Multe stradali: prescrizione, decadenza e rimedi giurisdizionali azionabili

Multe stradali: prescrizione, decadenza e rimedi giurisdizionali azionabili

Le sanzioni amministrative da violazione del d.lgs. 285/1992 o Codice della Strada (comunemente note come multe stradali), possono essere definite l’incubo di ogni automobilista.

E’ tuttavia possibile difendersi da esse, specie quando un atto del procedimento sanzionatorio (dal verbale di accertamento fino alla cartella di pagamento, ed anche oltre) venga notificato al cittadino a rilevante distanza di tempo dalla commessa violazione.

Capita spesso che il cittadino si veda recapitare dal postino un verbale o una cartella di pagamento dopo mesi, se non anni, di tal che il malcapitato non sia neppure in grado di ricordare, nella maggior parte dei casi, come e quando abbia violato il C.d.S.

Trattandosi di un vero e proprio procedimento amministrativo (in via eccezionale demandato allo scrutinio di legittimità del giudice ordinario), l’irrogazione della sanzione e gli atti correlati sono soggetti a rigorosi termini di prescrizione e decadenza, previsti in parte nel Codice della Strada medesimo e in parte in altre leggi speciali.

Multe: il termine di prescrizione

Il termine che potremmo definire “principe” è quello attinente alla prescrizione, che riguarda la violazione in sé, ovvero il diritto dell’Amministrazione di procedente a riscuotere le somme dovute in conseguenza della violazione. Stante il richiamo operato dall’art. 209 C.d.S., il termine è quello generale previsto dall’art. 28 l. 689/1981, e cioè 5 anni dal giorno della commessa violazione, salvo atti interruttivi, tra cui, tipicamente, deve essere contemplata la cartella di pagamento.

Multe: i termini di decadenza

Accanto a questo termine, decorso il quale l’Amministrazione non potrà in alcun modo procedere utilmente alla riscossione delle somme, ve ne sono altri, che sono previsti a pena di decadenza.

Lo spirare di questo secondo genere di termini (fermo restando il termine di prescrizione) non consente all’Amministrazione di porre utilmente in essere taluni atti del procedimento.

Anzitutto, l’art. 201 C. d. S., prevede che il verbale di accertamento (qualora non sia possibile procedere a contestazione immediata) debba essere notificato entro 90 giorni dall’accertamento stesso, il che significa, come sottolineato dalla giurisprudenza, anche costituzionale (cfr. p. es. C. Cost. n. 198/1996), dal giorno della violazione. Qualora il verbale sia notificato oltre i termini suddetti (o, in casi estremi, non venga notificato affatto), ogni successivo atto del procedimento sarebbe irrimediabilmente nullo. Inoltre, la pretesa sanzionatoria sarebbe estinta. Attenzione: i termini suddetti si computano dalla data di spedizione del plico, non da quella di ricevimento! Dalla data di ricevimento decorrono, invece, i termini per proporre opposizione.

Fermo restando che il termine di 90 giorni è da considerarsi perentorio e immune da qualunque manipolazione dell’amministrazione volta a dilatarlo/sospenderlo artificiosamente, un cenno merita, infine, il particolare caso del cambio di residenza del trasgressore intervenuto nelle more dell’accertamento. In questo caso, come sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione (SS.UU. n. 24851/2010 del 09.12.2010), il dies a quo per il computo dei 90 giorni non è più il giorno della commessa violazione, ma “va individuato nella data di annotazione della variazione di residenza negli atti dello stato civile”. Pertanto “non può ritenersi tempestiva la notifica del verbale di contestazione delle infrazioni al codice della strada quando siano trascorsi più di 150 [ora 90] giorni dalla variazione anagrafica del trasgressore conseguente alla rituale domanda di cambio di residenza con l’indicazione dei dati relativi ai veicoli di appartenenza”.

Il secondo atto del procedimento, immediatamente successivo al verbale, è l’atto della riscossione. Esso consiste, generalmente, nella cartella di pagamento (o cartella esattoriale). Quale termine decadenziale deve essere rispettato? Ebbene, esso è previsto dall’art. 1 comma 153 della l. 244/2007 (che tuttavia si riferisce alle sole cartelle di pagamento di spettanza comunale): la cartella di pagamento deve essere notificata, da parte del concessionario, nel termine di 2 anni dalla consegna del ruolo. Quid iuris delle cartelle di pagamento di spettanza degli altri enti locali (p. es. della Provincia)? Nessuna norma è esplicita. Nondimeno, l’esigenza che la P. A. sia soggetta alla legge, sancito dall’art. 97 Cost., nonché il diritto di difesa, sancito dall’art. 24 Cost., impongono che il cittadino non debba essere sottoposto ad libitum alla potestà dell’Amministrazione, talora semplicemente negligente. Pertanto, appare applicabile il combinato disposto degli artt. 1 comma 163 l. 206/2006 e 36 comma 2 lett. a) d.l. 248/2007, secondo cui il titolo esecutivo (la cartella assomma in sé tanto la funzione di titolo esecutivo quanto di precetto) deve essere notificato al contribuente entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Si ritiene che una tale estensione a sanzioni amministrative di una normativa in origine prevista per i soli tributi locali, sia consentita non solo in forza dei principi di rango costituzionale testé ricordati, ma anche perché gli atti della riscossione, come la cartella di pagamento, sono identici, sia che la prestazione patrimoniale a carico dell’obbligato assuma la veste del tributo, sia che assuma quella della sanzione (ci riferiamo, ovviamente, alle sole sanzioni pecuniarie). Sul piano ontologico il tributo e la sanzione sono infatti differenti: il primo si manifesta in condizioni di “fisiologia” giuridica, ossia al verificarsi di un determinato evento socio-economico o naturale, elevato dall’ordinamento a presupposto giuridico del tributo stesso, mentre la seconda interviene in condizioni di “patologia” giuridica, ossia in conseguenza di una specifica violazione prevista dalla legge. Non diversi però sono gli strumenti giuridici volti al recupero del credito, con la conseguenza che (nel silenzio della normativa speciale) ben potranno condividerne la regolamentazione.

Multe: i rimedi

Sorvolando in questa sede sui ricorsi in via amministrativa al Prefetto, accenniamo brevemente ai rimedi giurisdizionali.

Contro il verbale di accertamento, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 d.lgs. 150/2011, è prevista opposizione davanti al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla contestazione o dalla notificazione. Il processo segue il rito del lavoro. Una recentissima sentenza a Sezioni Unite della Cassazione (SS.UU. n. 22080/2017 del 22.09.2017) ha sancito che tale rimedio si estende anche al caso in cui l’opponente impugni la cartella esattoriale come primo atto del procedimento, e dunque per far valere unicamente l’omessa notificazione del verbale presupposto.

Contro la cartella di pagamento, invece, in quanto atto prodromico all’esecuzione forzata, sembra predicabile l’ordinario rimedio dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., dal momento che la dichiarazione di nullità della cartella si riflette sull’esistenza del diritto di procedere alla riscossione. Come noto, l’opposizione all’esecuzione non soggiace a termini di decadenza. Si badi che tale rimedio è esperibile solo per vizi propri della cartella e non per quelli relativi al verbale di accertamento, se in precedenza comunque notificato.

L’ingiunzione fiscale

Capita ormai sempre più spesso che i Comuni e gli altri enti locali, in luogo della cartella di pagamento, emettano (anche qui con il supporto di un agente della riscossione; spesso una società a ciò preposta) un’ingiunzione fiscale, ossia un ordine, che il competente ufficio dell’ente creditore notifica, di pagare entro il termine di 30 giorni, spirato il quale esso procederà ad esecuzione forzata. Tale atto della riscossione è un vero e proprio “fossile” giuridico, in quanto utilizzato in un tempo assai risalente. E’ infatti previsto dal r.d. 639/1910. Nonostante ciò, la Cassazione ha avuto modo di ribadire che l’ingiunzione fiscale non è mai stata tacitamente abrogata, ed è pertanto perfettamente legittima, nonché del tutto fungibile rispetto alla cartella di pagamento, la quale prevede la predisposizione di un ruolo per le entrate vantate. La natura giuridica dell’ingiunzione fiscale impedisce l’efficacia dell’art. 1 comma 153 cit., che pare applicabile alla sola cartella di pagamento: il termine di cui all’art. 1 comma 153 cit. decorre, infatti, dalla “consegna del ruolo”, fase che è assente nel procedimento per ingiunzione fiscale. Anche qui, del resto, nel silenzio della legge, può correre in soccorso il combinato disposto degli artt. 1 comma 163 l. 206/2006 e 36 comma 2 lett. a) d.l. 248/2007, secondo cui il titolo esecutivo (anche l’ingiunzione, come la cartella, riunisce in sé tanto la funzione di titolo esecutivo quanto di precetto) deve essere notificato al contribuente entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Anche l’ingiunzione fiscale, quindi, riunisce in sé le funzioni di titolo esecutivo e di precetto, e soggiace pertanto alle norme previste per la cartella di pagamento, ove compatibili. Residuano, tuttavia, delle disposizioni che devono essere considerate peculiari dell’ingiunzione. Su tutte la procedura di notificazione, che, in base all’art. 2 r.d. 639/1910, deve avvenire nelle forme della citazione, e quindi con il necessario intervento dell’Ufficiale Giudiziario. L’ingiunzione fiscale che fosse in tal modo priva della relazione di notificazione, nonché della sottoscrizione dell’U. G., comporterebbe non già la nullità della notificazione, ma addirittura la sua inesistenza, con la conseguenza logico-deduttiva che l’eventuale costituzione in giudizio dell’opponente non sarebbe idonea a sanare il vizio di notifica. In tal senso, e proprio decidendo su un’ingiunzione fiscale relativa a multe stradali, notificata da un agente della riscossione per contro del Comune, si esprime una recentissima sentenza del Giudice di Pace di Casarano, la n. 486/2017 del 15.11.2017.

Si ritiene che l’ingiunzione fiscale, al pari della cartella di pagamento, sia impugnabile con l’ordinario rimedio ex art. 615 c.p.c. Una particolare disposizione, tuttavia, l’art. 32 d.lgs. 150/2011, prevede espressamente l’opposizione all’ingiunzione fiscale, prescrivendo il rito ordinario di cognizione, nonché (ed è il vero punctum dolens) la competenza del giudice del luogo ove ha sede l’ufficio che ha emesso l’ingiunzione, così da aggravare la difesa del cittadino, il quale, secondo le regole generali (artt. 27 e 480 comma 3 c.p.c.), può proporre opposizione davanti al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato (ergo, solitamente il luogo di residenza dell’ingiunto). Tale disposizione speciale, ad ogni modo, deve essere considerata alternativa e non derogativa al rimedio ordinario, anche in ragione del fatto che essa sembra contemplare, expressis verbis, solo l’ingiunzione fiscale notificata direttamente dall’Amministrazione, senza l’ausilio di un agente della riscossione, come invece avviene nella gran parte dei casi.

 


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