Minacce all’arbitro: il Daspo si applica anche agli allenamenti di calcio
Cons. St., sez. III, 28 maggio 2021, n. 4123
La Questura della Provincia di Napoli emetteva un c.d. Daspo ad un “tifoso” poiché, durante l’allenamento di una squadra di calcio, il “tifoso” minacciava l’allenatore. Così, al “tifoso” veniva fatto divieto di accedere, per un periodo di cinque anni, ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, eventi calcistici nazionali (serie A – B – Lega Pro – D), nonché a tutti gli incontri di calcio relativi alla Coppa Italia, Europa League e Champions League ed internazionali disputati dalla Nazionale Italiana e dalla medesima compagine “Under 21”.
Il T.A.R. Napoli ha ritenuto che la fattispecie rientrasse nella situazione di comportamenti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblici, commessi da sostenitori di squadre sportive “a causa di manifestazioni sportive”.
L’evento in parola è, dunque, assimilabile ad una “manifestazione sportiva”, e la condotta cui si riferisce il provvedimento impugnato (minacce all’allenatore di una squadra di calcio) si è “tenuta non nell’ambito di una competizione sportiva, ma di un allenamento di una squadra di calcio”.
A giudizio del Tribunale, infatti, l’allenamento non può considerarsi estraneo alla “manifestazione sportiva”, di tal che i comportamenti minacciosi verificatisi in tali circostanze sono parimenti sanzionabili con il Daspo. Invero, la condotta cui si riferisce il provvedimento è riconducibile nell’alveo dell’art. 6 della L. n. 401/1989, sebbene verificatasi a causa – e non già in occasione – di una manifestazione sportiva.
Il Consiglio di Stato ha affermato che: <<…La tesi del giudice di primo grado è condivisibile, ancorché il Collegio è ben consapevole che si vi siano orientamenti diversi anche dei giudici penali. L’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401 prevede che il provvedimento Daspo possa essere adottato nei confronti “delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all’articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, all’articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all’articolo 6-ter della presente legge, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, (…). La disposizione indica con chiarezza che le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa…>>.
In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi in contestazione verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive (come definite dall’articolo 2 bis, comma 1, del decreto legge 20 agosto 2001 n. 336, convertito nella legge 19 ottobre 2001 n. 377) sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità.
Ne deriva, pertanto, che il provvedimento impugnato in primo grado è stato correttamente adottato, in presenza dei necessari presupposti.
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