Messaggi WhatsApp: costituiscono prova legale nel processo
Le conversazioni contenute nelle chat di WhatsApp e le note vocali, salvate nella memoria dello smartphone, possono avere valore probatorio, in un processo civile o penale, nei confronti di chi le ha inviate.
Sommario: 1. Introduzione – 2. La prova dei messaggi scambiati tramite WhatsApp nel processo civile – 3. La chat come prova documentale nel processo penale – 4. Come produrre le conversazioni via WhatsApp in giudizio – 4.1. La testimonianza – 4.2. Lo screenshot – 4.3. La trascrizione delle chat e l’acquisizione dello smartphone – 4.4. Il deposito di copia conforme – 5. Le chat cancellate – 6. Le emoticon
1. Introduzione
WhatsApp, l’applicazione di messaggistica gratuita più diffusa al mondo, permette agli utenti di inviare e ricevere chat e messaggi vocali in modo immediato. Potrebbe capitare che, a seguito di conversazioni avvenute tramite messaggi via WhatsApp si renda necessario agire legalmente, trattandosi, ad esempio, di messaggi a contenuto minaccioso o di espressioni offensive, ovvero di messaggi che confermano un proprio credito da riscuotere. Sorge, dunque, spontanei interrogativo: in che modo questi messaggi possono essere utilizzati come prova in un processo?
2. La prova dei messaggi scambiati tramite WhatsApp nel processo civile
I messaggi scambiati tramite WhatsApp hanno la natura di documenti informatici, i quali sono ormai equiparati ai documenti tradizionali ai sensi della L. 40/08. Ad essi, pertanto, a tutti gli effetti, si applicano tutte le norme in materia presenti nel nostro ordinamento.
Il Codice Civile (art. 2712 c.c.) prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. L’art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.
Dunque, la copia cartacea o digitale di un documento informatico costituisce una riproduzione meccanica al pari di una fotocopia; in questo caso può essere considerata prova solo se non viene contestata dalla controparte. Al riguardo la giurisprudenza ha precisato come la contestazione debba essere accompagnata da motivazioni che la giustifichino, quale ad esempio la mancata indicazione della data). In ogni caso caso di contestazione il materiale fornito non può essere utilizzato e considerato prova legale nel processo.
In tema di processo civile, la giurisprudenza non ha proprio potuto ignorare che ad oggi molte conversazioni avvengono per il tramite di WhatsApp. Con la storica sentenza n. 49016 del 2017, la Corte di cassazione si è espressa con riguardo ai messaggi inviati tramite WhatsApp: essi hanno valore di prova, anche se in assenza dei supporti informatici (gli smartphone o il pc) nei quali sono contenute le conversazioni in chat, non è possibile conferire ad esse valore probatorio. Vedremo meglio a breve.
La Cassazione aveva in effetti già compiuto un notevole passo avanti con il pieno riconoscimento del valore probatorio per gli SMS e per le immagini contenute negli MMS (ad esempio di veda: Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della fedeltà del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova. Molti giudici avevano, ad esempio, ritenuto valido il licenziamento comunicato tramite un messaggio sul telefono ed anche nell’ambito dei rapporti tra ex coniugi le chat acquistano un valore probatorio.
Segnalo una importante pronuncia in tema di riconoscimento di un debito via WhatsApp. Con la sentenza n. 231 del 10/03/2017, il Tribunale di Ravenna ha condannato una donna alla restituzione del denaro che l’ex amante le aveva prestato per acquistare un’auto, basandosi sul contenuto di conversazioni intrattenute su WhatsApp e prodotte in giudizio nelle quali la donna si era impegnata a restituire le somme pagate dall’ex amante. Il Giudice aveva accertato che tra le parti non c’era stato un rapporto di convivenza o di fidanzamento ma che si trattava di una mera relazione amorosa di poco impegno; di conseguenza, la dazione di denaro di una parte all’altra risultante dai messaggi scambiati in una chat di WhatsApp è stata considerata un prestito a tutti gli effetti, con il conseguente obbligo alla restituzione delle somme.
Alla luce della sentenza citata, il messaggio inviato in una chat di WhatsApp con il quale si afferma di avere un debito nei confronti del destinatario equivale ad un riconoscimento del debito stesso ai sensi dell’art 634 c.p.c.
3. La chat come prova documentale nel processo penale
La giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che le conversazioni intrattenute attraverso l’utilizzo di strumenti informatici costituiscono una forma di memorizzazione di un fatto storico comparabile ad una prova documentale e, pertanto, utilizzabile ai fini probatori nel processo penale (si veda, ad esempio: Cass. pen. sez. V, 06/01/2018 n. 1822).
La giurisprudenza richiama in maniera specifica il concetto di prova documentale, così come previsto dall’art. 234 del Codice di Procedura Penale, il quale ricomprende ogni scritto o altro documento in grado di rappresentare fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. Anche nell’ambito del processo penale le conversazioni contenute nelle chat di WhatsApp sono considerate dall’unanime giurisprudenza una forma di memorizzazione di un fatto storico comparabile ad una prova documentale e, pertanto, utilizzabile ai fini probatori.
Ma anche in questo caso l’utilizzabilità della prova è condizionata dall’acquisizione del supporto (telematico o figurativo) contenente la menzionata registrazione, dal momento che la trascrizione, come vedremo, svolge una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale (si vedano: Cass. pen. sez. II, n. 50986 del 06/10/2016 e Cass. pen. sez. V, n. 4287 del 29/09/2015). La condizione è dunque che il dispositivo venga consegnato agli inquirenti per effettuare tutte le verifiche del caso: la trascrizione o la copia fotografica del materiale non ha alcun valore senza il dispositivo fisico che contiene l’originale.
4. Come produrre le conversazioni via WhatsApp in giudizio
Circa l’acquisizione in giudizio delle prove contenute nei messaggi di WhastApp è opportuno chiarire quale sia la corretta procedura per la produzione in giudizio della messaggistica via WhatsApp. Esistono, difatti, diverse modalità:
4.1. La testimonianza
Una modalità di acquisizione al processo dei messaggi è quello per cui una persona che abbia letto il contenuto dei messaggi sia, poi, disposta a testimoniare davanti al giudice su quanto ha letto; in questo modo il messaggio incriminato farà il suo ingresso nel processo attraverso una prova testimoniale. La prova testimoniale sarà -e potrà essere unicamente- diretta, ossia il teste sarà testimone oculare che conosce il contenuto dei messaggi in quanto da lui letti direttamente.
4.2. Lo screenshot
Per poter far entrare il messaggio come prova nel processo è altresì possibile procedere ad uno o più screenshot del display del cellulare. Una volta realizzato lo screenshot, il relativo file può essere stampato, oppure allegato con una pennetta usb al fascicolo.
4.3. La trascrizione delle chat e l’acquisizione dello smartphone
La giurisprudenza ha ammesso come modalità di acquisizione la trascrizione dei messaggi. E’ possibile, in caso di contestazione sull’autenticità del messaggio, chiedere al giudice di disporre una c.d. consulenza tecnica: in altre parole il giudice potrà, su richiesta della parte o anche di sua iniziativa, nominare un perito il quale esamini il supporto e la chat e ne riporti il testo su un documento cartaceo. La trascrizione delle conversazioni WhatsApp è tuttavia condizionata dall’acquisizione del supporto contenente la conversazione. Infatti, la trascrizione non è altro che una riproduzione del contenuto della principale prova di cui pertanto devono essere controllate l’attendibilità, la veridicità e la paternità mediante l’esame diretto anche del supporto.
4.4. Il deposito di copia conforme
Oltre alle modalità di acquisizione elencate, per conferire maggiore valore probatorio ai messaggi è possibile munirsi di una copia conforme ed autenticata dei messaggi ad uso legale, da depositare in giudizio. A tale riguardo, sarà necessario procurarsi un’attestazione di conformità delle trascrizioni o degli screenshot delle conversazioni originali presenti sul supporto informatico esibito, da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale.
5. Le chat cancellate
Come fare se i messaggi contenuti nella chat sono stati cancellati? Ad oggi esistono diversi sistemi di recupero dei messaggi cancellati. Inoltre abbiamo visto che la prova di una chat può essere acquisita in molti altri modi come ad esempio chiamando a testimoniare una persona che ne abbia letto il contenuto prima della cancellazione.
6. Le emoticon
E’ interessante segnalare che anche le emoticon usate nei messaggi via WhatsApp possono contribuire a formare piena prova. Una pronuncia del tribunale di Parma ha recentemente riconosciuto il ruolo fondamentale delle emoticon nell’interpretazione della chat di WhastApp; in molti casi esse potrebbero aiutare a meglio comprendere il significato del messaggio (ad esempio potrebbero smorzare l’insulto), proprio perché in molti casi l’emoticon è in grado di caratterizzare meglio la frase e l’intenzione del suo autore.
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Claudia Ruffilli
Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.
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