Metaetica: osservazioni a margine dell’articolo su etica normativa

Metaetica: osservazioni a margine dell’articolo su etica normativa

Il quesito, da cui intendiamo muovere è se siano configurabili giudizi etici di portata universale, ossia giudizi concernenti le condotte delle persone, da un punto di vita morale. Ciò porta alla richiesta se sia necessario individuare un fondamento, una sorta di principio unico, da cui provenga ogni causa prima, su cui basare tali giudizi. Si può partire dall’idea che si sia nell’epoca della decostruzione, ossia di un pensiero senza fondamento, in cui manchi questa causa primigenia. Viene in mente la nozione di “pensiero debole”, che sostiene la non intangibilità dei valori tradizionali e la circostanza che i medesimi sarebbero divenuti tali solo per mera contingenza storica. Può ritenersi che la formulazione di giudizi etici universali presupponga di tenere fermo il fondamento, in quanto l’idea stessa di verità vacilla.

Proprio il “Tramonto dell’Occidente” è la nota opera di Spengler, da cui traspare l’insieme delle incertezze, in cui si paragona la civiltà a una pianta ormai agonizzante. Le civiltà sono organismi, che attraversano il loro ciclo vitale, composto anche delle fasi di vita e morte. L’opera è in due volumi e i traduce in un esame di storia comparata fra una miriade di civiltà, secondo vari profili, religiosi, filosofici, scientifici, giuridici, istituzionali, economici, mitologici, archeologici, artistici, architettonici, letterari, musicali.

Questo tramonto può farsi coincidere con la perdita di coordinate, di una direzione per la storia dell’umanità. Bisogna muoversi, per rispondere al problema iniziale, ossia la possibilità di giudizi etici universali, intorno al concetti di metaetica, ossia di studio dell’etica sull’etica e di “etica normativa”, ossia l’insieme delle argomentazioni, che valutiamo come giuste e, sotto questo ultimo aspetto, (vale a dire riflessione sull’etica normativa) la risposta dovrebbe essere positiva, nonostante la questione della presunta assenza di fondamento, quantomeno nella limitata relatività dell’ordinamento che viene in considerazione. Il  “tramonto” dell’Occidente, è disgregazione e decostruzione del postmoderno. Il fondamento è disgregato, ma vi è anche una nostalgia di esso, anche per razionalizzare il pensiero politico, ossia per comprendere cosa fare a seguito di questa disgregazione.

Peraltro, se si conclude nel senso della soggettività e relatività dei giudizi morali, proprio in assenza del fondamento, per la circostanza che i valori non sono oggettivi e intersoggettivi, viene qualche dubbio sulla possibilità di promuovere giudizi etici universali. Il giudizio etico, va osservato, è intimamente connesso con la volizione di chi lo formula, da ciò la sua imprescindibile soggettività. Viene in considerazione la legge di Hume, ossia l’impossibilità di derivare valutazioni da descrizioni. L’uomo è capace sia di descrivere che di valutare. La metaetica si pone su un piano speculativo distinto, rispetto all’etica normativa. Possono esprimersi dubbi sulla gerarchizzazione di metaetica ed etica normativa, in quanto potrebbe anche pensarsi che la seconda goda di una sua autonomia epistemologica, tale da poter prescindere dalla prima, nel senso che si può pervenire a una piena conoscenza di essa, senza dover attingere alla metaetica. Ciò appare non condivisibile. L’etica normativa può essere pienamente conosciuta solo se collegata sul piano conoscitivo alla metaetica: infatti, in qualunque ramo del sapere, se si sviluppa un modello, occorre conoscere i criteri per costruire quel modello (c.d. meta-modello), ossia di uno studio del modello da adottare.

La metaetica deve riflettere in qualche modo sull’etica, ponendone le basi, in quanto la vita morale vissuta nel quotidiano non può prescindere da una riflessione a monte sui fondamenti “etici” di questa vita quotidiana. La metaetica deve ricercare una soluzione al soggettivismo e al relativismo, e non può negare a priori una possibile universalità dell’etica.

Si deve operare una distinzione fra relativismo come atteggiamento filosofico generale e relativismo etico. L’oggettività dell’essere si colloca su un piano diverso, rispetto alla collocazione dell’essere stesso nell’ambito del “dover essere”. Ne discende che la generalità del relativismo generale, ossia la concezione fondata sul riconoscimento della valenza  meramente relativa, e non oggettiva o assoluta, sia della conoscenza, sia dei suoi metodi e criteri (relativismo gnoseologico), variando tutti da individuo a individuo, da cultura a cultura, da epoca a epoca, e specificità del relativismo etico si collocano su piani diversi. L’esperienza morale deve consolidarsi, partendo dall’idea che ogni affermazione è conforme alle inclinazioni di chi la formula e che ogni epoca ha i suoi valori, da ciò l’iniziale relatività dei giudizi etici, con l’impossibilità di individuare un percorso per universalizzare i medesimi, senza una solida riflessione metaetica.  Peraltro, se si svolge una riflessione metaetica sul piano teoretico, si può arrivare a universalizzare i giudizi etici.

L’idea di Carcaterra, filosofo del diritto della scuola romana, è che se i giudizi di valore sono soggettivi e relativi, allora un’etica universale, che valga per tutti, non ha fondamento, perché soggettivo si oppone a oggettivo e non a intersoggettivo. L’universalità è minacciata dall’esclusivismo, vale a dire dalla tendenza a riconoscere come valido solo il proprio atteggiamento. Un mio criterio può essere posto in comune con quello di un altro, ci possono essere aspetti anche totalmente convergenti e allora diventa intersoggettivo.

La metaetica contemporanea deriva dal neopositivismo, movimento filosofico introdotto intorno al 1928 con il c.d. “Circolo di Vienna, con lo scopo di unificare la conoscenza. Essa raccoglie il nesso fra valutazioni o finalità soggettive e il nesso fra valutazioni e  oggetto delle medesime. Ci si può esprimere in termini di finalità soggettiva dell’eticità fatta valere come valore, in una convergenza tra oggettivo e soggettivo.”Dovere” e “valore” sono criteri per comprendere le nostre determinazioni, ossia le nostre manifestazioni di volontà. I concetti di finalità soggettiva e valore etico si compenetrano.

Le valutazioni etiche negative (“A non dev’essere”) vanno tenute distinte da quelle forti (“A deve non essere”), “A è un valore” e “A è un disvalore” sono giudizi, che danno luogo a un’opposizione almeno empirica, ma che partecipano anche all’opposizione logica, in quanto affermare che io voglio “A” esprime una forza, orientata nella direzione dell’indifferenza, rispetto all’altro giudizio (anche se l’altro giudizio fosse “non A”). Se un soggetto dice “A è” e contemporaneamente “A non è” si contraddice e ricade in un vizio di logica.

Si può concepire un “io voglio” di matrice metaetica, accanto all’”io penso”, con l’avvertenza che il primo ha basi empiriche e segue valutazioni soggettive e intersoggettive, in quanto i soggetti tendono a interagire nell’attività di formulazione della volontà, L’io voglio” si differenzia dall’”io penso”, che, invece, si colloca su un piano non empirico.

La funzione finale della metaetica può comprendersi attraverso l’analisi delle volizioni, che compongono il sostrato materiale dei giudizi valutativi. Queste ultime spesso sono volizioni mediate, nel senso che il valore esternato tramite il linguaggio verbale (il contenuto espresso) ne presuppone uno a monte, presente nella mente dell’individuo, eventualmente manifestato col linguaggio del corpo, che resta in tutto o in parte inespresso verbalmente. Una verifica profonda dei comportamenti extraverbali deve confermare le affermazioni del soggetto, nel senso della inerenza di quei valori alla sua sfera giuridica, ma questa indagine non è suscettibile di superare il soggettivismo o il relativismo. Può richiamarsi nuovamente la legge di Hume, secondo cui dall’essere non può derivare un dover essere, ossia non è possibile inferire conclusioni etiche, sulla base di premesse non etiche.


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Salvatore Magra

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