Naja obbligatoria, legittima o incostituzionalità all’italiana?
“C’era una volta la Naja obbligatoria”. Per ben 143 anni, dal lontanissimo 1861 fino ai primi otto mesi del 2004, tutti i cittadini italiani di sesso maschile erano obbligati ai sensi di legge a prestare il servizio militare di leva. Anni fa durava 18 mesi, poi i 18 mesi sono diventati 12, fino a ridursi notevolmente e diventare nove mesi. Nella democratica Repubblica Italiana, la legge istitutiva della leva militare è stato il DPR n. 237 del 14 febbraio 1964, intitolato “Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica”. Otto anni dopo, esattamente nel 1972, entrò in vigore il Servizio Civile Nazionale, come obbligo alternativo e sostitutivo della stessa Naja. La legge che lo istituì è la n. 772 del 15 dicembre 1972. Nascono nuove norme, ma non cambia il principio di fondo: il servizio militare obbligatorio o il servizio civile come obbligo sostitutivo della stessa leva, dovevano essere svolti solo dai cittadini di sesso maschile. Le donne erano dispensate dall’assolvere sia obblighi militari che obblighi civili sostitutivi.
Il vecchio Servizio Militare di Leva, così disciplinato per parecchi anni fino al 2004, nel nostro Paese ha avuto le sue “fundamenta” in un principio costituzionale. Principio citato nell’art. 52 della nostra Carta Costituzionale che, espressamente, dice:
“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge.
Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.
Un principio costituzionale che, di per se, parlerebbe chiaro senza se e ma di sorta. Tuttavia, c’è un altro articolo molto importante, fondamentale e che merita citazione. Trattasi del conosciutissimo art. 3 della Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
A questo punto sarebbe d’obbligo un ragionamento, partendo dall’analisi di due commi specifici: il secondo verso dell’art. 52 che, esplicitamente, recita: “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”, e l’art. 3 Cost.- 1’ comma, che dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”. Da questo confronto, emergono in modo palese tre incongruenze.
Se l’obbligo del servizio militare è stabilito dalla Costituzione, rileggendo l’art. 52 notiamo che non vi è alcun comma, tantomeno una disposizione transitoria e finale che sanciscano, espressamente, l’obbligo di prestazione dello stesso solo per gli uomini e non per le donne.
Il secondo verso dell’art. 52 stabilisce: “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”; significa che rimanda alla legge ordinaria dello Stato il compito di dettare una concreta disciplina di quest’obbligo. Anche qui, apparentemente, non vi sarebbero dubbi e problemi. Secondo le fonti del diritto, però, le nostre leggi che sono il frutto del lavoro legislativo svolto dai due rami del Parlamento, sono inferiori ossia al di sotto della Carta Costituzionale, delle leggi Costituzionali e delle leggi di revisione. Ragion per cui qualsiasi disegno di legge che qualsiasi legislatore presenta e riesce a farla diventare legge dello Stato, dovrebbe rigorosamente rispettare e fondarsi sui principi costituzionali. Dalla nostra Costituzione non si può, minimamente, prescindere.
La terza, sospetta, incogruenza, la ricaviamo rileggendo l’art. 3. Ci parla di pari dignità sociale e che tutti i cittadini sono eguali alla legge, senza alcuna distinzione, di sesso soprattutto. Questo articolo quando parla di condizione sociale dell’italiano, non parla solo di diritti bensì anche di doveri. Quel “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge”, sta a voler significare che non abbiamo solo diritti che ci spettano, ma anche doveri da rispettare come il dovere di versare i contributi ai fini pensionistici, il dovere di pagare le tasse all’erario, il diritto-dovere di tutelare la nostra salute, la famiglia, il dovere di provvedere all’istruzione dei nostri figli e, ciliegina finale sulla torts, anche il dovere di rispettare e difendere la patria. Ragion per cui:
a) Si potrebbero sollevare dei dubbi di costituzionalità del DPR n. 237/1964 e della legge n. 772/1972: entrambi privi di alcun fondamento costituzionale, non espressamente scritto nel testo dell’art. 52 della Costituzione, e in netto contrasto con quanto dice l’art. 3 della stessa Carta Costituzionale.
b) Tornando, per un attimo, al secondo comma dell’art. 52 della Costituzione ovvero “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”, dovremmo dire che, al contrario di quel che ci raccontano le pagine dei libri di Istituzioni di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale, quest’ultimo ha ricevuto concreta disciplina grazie ad una serie di leggi ordinarie del nostro Stato, nella scala delle fonti del diritto nettamente inferiori alla Costituzione e alle leggi costituzionali.
c) Aggiungiamo un altro aspetto, non meno degno di attenzione. Le donne, come furono dispensate dall’obbligo del servizio militare e del servizio civile, sostitutivo della vecchia Naja, furono anche escluse, da tutti i concorsi pubblici per accedere alle forze armate. Ad eccezione della Polizia di Stato, smilitarizzata nel lontanissimo 1981, Aeronautica, Carabinieri, Esercito e Marina Militare fino al 2004 non hanno mai ammesso le donne ai concorsi pubblici per l’accesso alla carriera militare professionale. Da un concorso pubblico, ai sensi di legge, si può benissimo essere esclusi, ma solo per determinati motivi: grave infermità mentale ovvero incapacità di intendere e volere oppure per un altro tipo d’invalidità permanente, se si è condannati penalmente in via definitiva con interdizione dai pubblici uffici, se si sono subite gravi sanzioni disciplinari comportanti la destituzione da un incarico pubblico, se non si hanno i titoli di studio richiesti per partecipare a quel bando di concorso, a cominciare dal diploma di scuola media superiore e successivo titolo universitario di laurea, se si è iscritti a un ordine professionale che comporterebbe l’incompatibilità professionale con la carica di funzionario o dirigente pubblico. Non sarebbe, per nessun motivo al mondo, ammissibile l’esclusione di una persona dall’accesso ad un concorso pubblico in quanto donna, “ergo” di sesso femminile.
Nel 1999, con la legge n. 380, venne emanata una legge delega al Governo Italiano finalizzata all’introduzione, per la prima volta nella storia del paese, del Servizio Militare femminile volontario, consentendo così alle donne di arruolarsi, solo come volontarie, nelle nostre forze armate e permettendo loro, così, lo svolgimento del servizio militare di leva, specialmente in Polizia e, come scelta secondaria, nella Guardia di Finanza. Gli spaventosi attacchi terroristici alle Twin Towers di New York e al Pentagono l’11 settembre 2001, con il conseguente inizio della lunga crisi internazionale, purtroppo tutt’ora presente, ci hanno spinto a capire che era necessario avere un esercito altamente competente, preparato, e professionale all’ennesima potenza. Fu così che si completò quel lungo iter legislativo che portò all’entrata in vigore dell’art. 1, legge n. 226 del 23 agosto 2004.
Articolo che sancì la sospensione del servizio militare obbligatorio e del servizio civile, sostitutivo della leva, aprendo finalmente le porte di una carriera professionale in tutte le Forze Armate, anche alle donne. Un fatto storico che, finalmente, ha regalato al gentil sesso la tanto inseguita pari dignità professionale e sociale, anche dentro i corpi militari. Resterebbe il grande danno biologico procurato alle 18enni, 20enni, 25enni, 26enni, 27enni e 28enni di 20-23 anni fa: sicuramente appassionate della vita militare ma che, purtroppo, si son viste precludere ogni possibilità di carriera nel mondo militare, causa la loro non ammissione ai concorsi pubblici per l’accesso alle forze armate, in quanto donne.
Da un vasto insieme di fatti e amarcord storici, diversi quesiti incalzano. Il secondo verso dell’art. 52 è compatibile con quanto stabilisce l’art. 3 della Carta Costituzionale? Può una legge dello stato, fonte minore del diritto rispetto alla Costituzione, disciplinare in modo dettagliato le modalità di svolgimento di un obbligo istituzionale, anche se persone e modalità di svolgimento di quest’obbligo non sono espressamente elencati nell’art. 52, né tantomeno in una sua disposizione transitoria e finale? Se la disciplina di un obbligo istituzionale potesse, espressamente, essere dettata da una legge ordinaria approvata dal Parlamento, prescidendo o andando oltre i principi costituzionali, dovremmo concludere che la Carta Costituzionale italiana non è più la primissima fonte del diritto. Questo perché una disciplina contenuta in una legge dello stato e non specificata, invece, in un articolo della Costituzione, potrebbe benissimo superare quel principio testé citato ed essere giuridicamente valido, senza obiezioni di sorta.
In questo “mare magnum” di quesiti, però, uno su tutti è lo spettro che incalza: il vecchio servizio militare, obbligatorio solo per i maschietti, è stato costituzionale o meno? E’ stato giusto obbligare i cittadini di sesso maschile a sostenere la visita di idoneità psico-fisica alla leva, a indossare una divisa e dover dire, ogni giorno e senza discussioni, Signor Sì Sig. Tenente? A 15 anni dalla sua sospensione, sulla parola Naja incombono tre fantasmi e uno spettro. I fantasmi? Sono le contraddizioni, i dubbi e i diversi nodi da sciogliere. Lo spettro? Quello di una possibile incostituzionalità all’italiana e allo stato puro.
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Marco Chinicò
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