiano giuridico Giuricivile, Rivista scientifica di diritto e giurisprudenza civile (ISSN: 2532-201X), pubblicata su internet all’indirizzo https://giuricivile.it, ottenendo mensilmente la pubblicazione dei seguenti articoli giuridici riguardanti il diritto civile:
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• 30/01/2019 “Circolazione stradale: la responsabilità del conducente dello scuolabus”;Dal 15/01/2019 ha intrapreso una collaborazione con la Rivista scientifica Salvis Juribus (ISSN: 2464-9775), Salvisjuribus.it, vantante un ampio network di cultori della materia giuridica nonché inserita nel portale ROAD patrocinato dall’UNESCO come portale scientifico open access, ottenendo la pubblicazione, presso la medesima, dei seguenti articoli di diritto penale:
• 24/01/2019 “Maltrattamento di animali: è reato impedire al cane di abbaiare”;
• 17/02/2019 “Inviare missive con accluse foto dal contenuto erotico non integra il reato di molestia ex art. 660 c.p.”Dal 25/02/2019 collabora con la nota Rivista Giuridica online “Diritto & Diritti” (ISSN 1127-8579) (www.Diritto.it), fondata nel 1996 dal Dott. Francesco Brugaletta, Magistrato del Tribunale Amministrativo Regionale di Catania e pubblicista, nonché componente della Commissione Informatica del Consiglio di Stato, ottenendo la pubblicazione dei seguenti contributi mensili:
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