Mutui: nullità delle fideiussioni

Mutui: nullità delle fideiussioni

La Cassazione conferma la nullità delle fideiussioni redatte su modulo uniforme ABI. I fideiussori che hanno sottoscritto un contratto con clausole identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI non rispondono dei debiti del debitore garantito con il loro patrimonio.

Tempi duri per le banche. I fideiussori che hanno sottoscritto un contratto con clausole identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) non rispondono dei debiti del debitore garantito con il loro patrimonio. La prassi delle Banche concedere credito alla società di capitali poco patrimonializzate richiedendo ai soci di garantire le obbligazioni della società non pone, quindi, le banche al riparo del rischio di insolvenza del debitore se la fideiussione prestata a garanzia risulta redatta su modulo uniforme ABI.

Infatti, Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-05-2019, n. 13846, nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha ribadito il principio già affermato già da Cass. 29810/2017: le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie redatte su modulo uniforme ABI sono totalmente nulle in quanto violano il divieto di intese anticoncorrenziali previsto dall’art. 2, comma 2, lett. a), della L. n 287/1990. Il citato articolo l’art. 2 della L. 287/1990 vieta le intese tra imprese che abbiano l’oggetto o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale, anche fissando direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali.

Sul punto, preme ricordare che, in applicazione di detta normativa, la Banca d’Italia aveva avviato nei confronti dell’ABI, relativamente alle condizioni generali della fideiussione contratta a garanzia delle operazioni bancarie, una istruttoria dalla quale emergeva che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI “contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto” con la citata normativa.

Nello specifico, le clausole ritenute abusive sono: la numero 2. «il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo»; la numero 6. «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»; e la numero 8. «i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato».

Nella fattispecie esaminata dalla Corte Suprema, il fideiussore si era opposto ad un decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti assumendo che il contratto di fideiussione omnibus da lui sottoscritto era nullo in quanto le clausole ivi contenute erano identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI e perciò contrastanti con il provvedimento della Banca d’Italia, del 2 maggio 2005, che ne vietava l’applicazione per violazione della L. n. 287 del 1990. La Corte d’appello di Brescia aveva respinto la domanda dell’attore non avendo quest’ultimo dimostrato una effettiva diffusione ed un’applicazione uniforme delle condizioni generali del contratto di fideiussione comprensivo delle clausole censurate dalla Banca d’Italia, giacché solo in presenza di un’applicazione uniforme di dette clausole si sarebbe configurata la contestata intesa concorrenziale ovvero la presenza di illecite pratiche concordate. La Suprema Corte ha evidenziato che la circostanza rilevata dalla Corte d’appello non era decisiva e che quello che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all’evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell’intesa vietata…”, cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita..”.

“Ciò che andava accertata, pertanto, non era la diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali, di cui qui si dibatte, col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva: giacchè, come è chiaro, l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’ABI non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d’Italia nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca Popolare di Bergamo avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a)”. In altre parole, la Corte afferma che, indipendentemente dal comportamento dell’ABI, quello che rileva è se l’Istituto di credito abbia sottoposto al ricorrente una fideiussione contenete quelle clausole che sono ritenute in contrasto con l’art. 2, comma, 2, lettera a), della legge n. 287/90. Dunque il giudice di merito è tenuto essenzialmente “a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidono con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva”, cioè se coincidono con quelle, individuate dalla Banca d’Italia, che violano la legge L. n. 287 del 1990, ciò indipendentemente dal fatto che l’ABI abbia provveduto o meno a diffondere il testo delle condizioni generali del contratto di fideiussione comprensivo delle clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario.


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