Mediazione, intelligenza emotiva, assenza di conflitto
Intelligenza emotiva. Lo Studioso Daniel Goleman ha scandagliato il concetto di “intelligenza emotiva”, in un volume divenuto famoso[1]. Esiste la mente razionale, ramificata nelle sue componenti intellettive, che, peraltro, resta, in tutto o in parte, impermeabile alle emozioni, all’empatia. Occorre aprire spiragli e spazi alle emozioni, che, soprattutto a livello inconscio, esercitano un notevole potere sulla persona, con particolare riferimento alle sue attività e al modo di relazionarsi con altri soggetti.
L’intelligenza emotiva è stata posta in connessione con la scoperta dei meccanismi cerebrali delle emozioni, in cui si spiegano le modalità dell’elaborazione emotiva. Alcuni aspetti del costrutto di intelligenza emotiva si collegano inscindibilmente con quelle sezioni del cervello, in cui si elaborano sul piano cognitivo le emozioni.
Non è stato Goleman il primo Autore a studiare l’intelligenza emotiva. Salovey e Mayer (1989-90)[2] elaborano il paradigma dell’intelligenza emotiva, traendo spunto dalla concezione delle pluralità di intelligenze di Gardner. Il concetto di intelligenza emotiva proposto da questi Autori si diversifica per certi aspetti da quello di Goleman, in quanto per questi Studiosi l’intelligenza emotiva è la capacità di rielaborare le proprie informazioni, in conformità alle proprie emozioni e a quelle altrui, in modo da utilizzare queste informazioni come guida per il pensiero e il comportamento, in una visione secondo cui i pensieri, se adeguatamente coltivati, tendono a concretizzarsi. Si promuovono funzioni adattative e di flessibilità del dialogo, che si adeguano alla realtà concreta, producendo risultati positivi, all’interno di una logica non conflittuale. Già questo è un profilo assai importante, sia per la mediazione civile e commerciale, sia per quella familiare: l’alfabetizzazione delle emozioni porta a gestire in modo costruttivo l’interrelazione dialogica e a una soluzione a somma variabile maggiormente probabile.
La persona deve essere in grado di verificare le proprie emozioni e quelle altrui, per poi esprimere in modo empatico queste emozioni con i correlativi bisogni, sapendo anche discriminare fra emozioni sincere ed emozioni non sincere, riguardo alle affermazioni del proprio interlocutore. Le emozioni sono un supporto attraverso cui si possono prendere decisioni maggiormente equilibrate, anche al fine di considerare diversi punti di vista sull’argomento e potenziare la creatività. Tale potenziamento permette di manipolare in senso positivo le emozioni, con la contestuale capacità di discernere in quali emozioni dobbiamo identificarci, in conformità all’utilità che esse possano acquisire all’interno di un dialogo costruttivo.
Anche Goleman, come gli Studiosi prima citati, ritiene che l’abilità di esplorare le proprie emozioni incrementi l’autoconsapevolezza dell’individuo e l’attitudine a controllare le proprie attività vitali. Bisogna potenziare la capacità di guardare in modo introspettivo i propri pensieri, coordinando tale attitudine con il livello di conoscenza delle proprie emozioni.
La capacità di esplorazione deve essere estesa anche ai pensieri inconsci, in cui sono presenti dei “programmi”, di cui spesso la mente razionale non è del tutto consapevole, ma che possono essere modificati in positivo, con la soppressione o l’attenuazione delle cc.dd. “credenze limitanti”. Ciò può anche essere utile sul piano dialogico.
Nel suo volume sull’intelligenza emotiva Goleman studia l’ipotesi di Block, definita come “resilienza all’ego”, in cui vengono confrontati soggetti con un elevato QI e soggetti con notevoli doti emozionali. I soggetti con elevato QI non riescono a intrattenere soddisfacenti relazioni interpersonali.
Molteplici sono gli ambiti di applicazione dell’intelligenza emotiva. Per esempio, all’interno del rapporto coniugale, è possibile una migliore gestione dei conflitti familiari, in cui, secondo una certa ricostruzione, la donna protesta e il marito formula una critica personale. Si può empatizzare con il partner e raggiungere una gestione migliore dei conflitti, attraverso una riduzione del livello di tensione. La tendenza da valorizzare è quella di sollecitare la possibilità di esaminare una stessa vicenda sotto diversi punti di vista, di per sé tutti dotati di una certa validità e condivisibilità. Pertanto, occorrerà consolidare la capacità di calmarsi e di calmare l’altro, l’empatia e la capacità di ascolto.
L’intelligenza emotiva può trovare applicazione anche nell’ambito delle aziende, nei rapporti lavorativi. Possono formularsi critiche costruttive, introdurre elementi di originalità all’interno della struttura lavorativa, instaurando una rete connettiva stabile e costruttiva. L’eventuale critica, formulata in sede lavorativa, deve offrire delle soluzioni alternative, rispetto alla strada percorsa, in modo da consentire un esame della vicenda sotto una prospettiva diversa.
L’intelligenza emotiva deve attecchire anche in campo medico, in quanto, spesso, l’aspetto del conforto psicologico del paziente viene trascurato e questo determina un ritardo nel miglioramento delle condizioni di salute del degente in una visione olistica, che consideri il rapporto mente-corpo. Si deve creare una relazione tendenzialmente paritario fra medici e pazienti, anche attraverso un’adeguata informazione sugli aspetti patologici da curare, si deve instaurare un “rapporto” fra persone.
Questi ragionamenti, formulati per svariati settori (famiglia, lavoro, cure mediche) possono, mutatis mutandis, essere estesi alle procedure di mediazione, in cui si intendano applicare i paradigmi dell’intelligenza emotiva. Quel che conta è comprendere che la realtà non è statica, può essere plasmata e rimodulata attraverso opportune manovre dialogiche, utilizzando paradigmi diversificati collegati all’alfabetizzazione emozionale.
Il riconoscimento del rapporto fra le parole e le emozioni è un altro punto importante. Questa progressiva alfabetizzazione delle emozioni porta alla capacità di interpretare emozioni sempre più complesse.
L’intelligenza è multiforme, trascende di molto i tests, utilizzati per la misura dell’intelligenza tout court, i quali si occupano degli aspetti logico-matematici dell’attività cerebrale. Si possono individuare l’intelligenza spaziale, l’intelligenza sociale, l’intelligenza introspettiva, l’intelligenza corporeo cinestesica e l’intelligenza musicale.
L’intelligenza emotiva trascende gli aspetti cognitivi e il problem solving. e si riferisce al rapporto con l’altro, alla gestione delle emozioni positive e negative. L’intelligenza in questione consente di apprendere pratiche di gestione dello stress emozionale, attraverso l’apprendimento di pratiche connesse ad abilità emotive e sociali e il livello delle competenze emotive acquisite esprime quanto questo potenziale sia stato realizzato.
L’intelligenza emotiva consente di ri-orientare il proprio pensiero sulla base della componente emozionale inconscia, in associazione con l’altro, con una pianificazione positiva della propria condotta, per non debordare in una cattiva gestione del conflitto.
Un ulteriore aspetto dell’intelligenza emotiva permette di intercettare la connessione fra le emozioni e il loro interagire reciproco. L’alfabetizzazione emozionale consente di leggere il pensiero psico-emotivo dell’altro da sé, anche attraverso il linguaggio corporeo. Si possono in questa maniera, attraverso un passaggio successivo, gestire le emozioni proprie e altrui, valutandone l’efficacia. Si può abbozzare uno schema delle fasi di apprendimento dell’intelligenza emotiva: 1) percezione delle emozioni; 2) guida del pensiero attraverso l’emozione; 3) comprensione delle emozioni; 4) gestione delle stesse.
Intelligenza emotiva in mediazione. L’auto-coscienza permette di restare ancorati ai nostri valori, di comprendere la nostra essenza. Essa si connette con l’auto-motivazione, ossia con l’attitudine a riconoscere i nostri obiettivi, fissando le priorità. Si creano gli spazi, in tal maniera, per l’aggregazione di una coscienza sociale, in modo da comunicare e creare connessioni positive con gli altri.
Il conflitto è uno stato di tensione, il quale è collegato all’individuazione di necessità e bisogni discordanti, rispetto a quelli del proprio interlocutore. Vi è una dinamica complessa, che ricomprende i comportamenti dei soggetti coinvolti e le percezioni che questi hanno di se stessi e degli altri interlocutori. Vi sono gli atteggiamenti personali e vi è una reale contraddizione di fondo, alla base del conflitto. Si antepone la prevaricazione al dialogo e all’accettazione della diversità ed è proprio dall’asserzione aggressiva delle proprie diversità, che nasce il conflitto. Le diversità vanno armonizzate. Se si riesce a mantenere la propria identità nella reciprocità, il conflitto può essere smorzato, potendo gli interlocutori prendersi cura delle componenti etiche delle relazioni interpersonali.
Il consolidarsi dell’intelligenza emotiva aiuta ad aprirsi al cambiamento, con l’accettazione dell’altro, per individuare nuove modalità relazionali, che possano fornire possibilità di crescita. Occorre staccarsi da se stessi e aprirsi all’altro, senza invaderlo, in modo che sia mantenuto il rispetto reciproco. Più che risolvere il conflitto, occorre trasformarlo, introducendo una logica non provocatoria. L’ascolto attivo può avvenire solo se si è capaci di mettere tra parentesi il proprio sé. La modalità introspettiva, collegata all’intelligenza emotiva, consente di cogliere le risonanze pregnanti del discorso dell’Altro e questo è assai importante nelle procedure di mediazione. Bisogna anche saper dire di no, per evitare adesioni conformiste, quando la relazione è disfunzionale.
Un’attitudine propria dell’intelligenza emotiva è saper gestire le proprie emozioni, raccogliere le informazioni raccolte, ai fini di un pensiero e di un’azione costruttiva. Si tratta di un complesso di abilità sociali e motivazionali che esercitano un importante ruolo nel benessere personale e nelle relazioni, attraverso l’elaborazione di strategie focalizzate sul problema, agendo sul conflitto e gestendo le emozioni negative coinvolte, positivizzandole. L’interazione dei soggetti dotati d’intelligenza emotiva consente una più frequente risoluzione dei conflitti, proprio per l’attitudine a gestire al meglio le proprie emozioni, rispetto a chi ha una gestione disfunzionale delle medesime. L’intelligenza emotiva promuove comportamenti adattivi e avviene la metamorfosi del conflitto in incontro.
In mediazione, L’intelligenza emotiva deve assumere un ruolo prioritario, purtroppo trascurato negli asfittici percorsi di formazione e aggiornamento dei mediatori. Va tenuto presente che, tenendo conto delle circostanze ambientali in cui si vive, è possibile attivare o disattivare questa intelligenza. E’ auspicabile formare i mediatori, instillando in loro questa fondamentale componente, per la riuscita delle singole mediazioni.
Bisogna non solo analizzare il proprio comportamento, ma anche quello degli altri, per pervenire a un’emersione dell’empatia. Il mediatore deve essere in grado di saper gestire queste componenti inconsce e di stimolare l’intelligenza emotiva dei partecipanti alla procedura.
Non si può negare che i fattori emotivi influenzino il pensiero e l’agire razionale. Può accadere che un soggetto dotato d’intelligenza razionale e sprovvisto d’intelligenza emotiva non ottenga i risultati che, mediante una valutazione a priori, ci si aspetterebbe. Ciò può riverberarsi anche sulla dinamica e sul buon esito delle mediazioni. Detto altrimenti, una mediazione basata solo sull’esame razionale degli interessi in gioco può non avere esito positivo, mentre tale esito può ribaltarsi se si considerano gli elementi emozionali. Nell’ascolto empatico degli altri, occorre sospendere il giudizio e l’interpretazione egocentrica dei messaggi, cercando di comprendere che cosa il nostro interlocutore voglia realmente dire, quali emozione abbia intenzione di veicolare e di condividere.
L’intelligenza emotiva ricomprende specifiche capacità in cui la padronanza di sé e l’autocontrollo si sintetizzano con la motivazione e l’abilità nelle relazioni interpersonali. Queste attitudini possono essere apprese, indipendentemente dal contesto ambientale e situazionale, indipendentemente dall’età e da altre circostanze di vita. Si provano emozioni ancor prima di nascere ed è naturale che la componente emozionale vada in qualche modo gestita. Il fine precipuo è di manipolare in modo sano le emozioni come un insieme di pietre preziose da usare per il benessere proprio e della collettività, scegliendo come agire nell’ascolto dell’altro, enfatizzando la libertà di azione e contestualizzando la medesima con la libertà dell’altro.
Spesso, la reazione a un conflitto è strutturata in modo conforme a paradigmi, che si sono acquisiti durante l’infanzia, anche aderendo a modelli parentali o che, in ogni modo, svolgono un ruolo educativo nella vita del bambino.
L’intelligenza emotiva consente di conoscere chiaramente i propri stati interiori e i propri impulsi, mediante un meccanismo di autoconsapevolezza. Il controllo degli impulsi facilita il conseguimento degli obiettivi, specialmente ove si tenga conto degli obiettivi altrui, in modo non antagonistico. Si acquisiscono così le abilità sociali ed emerge l’attitudine di fornire risposte desiderabili agli altri. Ciò può essere molto funzionale nelle procedure di mediazione, per attuare una convergenza all’interno di un coacervo di interessi apparentemente contrapposti.
Pertanto, in chi è dotato di intelligenza emotiva è presente una consuetudine con la propria parte meno razionale, il che consente di intercettare con relativa facilità le proprie emozioni, di gestirle, creando un assetto sufficientemente equilibrato. Sulla base di questo assetto, si imposta la motivazione per la realizzazione dei propri scopi, ma anche di quelli altrui, in modo da relazionarsi in modo soddisfacente. Si può così arrivare a prevenire e risolvere i conflitti.
Andando in profondità, i nostri comportamenti non sono legati esclusivamente alla situazione contingente, ma appaiono influenzati dalle componenti prima menzionate, ossia da come il nostro inconscio ha metabolizzato l’elemento emozionale nella nostra struttura di personalità. Il controllo sui sentimenti negativi permette di gestirli in modi alternativi, evitando l’esasperazione della logica conflittuale. Il contatto con il nostro mondo emozionale consente di leggere in modo equilibrato le reazioni altrui e di gestire il dialogo in modo costruttivo.
L’intelligenza emotiva si salda con il paradigma delle intelligenze multiple di Gardner[3] , il quale descrive l’intelligenza intrapersonale, come attitudine ad accedere alla propria vita affettiva, e l’intelligenza interpersonale, che è la capacità di leggere gli stati d’animo altrui in chiave costruttiva, intuendo il processo emozionale sottostante. Questi concetti si innestano stabilmente con il paradigma dell’intelligenza emotiva, nel senso di strumento che serve per scandagliare le proprie emozioni e quelle altrui, diversificandole, in modo da usare questa elaborazione per controllare e impostare la propria condotta dialogica in termini assertivi, ossia facendo valere le proprie ragioni e contestualmente rispettando quelle altrui, sforzandosi di comprenderle. In questo modo l’informazione affettivo-emotiva acquisisce un proprio ruolo a livello conscio, emergendo dall’apparente inconsapevolezza.
L’intelligenza emotiva attribuisce notevole rilievo al linguaggio del corpo, alla gestualità, alla mimica facciale. E’ ormai consolidato scientificamente che le emozioni non si esprimono solo con le parole, ma che il corpo è un veicolo della componente emotiva assai importante. Non bisogna dimenticare gli aspetti “psicosomatici” della psicologia della personalità.
Nella mediazione va enfatizzata la componente emozionale del processo dialettico non conflittuale, funzionale alla soluzione della controversia. Emerge l’esigenza di dare spazio agli interessi extragiuridici, che restano occulti o comunque sono accantonati nel contenzioso. Questi interessi extragiuridici non sono governati solo dall’intelligenza razionale, ma anche dall’intelligenza emotiva, composta di un mondo interiore in cui le credenze del subconscio assumono un ruolo prevalente. Questa tipologia di intelligenza permea di sé il contesto situazionale emotivo, sia per le emozioni positive, sia per quelle negative. Si accumulano emozioni che si stratificano e che razionalmente si tendono a rimuovere, ma che emergono o possono emergere, a livello subconscio, attraverso un lavoro introspettivo.
Si nega apertis verbis che una determinata situazione ci abbia ferito, ma a livello inconscio permane lo stato di risentimento, che è come un “programma” occulto che guida i nostri comportamenti razionali, di cui forse noi stessi non siamo totalmente consapevoli. Si possono rimuovere il rancore, la rabbia, l’invidia, ma anche la gioia, l’affetto, il benessere, ma una traccia di questi sentimenti resta a livello inconsapevole.
L’intelligenza emotiva è alla base delle nostre relazioni; essa va coltivata, anche nel rapporto con noi stessi. L’intelligenza in questione può servire a evitare che si accentui la conflittualità ed è questo che si deve evitare in mediazione.
L’intelligenza emotiva può essere uno strumento di educazione alla relazione interpersonale (e anche al dialogo con se stessi), impostato in modo da far stemperare ed evaporare il conflitto, al fine di consentire ai soggetti coinvolti di far evaporare le proprie emozioni.
Il mediatore, anche attraverso l’intelligenza emotiva, deve favorire una riattivazione del dialogo, che si è interrotto fra le parti. La ricognizione delle ragioni profonde che hanno determinato il conflitto consente di superare il medesimo e dì’impostare il dialogo su base non conflittuale.
L’ascolto empatico favorisce l’emersione dell’intelligenza emotiva, con l’individuazione dei punti di sofferenza del soggetto ascoltato, l’integrazione e la convergenza delle emozioni manifestate dalle parti, nel corso dei dialoghi congiunti e in quelli separati, al fine di innestare un processo di cambiamento che porti alla risoluzione alternativa del conflitto. Ove sia coinvolta anche l’intelligenza emotiva, si innesta un meccanismo simile a quello che avviene nella psicoterapia, ove essa sia compiuta con perizia, nel senso che si perviene a una più approfondita conoscenza del proprio mondo interiore e delle convinzioni inconsce; il mediatore deve attivare queste meccaniche, proprio attraverso l’ascolto empatico, favorendo l’acquisizione da parte dei soggetti coinvolti (contendenti e reo e danneggiato, eventualmente, in mediazione penale) di un assetto equilibrato di quello che è l’insieme concreto delle credenze di questi soggetti, in rapporto al caso concreto, da dirimere e conciliare.
Si suole affermare che non ci deve essere un soggetto soccombente, al contrario rispetto al contenzioso, e tale risultato può ottenersi, applicando le logiche sopra accennate, in un ambiente protetto. Può sembrare paradossale l’affermazione che non devono esserci dei soccombenti, ma se il soggetto che abbia compiuto un torto riconosce di aver errato e si riconcilia con l’altro, si arriva a un’intesa riparatrice. Se si volge l’attenzione alla mediazione penale, nella struttura dialogica del percorso la vittima di un torto può elaborare il “lutto” del reato subìto, il che non è possibile nell’asfittica atmosfera del contenzioso penale. Una ferita che emerge solo marginalmente a livello razionale può avere ripercussioni ben più profonde a livello di inconscio.
La mediazione può favorire la risoluzione di fenomeni quali il burn out e il mobbing, che hanno matrici psicologiche e che coinvolgono in modo esponenziale la dialettica dell’intelligenza emotiva. Spesso delle controversie nascono proprio da prevaricazioni vere o presunte, inerenti al rapporto lavorativo e il paradigma dell’intelligenza emotiva può trovare un ottimo campo di espressione nella gestione di conflittualità di tale tipo.
E’ auspicabile, nel prisma dell’intelligenza emotiva, attuare una dinamica introspettiva verso l’autoconsapevolezza, per interpretare in modo non deleterio il conflitto e cambiarne fisionomia, precisando e chiarendo i punti di vista ed enfatizzando l’attenzione su un “nucleo comune” di elementi condiviso dalla pluralità degli interlocutori, pur all’interno di una logica in prima battuta di reciproco dissenso.
Un approccio classico alla mediazione antepone nel processo risolutivo della controversia il problem solving, nel tentativo di trovare soluzione a un problema pre-definito, di là dall’istanza di mediazione, con cui si è incardinata la procedura conciliativa, in quanto il problema può essere di dimensioni maggiori e quanto emerge nell’istanza di mediazione può essere solo la punta di un iceberg, ossia può sottintendere un insieme di elementi di dissenso ben più nutrito. Occorre, poi, trovare una soluzione equilibrata, che rappresenti un obiettivo soddisfacente per tutte le parti, dando spazio a bisogni eventualmente differenti, rispetto a quelli emergenti in un primo momento. In questa impostazione della procedura di mediazione, in cui l’intelligenza emotiva ha un ruolo (spesso) marginale, si può procedere a valutare le motivazioni, che hanno determinato il mancato funzionamento di certi tentativi di soluzione, che, talvolta, contribuiscono a inasprire il conflitto. Si tenta di cogliere solo l’insieme di elementi positivi, che possono favorire la soluzione della dialettica in conflitto. Si arriva a questo punto a una fase apparentemente paradossale del procedimento di problem solving, ossia si ragiona non su come risolvere il problema, ma su come peggiorarlo, per acquisire una presa di coscienza ancora più penetrante del problema o dei problemi empirici sottesi. Si può ricollegare il tutto alla prescrizione della “prescrizione ed esasperazione del sintomo” in psicoterapia strategica, anch’essa basantesi sul problem solving. Da una visione del problema “ a somma zero”, in cui le parti mantengono rigidamente la propria posizione, si passa a una situazione, in cui le parti, prefigurandosi uno scenario futuro ancor più negativo, avvertono come prioritaria l’esigenza di cambiare strategia, come nella psicoterapia l’esasperazione del sintomo ossessivo (lavarsi continuamente le mani) fa comprendere che peggio di così non si può andare e occorre adottare nuovi tentativi di soluzione.
Può essere utile, a questo punto, far figurare alle parti uno scenario di raggiungimento dello scopo conciliativo, immaginando un miglioramento della loro situazione futura, se il conflitto fosse risolto. Il percorso che porta alla conciliazione può essere fatto a piccoli passi, ma l’importante è giungere all’obiettivo che ci si è formulati, anche attraverso le tecniche del pensiero laterale, in cui emergono soluzioni inaspettate, ove si concepisca solo un pensiero non divergente, ma rettilineo. A volte può essere utile “scomporre” una problematica presente sul tavolo del mediatore, partendo dagli ultimi elementi e andando a ritroso, come chi scali una montagna, partendo, con logica laterale e divergente, per l’impostazione del progetto conciliativo, piuttosto dalla cima che dalla base. Vi è un frazionamento di interessi complessi e compositi, per semplificare il processo risolutivo, senza, peraltro, perdere di vista la visione globale del problema. L’utilizzo del pensiero laterale può servire per scardinare determinati equilibri stabilmente assunti dalle persone, che basino la loro mentalità semplicemente sul pensiero verticale. Anche la circostanza di rivolgersi a un (presunto) esperto di risoluzione alternativa della controversia può indurre le parti ad assumere un atteggiamento più flessibile. Dalla “somma zero”, in cui le parti mantengono ostinatamente le proprie posizioni, perché dare segni di cedimento può essere percepito come manifestazione di debolezza, può passarsi a un contesto “ a somma variabile”, in cui le parti cominciano progressivamente a farsi reciproche concessioni, per pervenire a un più costruttivo ordine delle priorità in una logica non conflittuale.
Esiste, inoltre, un modello trasformativo della mediazione, alternativo o integrabile con quello basantesi sul problem solving, volto al fine di considerare il conflitto in una diversa luce, per promuovere soluzioni costruttive. La “metamorfosi” della situazione originaria (da una matrice conflittuale a una matrice di armonia) crea i presupposti per un accordo, che può anche non esserci, ma che in un’impostazione di questo tipo è più probabile. Il mediatore trasformativo aiuta a capire le ragioni delle altre parti, a cambiare la prospettiva di lettura della vicenda. In un’ottica più profonda, occorre risolvere sia gli elementi razionali del conflitto, sia quelli che hanno una base inconscia. L’intelligenza emotiva, può ritenersi, assume un ruolo di maggior pregnanza in questa impostazione della procedura di mediazione. Una rivisitazione delle emozioni deve essere alla base dell’introduzione alla risoluzione del conflitto. La riformulazione dei termini del contrasto e la comprensione delle reali motivazioni delle parti in causa è basilare per una sana gestione della procedura, che diviene un dialogo di idee.
L’acquisizione dell’intelligenza emotiva consente di monitorare i propri sentimenti e quelli dell’altro e ciò può permettere di orientare al meglio i propri comportamenti. Una persona ha bisogno di una certa consistenza di “autoefficacia” (empowerment), prima di avvertire empatia verso gli altri e superare la logica avversariale. L’empatia implica una comprensione per le problematiche altrui, con un interesse attivo per la risoluzione delle medesime. Nel processo decisionale vi è una compenetrazione di elementi razionali ed elementi emotivi, che giocano anch’essi un ruolo determinante, anche ai fini di una soluzione più immediata delle controversie.
Il diritto tende a fornire un’immagine conflittuale della dialettica fra le parti. Può ritenersi che questa sia una visione parziale[4]. Il conflitto è l’aspetto estremo del fenomeno; a monte si situano delle situazioni preconflittuali, sedimentate e mascherate dal conflitto, tenuto in considerazione dal diritto.
Gli atteggiamenti di una parte possono essere di superiorità, nella convinzione di avere ragione, senza capacità di immedesimazione. Il pensiero creativo e l’intelligenza emotiva possono combattere le contraddizioni, i blocchi e gli stereotipi. Bisogna analizzare quali sono le cause che determinano una diversa rappresentazione della realtà nelle persone coinvolte, il che spesso si traduce nella necessità di individuare gli interessi cui ciascuna delle parti intende dare rilevanza.
Comprendere le emozioni proprie e dell’altro consente di prevenire il conflitto. In particolare, l’intelligenza emotiva può assumere un ruolo importante nella gestione della rabbia, che può mascherare emozioni sotterranee, come la paura.
Pertanto, profili essenziali da mettere in campo in un percorso di mediazione sono la capacità di ascolto, la comunicazione e la collaborazione fra le parti, con il contestuale mantenimento di una “distanza” fra le parti stesse e il mediatore, in modo che ciascuna possa sentirsi collocato nella propria zona di comfort e la capacità di distinguere la persona nella sua integrità in modo distinto dal problema (o dal coacervo di problemi) portato in mediazione.
Pertanto, la mediazione permeata dal paradigma dell’intelligenza emotiva non ha solo la funzione deflattiva del contenzioso, ma si riconnette al concetto di “giustizia di prossimità”, con un’apertura e comunicazione del singolo con l’altro da sé.
Il ruolo del Mediatore è ben diversificato da quello del Giudice, in quanto egli è il punto di riferimento, per la riattivazione di un dialogo interrotto, anche con l’osservazione del linguaggio del corpo.
Il conflitto rafforza gli elementi insicuri del nostro inconscio. Il mediatore deve sondare la propria intelligenza emotiva, rafforzando la relazione con se stesso e gli altri, in modo che tale intelligenza emotiva si sostanzi e dia buoni risultati, nel senso di un esito positivo delle procedure di mediazione.
[1] Cfr. D . GOLEMAN, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Biblioteca Universale Rizzoli, 1996, passim
[2] Cfr. SALOVEY e MAYER, Emotional Intelligence: Key Readings on the Mayer and Salovey Model, Dude publishing 1990
[3] H. GARDNER, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Edizioni Erickson , 2005, passim
[4] William L.F. Felstiner, Richard L. Abel, Austin Sarat, The emergence and transformation of disputes: naming, blaming,claiming, in 15 Law and Society Review, 1981)
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