Militari: incostituzionale l’automatica perdita del grado per interdizione temporanea dai pubblici uffici
Con la sentenza della Corte costituzionale, 15 dicembre 2016, n. 268, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), nella parte in cui non prevedevano l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Le norme suddette permettevano, infatti, la cessazione dal servizio “senza giudizio disciplinare” (art. 866, comma 1) e con decorrenza dal “passaggio in giudicato” della sentenza penale di condanna (art. 867, comma 3) attestando inequivocabilmente il carattere automatico della misura destitutoria.
I Giudici della Corte Costituzionale hanno, infatti, ritenuto che detto assetto normativo fosse lesivo del disposto degli artt. 3, 24 e 97 Cost.
La Corte ha, infatti, chiarito che la sanzione disciplinare va graduata, di regola, nell’ambito dell’autonomo procedimento a ciò preposto, secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza al caso concreto, e non può pertanto costituire l’effetto automatico e incondizionato di una condanna penale, neppure quando si tratti di rapporto di servizio del personale militare.
Così, fuori dai casi tassativamente indicati dall’art. 32-quinquies cod. pen. nei quali soli è possibile applicare la cessazione automatica del rapporto di impiego (ipotesi, circoscritte e delimitate da precisi requisiti qualitativi e quantitativi, di reati contro la Pubblica Amministrazione), si impone, ai sensi dell’art. 5, comma 4, della legge n. 97 del 2001, l’instaurazione di un apposito procedimento disciplinare.
L’automatica cessazione dal servizio senza procedimento disciplinare, inoltre, vìola anche il diritto di difesa, garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto preclude all’interessato ogni possibilità di far valere le proprie ragioni in relazione alla misura espulsiva, che trovano adeguato spazio nel solo procedimento disciplinare.
Confermata anche la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto “L’automatismo precluderebbe ogni possibile valutazione della pubblica amministrazione sulla possibilità di una proficua prosecuzione del rapporto d’impiego, così da incidere sul buon andamento dell’amministrazione militare sotto il profilo della migliore utilizzazione delle risorse professionali”.
La Corte, per concludere, non ha fatto altro che riportarsi alla propria costante giurisprudenza secondo cui “il peculiare status dei militari, che pure esige il rispetto di severi codici di rettitudine e onestà, non può costituire di per sé una valida ragione a sostegno di una discriminazione del personale militare rispetto agli impiegati civili dello Stato sotto il profilo delle garanzie procedimentali poste a presidio del diritto di difesa, che risultano altresì strumentali al buon andamento dell’amministrazione militare”.
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Antonella Votta
Roma
Avvocato del Foro di Roma
Collaboro con lo Studio Legale Daidone in Roma.
Svolgo attività di sportello legale presso l'associazione dei consumatori CODICI.
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