MILITARE: destituito se coltiva marijuana per uso personale
T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, Pres. Balucani – Rel. Pescatore, Sent., 2 maggio 2015, n. 702
E’ misura sanzionatoria proporzionata alla gravità della violazione la destituzione comminata nei confronti di un militare dell’Esercito che abbia intrapreso, all’interno di una cabina artificialmente costruita in un box interrato nella sua disponibilità, la coltivazione di piante di canapa indiana per fumare personalmente la marijuana.
Il principio appare in linea con la prevalente giurisprudenza amministrativa che ritiene pienamente giustificata la sanzione della perdita del grado per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari nei casi come quello in esame.
In particolare, si è affermato che il consumo di droga da parte del personale militare si configura quale comportamento radicalmente incompatibile con lo status rivestito, in considerazione delle particolari esigenze organizzative ed operative delle Forze Armate e di quelle di Polizia, ex se suscettivo di applicazione della sanzione espulsiva, e tale conclusione, stante la radicale gravità del comportamento sanzionato, rende impraticabile qualsiasi ipotesi di graduazione della sanzione (conformi da ultimo, Cons. di Stato, Sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1474; 24 ottobre 2012, n. 5437; 26 luglio 2012, n. 4257; 15 marzo 2012, n. 1452; 18 novembre 2011, n. 6096).
Tale condotta pregiudica la relazione fiduciaria con l’Amministrazione di appartenenza, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento prestato e rende del tutto irrilevante, ad esempio, qualunque considerazione circa l’assenza di sintomi di tossicodipendenza, l’idoneità psicofisica al servizio, come pure lo stato di servizio del militare.
In definitiva, considerata l’oggettiva gravità della condotta ascritta, non mette dunque conto indagare sul carattere del tutto isolato dell’episodio in contestazione ovvero sulla qualità di assuntore pur occasionale di sostanze stupefacenti, pur ammesso che sia praticamente possibile da riscontrare clinicamente una tale qualità, rilevando il consumo di droghe in sé e non necessariamente nel consumo in un momento o stato particolare.