MiFID II: gli obblighi informativi nei servizi di investimento

MiFID II: gli obblighi informativi nei servizi di investimento

Sommario: 1. La protezione del cliente – 2. Gli obblighi informativi – 3. La tipologia di informativa – 3.1. Informativa precontrattuale – 3.2. Informativa nel corso del rapporto – 4. Conclusioni

 

1. La protezione del cliente

La tutela dell’investitore ha un ruolo centrale nella disciplina del mercato dei capitali e, non a caso, i numerosi interventi legislativi, prima di carattere nazionale e poi di carattere europeo, che si sono susseguiti nel tempo – fino a giungere alla Direttiva 2014/65/UE cd. MiFID II – erano e sono finalizzati ad assicurare una maggiore tutela per il risparmiatore[1].

Orbene, cosa si intende per tutela dell’investitore e in che modo si può assicurare tale protezione?

Il diritto europeo dei mercati finanziari ha tradizionalmente collegato la tutela dell’investitore al problema delle asimmetrie informative che connotano il mercato dei capitali. Tra emittente e investitori, tra investitori e intermediari e tra diversi investitori operanti sui mercati, sussiste una disparità nella distribuzione delle informazioni, che può pregiudicare l’efficienza dell’investimento o addirittura consentire frodi[2].

Nella medesima direzione, l’art. 21 del Decreto legislativo n. 58/1998 (cd. TUF) impone a tutti i soggetti autorizzati di agire diligentemente (ex art. 1176, comma 2, c.c., la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata) ed in maniera professionalmente adeguata, di comportarsi correttamente e lealmente, senza altri fini che non siano quelli dell’interesse del cliente con il rispetto di tutte le prescrizioni e, in ossequio al principio della trasparenza, di fornire al cliente tutte le informazioni necessarie sul servizio prestato.

Gli obblighi di comportamento definiti dal TUF tendono ad informare l’attività di prestazione dei servizi a finalità di efficienza, trasparenza e tutela del risparmiatore, congiuntamente a finalità di stabilità, competitività e buon funzionamento del mercato finanziario.

Dunque, in questo scenario, la tutela dell’investitore tende a risolversi in regole di diligenza e trasparenza: l’obiettivo del legislatore, europeo e nazionale, è quello di orientare le condotte degli intermediari ai principi di diligenza e correttezza nonché di abbattere le sussistenti asimmetrie informative mediante una maggiore trasparenza con lo scopo di consentire scelte ponderate e più consapevoli al risparmiatore.

2. Gli obblighi informativi

Il dovere dell’intermediario di fornire una adeguata informazione al cliente è contemplato, come rammentato in precedenza, nell’art. 21 TUF sin dalla sua originaria formulazione, ed è stato confermato in tutte le successive modifiche del testo, fino a essere ulteriormente dettagliato con l’attuazione della direttiva MIFID.

Nella stessa direzione, uno degli obiettivi che si propone di perseguire la MiFID II è quello di fornire ai clienti e ai potenziali clienti, che intendono sottoscrivere contratti inerenti alla prestazione di servizi di investimento o proposte relative alla sottoscrizione di strumenti finanziari, un quadro di informazioni completo e trasparente al fine di migliorare il livello di consapevolezza dell’investitore nel momento in cui effettua una scelta di investimento[3].

Occorre subito chiarire che le informazioni non equivalgono a mere comunicazioni, ma identificano l’attività comunicativa funzionale alla conoscenza dei termini dell’operazione economica[4].

Va aggiunto, che la disciplina in tema di obblighi informativi è stata integrata e dettagliata nel regolamento Consob in tema di intermediari (adottato con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018, che ha abrogato il regolamento n. 16190/2007, che, a sua volta, aveva sostituito l’originario regolamento n. 11522/1998)[5].

In primo luogo, è necessario soffermarsi sul contenuto delle informazioni che l’intermediario deve fornire al cliente. La giurisprudenza[6], in applicazione dell’art. 21 TUF, è pressoché costante nell’affermare che fornire informazioni generiche e standardizzate non è sufficiente per far ritenere che il dovere informativo sia stato osservato, ricadendo sull’intermediario il dovere di informare il cliente sui rischi connessi in concreto ad una determinata operazione, sul livello del rischio medesimo nonché sulla eventuale illiquidità degli strumenti acquistati o sottoscritti.

La MiFID II, allo stesso modo, impone agli intermediari di predisporre e mantenere per l’intera durata del contratto un nucleo di informazioni che comprende una formale e dettagliata descrizione, da fornire al cliente sia ex ante che ex post in merito a numerosi aspetti del rapporto contrattuale come i costi, gli oneri o gli eventuali incentivi applicati al tipo di servizio.

Va specificato che la quantità di informazioni da trasmettere all’investitore, peraltro, non risultava certamente tra i punti deboli della precedente direttiva europea, la quale anzi già prevedeva diffusi e significativi obblighi informativi in capo all’intermediario. Non solo, laddove non previsti o formalmente sanciti, la Direttiva MiFID era stata opportunamente e saggiamente integrata da successivi interventi chiarificatori delle Autorità di vigilanza[7].

In concreto, la MiFID II ha soprattutto inciso sulla qualità delle informazioni da fornire al cliente pur determinando, al tempo stesso, un ampliamento degli elementi informativi che l’intermediario è tenuto ad esplicare.

Bisogna sottolineare, che il numero di informazioni fornite all’investitore continua a rappresentare, a prescindere dall’innalzamento qualitativo operato dalla Direttiva 2014/65/EU, un elemento cruciale per la tutela, sia preventiva che nel corso del rapporto contrattuale, del risparmiatore.

Invero, trattandosi di consigliare l’acquisto o la sottoscrizione di prodotti e/o strumenti finanziari – che per loro natura si possono presentare, e anzi di norma si presentano, di non immediata comprensibilità e di difficile confrontabilità – maggiori sono le informazioni possedute, in merito a quel prodotto o servizio, più l’investitore potrà scegliere consapevolmente.

In questo senso e con riferimento all’Italia, non aiuta – come evidenziato dalla Banca d’Italia – la scarsa cultura finanziaria purtroppo tipica del nostro Paese. Un maggiore livello di educazione finanziaria tra la popolazione di potenziali investitori porterebbe naturalmente ad un approccio più critico alle scelte di investimento da parte del cliente e, più in generale, ad un contenimento preventivo dell’assunzione di rischi di perdita del capitale investito[8].

Del contenuto e della forma che devono avere le informazioni da fornire ai clienti (e ai potenziali clienti), in riferimento all’offerta di prodotti e servizi finanziari prestata da un intermediario vigilato, si occupano gli articoli 44 e seguenti del Regolamento delegato UE n. 565/2017.

L’art. 44 definisce in dettaglio le condizioni che l’informativa deve soddisfare per poter ottemperare ai requisiti di correttezza, chiarezza e coerenza, precisando che le stesse condizioni devono sussistere anche laddove l’informativa abbia un carattere prettamente commerciale.

Gli intermediari, in particolare, devono fornire in tempo utile ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari che sono loro proposti, nonché i rischi connessi e, di conseguenza, possono prendere le decisioni in materia di investimenti con cognizione di causa.

Le suddette informazioni devono essere fornite su un supporto durevole o tramite un sito internet.

L’importanza dell’elemento qualitativo delle informazioni da fornire all’investitore, accentuata come si è visto dalla MiFID II e ulteriormente dettagliata dall’art. 44 del Regolamento delegato n. 565/2017, appare ben recepita a livello nazionale dal Regolamento Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018 che, sostanzialmente, impone che tutte le informazioni – indirizzate ai clienti e ai potenziali clienti – devono essere rese in maniera chiara e trasparente.

Nello specifico, tutte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari ai clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti e le comunicazioni pubblicitarie e promozionali devono essere chiaramente identificabili come tali.

In materia di obblighi informativi e con particolare riferimento al possibile rapporto intercorrente fra l’intermediario ed il risparmiatore, il momento che precede la sottoscrizione del contratto – che ai sensi dell’art. 23 TUF deve essere redatto per iscritto e che rappresentata l’atto mediante il quale il cliente fornisce l’adesione alla proposta di investimento – è, senza dubbio, una fase cruciale nel rapporto tra l’intermediario e il cliente: in tale frangente il cliente manifesta la volontà di affidarsi al proprio interlocutore, di vincolarsi agli obblighi discendenti dal contratto e, soprattutto, si assume il rischio di dover sostenere in futuro una perdita finanziaria, connessa direttamente o indirettamente all’investimento che ha sottoscritto.

La cd. disclosure preventiva delle caratteristiche strutturali ed economiche del prodotto o dello strumento finanziario proposto è dunque un elemento cruciale del processo di vendita.

Appare importante sottolineare come, nonostante la tutela dell’investitore passi necessariamente dalle informazioni che riceve, vi possono essere degli effetti collaterali se venisse eccessivamente enfatizzata la fase informativa del rapporto contrattuale.

Si può affermare, prescindendo dall’oggetto del presente lavoro, che non sempre ad un’elevata quantità di informazioni fornite corrisponda un maggior livello di trasparenza effettiva e, ritornando al caso in esame, una più estesa tutela dell’investitore. Al contrario, non può escludersi che possa addirittura verificarsi l’effetto contrario ossia che maggiori informazioni possano determinare minore consapevolezza che, conseguentemente, si traduce in minore tutela.

Il risparmiatore, nella maggior parte dei casi, non possiede le competenze necessarie per recepire ed acquisire tutti i dati informativi provenienti dall’intermediario e, in ogni caso, si mostra insofferente a dedicare il tempo adeguato ad assumere compiutamente le informazioni che gli sono state fornite, basando le proprie scelte sostanzialmente sulla fiducia, spesso mal riposta, nei confronti dell’interlocutore[9].

La Direttiva 2004/39/EC imponeva che il “pacchetto di informazioni” da fornire al cliente si concentrasse temporalmente soprattutto nella fase iniziale della relazione e si basasse sostanzialmente sulla profilatura dell’investitore e sul presupposto che più informazione significasse necessariamente maggiore consapevolezza e quindi maggiore tutela. Al contrario, la MiFID II – consapevole che detto assunto non si è rivelato alla prova dei fatti del tutto adeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati – si prefigge lo scopo, dimostrandosi effettivamente innovativa rispetto alla legislazione previgente, di rendere tale informativa efficace, cioè effettivamente capace di porre il cliente e/o il potenziale cliente, sulla base del profilo assegnatogli, nelle condizioni di poter comprendere compiutamente, e prima che sia in essere il vincolo contrattuale, le peculiarità del prodotto o dello strumento finanziario proposto dall’intermediario e, pertanto, di poter valutare consapevolmente se aderire all’offerta o rinunciarvi[10].

3. Tipologia di informativa

Chiarite – in termini generali – le caratteristiche che devono permeare le informazioni fornite dall’intermediario, è bene sottolineare che l’informativa da fornire al cliente nonché al potenziale cliente – in merito ai vari servizi di investimento che possono essere prestati – deve essere distinta, da un punto di vista contenutistico nonché temporale, in: a) precontrattuale, che deve essere resa prima che nasca il rapporto contrattuale al fine di consentire la corretta e completa determinazione della volontà del cliente; b) contrattuale, che è finalizzata a delineare – minuziosamente – le modalità con cui il servizio sarà espletato, con particolare riferimento ai discendenti obblighi e diritti delle parti contrattuali, gli aspetti economici dell’operazione nonché all’evoluzione dello stesso nel tempo.

Appare chiaro come si tratti di due tipologie di informativa diverse sia in merito al contenuto sia con riferimento agli scopi perseguiti. Nello specifico, l’informativa precontrattuale – in un certo senso – deve accompagnare e guidare il risparmiatore nella scelta di sottoscrivere o meno un determinato prodotto o servizio mentre, diversamente, l’informativa contrattuale ha il compito di ragguagliare nel tempo circa la coerenza del servizio prestato al cliente rispetto a quanto convenuto in sede contrattuale.

3.1. Informativa precontrattuale

L’informativa precontrattuale, che naturalmente risulta la più decisiva ai fini della determinazione della scelta del cliente e che era già prevista dalla MiFID, è formalizzata in genere all’interno di un unico documento da consegnare al potenziale cliente prima dell’avvio della prestazione del servizio di investimento prescelto (e, nel caso di contratti-quadro, il conferimento del singolo ordine)[11].

Tale informativa è particolarmente rilevante in quanto deve, obbligatoriamente, contenere alcuni elementi — tra cui la descrizione dell’intermediario, i costi e gli oneri applicati per la tipologia di servizio prestato, la politica di classificazione della clientela – previsti dall’art. 44 del Regolamento delegato n. 565/2017 che richiama l’art. 24 della MiFID II.

Pertanto, in tale fase che precede sostanzialmente la firma del contratto, l’intermediario ha l’obbligo di fornire al potenziale investitore un insieme di informazioni di dettaglio affinché il potenziale cliente sia in grado di operare una scelta finale in merito alla proposta di investimento ricevuta.

Per ciò che attiene le modalità con cui tali dati informativi devono essere trasmesse al cliente, bisogna rammentare che è richiesta la forma scritta e che i soggetti abilitanti hanno la possibilità di fornirle su un supporto durevole non cartaceo solo quando tale supporto risulti appropriato per il contesto in cui si svolge il rapporto con il cliente.

Tra le informazioni che l’intermediario deve necessariamente rendere, sia ai nuovi clienti che a quelli già esistenti, sono quelle in ordine alla relativa classificazione o riclassificazione ai fini MiFID II, effettuata sulla base dei criteri specificamente previsti dalla normativa, esplicitando altresì la loro facoltà di richiedere una modifica della classe di appartenenza o assegnazione. Come ricordato in precedenza, in base alla normativa i clienti, possono essere classificati mediante tre categorie – per le quali sono previsti diversi gradi di tutela – di clienti: retail, professionali e qualificati.

Nel novero degli elementi informativi che devono essere resi, nell’ambito della fase precontrattuale, vi sono:

Informativa sui rischi: l’impresa deve fornire ai propri clienti una descrizione, tenendo conto della classificazione assegnata al cliente, dei rischi degli specifici strumenti finanziari. La descrizione deve essere chiara e non fuorviante, evitando di evidenziare i benefici a discapito dei rischi ai quali il cliente potrebbe incorrere e deve contenere: a) il rischio associato; b) la volatilità del prezzo; c) eventuali limitazioni o impedimenti al disinvestimento; d) eventuali ulteriori obblighi per l’investitore; e) eventuali requisiti di “marginatura”.

Informativa sul tema dei conflitti di interesse: la gamma sempre più ampia di attività ed operazioni riconducibili agli intermediari che prestano i servizi di investimento ha implementato, in maniera considerevole, la possibilità di insorgenza di conflitti tra gli interessi dei medesimi e gli interessi dei singoli clienti. Con l’obiettivo di evitare che tali circostanze conflittuali possano danneggiare l’investitore – anche se ciò è possibile solo tra diverse categorie di risparmiatori – la normativa europea impone nella fase precontrattuale, che l’intermediario renda al cliente, su supporto durevole, una descrizione generale della politica aziendale adottata in materia di conflitti di interesse, affinché sia assicurata all’investitore la possibilità di operare una scelta pienamente consapevole in riferimento al servizio proposto o commercializzato.

Informativa sui costi: l’impresa di investimento deve fornire alla clientela, sia “ex ante” che “ex post”, le informazioni su tutti i costi e gli oneri connessi all’operazione, incluse quelle relative ai servizi d’investimento accessori. Nello specifico, devono essere indicati al cliente a) i costi del servizio di investimento prestato e degli eventuali servizi accessori; b) i costi relativi al prodotto o ai prodotti interessati; c) il costo della consulenza (se rilevante); d) le eventuali retrocessioni.

Informativa in tema di incentivi: l’impresa di investimento è tenuta a comunicare al cliente la sussistenza, la natura e l’importo di onorari, commissioni o benefici non monetari, pagati o percepiti in relazione alla prestazione di un servizio di investimento o di un servizio accessorio da parte di un soggetto diverso dal cliente o da una persona operante per suo conto.

Informativa sull’esecuzione o trasmissione ordini: L’art. 27 della MiFID, disciplina l’informativa sulla strategia di esecuzione o trasmissione degli ordini. La norma, appena citata, afferma che l’intermediario deve informare il cliente sulle modalità attraverso le quali intende eseguire o trasmettere gli ordini, evidenziando la possibilità di esecuzione al di fuori di una sede di negoziazione.

Informativa sull’adeguatezza e appropriatezza: l’intermediario, come evidenziato in precedenza, deve raccogliere preventivamente dal cliente una serie di informazioni ritenute necessarie per valutare l’adeguatezza dello strumento finanziario offerto e/o del servizio di investimento prestato. La valutazione di adeguatezza, altrimenti facoltativa e lasciata alla libera iniziativa dell’intermediario, è obbligatoria laddove l’impresa presti i servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione di patrimoni. Orbene, quando viene prestato il servizio di consulenza in materia di investimenti, l’intermediario deve pertanto fornire ai clienti – su supporto durevole e prima di effettuare la transazione – una dichiarazione di adeguatezza che specifichi la tipologia e i contenuti della consulenza prestata e indichi perché corrisponda alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del cliente. Al contrario, nella prestazione di un servizio di investimento diverso dalla consulenza e dalla gestione di portafoglio, l’intermediario è tenuto a richiedere al proprio cliente di fornire le informazioni in merito alla propria esperienza e alle proprie conoscenze, al fine di poter valutare l’appropriatezza del servizio o del prodotto considerato, sulla base del settore dell’attività lavorativa, del titolo di studio conseguito, del livello di conoscenza del settore finanziario, ecc. L’intermediario, sulla scorta delle informazioni acquisite, è tenuto ad avvisare il cliente qualora ritenga che il servizio/prodotto non sia appropriato.

3.2. Informativa nel corso del rapporto

Come per la fase precontrattuale, anche se con un’incidenza minore, l’intermediario deve rendere determinate informazioni all’investitore al fine di assicurare un adeguato livello di trasparenza anche nel corso del rapporto, in particolar modo nell’ambito della gestione patrimoniale e della consulenza.

Tra gli elementi informativi maggiormente significativi, nel corso del rapporto, segnaliamo: a) l’obbligo di (ri)verifica su base periodica dell’adeguatezza del profilo assegnato al cliente, anche in considerazione della sua evoluzione b) l’obbligo, introdotto con la MiFID II, di pronta segnalazione al cliente del verificarsi di perdite del 10% (e suoi multipli) rispetto al patrimonio iniziale investito c) l’obbligo della rendicontazione trimestrale, accompagnata dalla rappresentazione dei costi ex post.

4. Conclusioni

L’introduzione della Direttiva 2014/65/UE, unitamente al Regolamento UE n. 600/2014, ha determinato una maggiore trasparenza nelle negoziazioni, rafforzamento della tutela degli investitori – mediante una maggiore responsabilizzazione degli intermediari – una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti).

In particolare, nel presente lavoro, mi sono soffermato sugli obblighi informativi che – come detto in precedenza – si collocano al centro del sistema di tutela predisposto dalla MiFID e poi ribadito dalla MiFID II. Nello specifico, la Direttiva 2014/65/UE – con riferimento alla tutela degli investitori – ha rafforzato tali presidi, introducendone altri, come la product governance, rendendo più stringente la disciplina applicabile alle imprese di investimento.

Tuttavia, le suddette previsioni non sembrano sufficienti ad evitare, completamente, distorsioni da parte degli intermediari finanziari.

Sul punto, non si può trascurare che – in tema di obblighi informativi – ottenute le informazioni, potrebbe accadere che il soggetto sia incapace di “padroneggiarle” e di verificare se corrispondano o meno al soddisfacimento dei suoi reali interessi.

Spesso, infatti, il cliente non è interessato ai dettagli tecnici, ma semplicemente alla potenzialità economica dell’accordo. In simili casi la semplice messa a disposizione di dati non può ritenersi idonea a conferire conoscenze adeguate al contraente e, dunque, l’informazione si troverebbe pertanto ad essere inutiliter data in quanto non rispondente pienamente alla funzione di corretta formazione della volontà.

In definitiva, si può affermare che il rimedio informativo pensato, dal legislatore europeo prima con la MiFID e successivamente affinato e rafforzato con la MiFID II, come lo strumento cardine idoneo a riequilibrare un rapporto fisiologicamente asimmetrico, utile a garantire, da un lato, la tutela del contraente più debole del rapporto, dall’altro, l’integrità del mercato, non sia di per sé sufficiente al raggiungimento dei già menzionati obiettivi.

Appare giusto chiarire che – a parere dello scrivente – la MiFID II, con le diverse novità predisposte, tra cui la disciplina della product governance, ha rafforzato – in ogni ambito dei servizi di investimento – la tutela dell’investitore ma sembra che ciò non sia ancora abbastanza.

Tale considerazione, è confermata dalla prospettiva di revisione[12] della stessa Direttiva che, verosimilmente, porterà alla MiFID III.

Il nuovo impianto normativo, che verrà delineato a seguito della procedura di revisione, rappresenterà sicuramente un’evoluzione – nel solco della MiFID II, la cui bontà per lo scrivente non è in discussione – del complesso sistema dei mercati finanziari e, allo stesso tempo, sarà sicuramente un presupposto di rilancio per l’economia dei paesi europei dopo il periodo caratterizzato dal Covid-19.

In conclusione, ritengo che i lavori di revisione possano rappresentare una preziosa opportunità per apportare le migliorie di cui necessita la MiFID II al fine di rafforzare i principi che sorreggono la stessa Direttiva 2014/65/UE e, al tempo stesso, facilitare il perseguimento degli obiettivi che si prefigge.

La finalità che deve essere perseguita, con la revisione dell’attuale impianto normativo, è quella di trovare una giusta alchimia fra l’allocazione delle risorse economiche – mediante i servizi di investimento – e la protezione dell’investitore in modo da garantire l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato.

 

 

 

 

 

 


[1] E. Pezzuto-R. Razzante, MiFID II: le novità per il mercato finanziario, Torino, Giappichelli, 2018.
[2] A. Perrone, Servizi di investimento e tutela dell’investitore, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.1, 2019.
[3] AA.VV., I servizi di investimento dopo la MiFID II, Giuffrè, 2019.
[4] A. Luminoso, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Riv. dir. civ., 2007, 761.
[5] M. Garcea, I doveri informativi dell’intermediario nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, anno 2019, pag. 935.
[6] Cass., 6 marzo 2018, n. 5266; Cass., 31 maggio 2017, n. 13765; Cass., 7 aprile 2017, n. 9066; App. Roma, 2 agosto 2017, n. 5251, consultabili tutte in www.dejure.it.
[7] Comunicazione Consob, n. 97996 del 22 dicembre 2014, in materia di distribuzione di prodotti complessi alla clientela retail, ma anche alla precedente Comunicazione Consob, n. n. 9019104 del 3 marzo 2009, relativa al dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi.
[8] In base all’indice considerato (S&P Global Finlit Survey), il valore assegnato all’Italia e relativo alla popolazione adulta (37) risulta ben lontano da quelli dei primi Paesi classificati: Paesi Bassi, Gran Bretagna e Germania (rispettivamente, 68, 67 e 66). La Banca d’Italia, insieme con altre Autorità di vigilanza, ha condotto – nel 2016 – un’indagine relativa alla rilevazione della cultura finanziaria nei maggiori Paesi occidentali e l’Italia si è piazzata al terzo ultimo posto, davanti solo a Cipro e Portogallo.
[9] AA.VV., I servizi di investimento dopo la MiFID II, Giuffrè, 2019.
[10] F. Annunziata, il recepimento della MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, Rivista delle Società, fasc. 4, 2018.
[11] G. M. Uda, L’informativa alla clientela in relazione ai servizi di investimento, in La MiFID II di V. Troiano – R. Motroni.
[12] Public consultation on the review of the MiFID II/MiFIR regulatory framework consultabile su ec.europa.eu.

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Domenico Calabrese

Praticante legale e tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la II sez. civile del Tribunale di Salerno.

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