Natura della recidiva qualificata ‘temperata’ ex art. 99 co. 6 c.p. e calcolo del termine di prescrizione: rimessa la questione alle Sezioni Unite

Natura della recidiva qualificata ‘temperata’ ex art. 99 co. 6 c.p. e calcolo del termine di prescrizione: rimessa la questione alle Sezioni Unite

Nota a  Cass. pen., Sez. II, ord. 8 febbraio 2022 (ud. 14 dicembre 2021), n. 4439, Pres. Gallo, Rel. Recchione, P.G. Cocomello

Sommario:  1. Premessa – 2. I termini del “contrasto” giurisprudenziale: uno sguardo d’insieme – 3. Critica all’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria: “all or nothing” – 4. Critica alla tesi minoritaria – 5. La soluzione della Sezione rimettente – 6. Osservazioni conclusive

 

1. Premessa

Con l’ordinanza che qui si annota, come già appreso dall’informazione provvisoria diffusa dal servizio novità della Suprema Corte, la Seconda sezione ha rimesso alle Sezioni Unite la soluzione del seguente quesito: « se il limite all’aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata previsto dall’art. 99 comma 6  c.p. (a) incida sulla qualificazione della recidiva prevista dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p. come circostanza ad effetto speciale, (b) influisca sulla determinazione del termine di prescrizione ».

Com’è noto, in materia di recidiva c.d. “qualificata” – dizione con sui si fa riferimento alle ipotesi di recidiva aggravata, pluriaggravata e reiterata rispettivamente previste dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p., accomunate dal fatto di determinare, quantomeno in astratto, un incremento di pena superiore ad un terzo (rispetto a quella da infliggere per il delitto non colposo successivamente commesso dal reo) – l’art. 99, ult. comma, del codice penale contempla una disposizione di favore – che funge invero da imprescindibile baluardo contro l’eccessivo rigore sanzionatorio cui darebbe luogo, in assenza di tale previsione, l’applicazione della disciplina della recidiva, così come novellata dalla riforma del 2005 -, per la quale “in nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo”.

Orbene, il nodo interpretativo oggetto dell’ordinanza di rimessione in scrutinio origina dal fatto che – all’esito del riconoscimento dei presupposti applicativi della recidiva aggravata, pluriaggravata o reiterata da parte del giudice di merito – detto temperamento potrebbe determinare in concreto un incremento di pena pari o addirittura inferiore ad un terzo (se non nullo, come si dirà meglio infra), alla stregua di una circostanza ad effetto comune. Da qui l’interrogativo se, in tale scenario, la recidiva “qualificata” ex art. 99 commi 2,3 e 4, possa ancora qualificarsi come circostanza aggravante ad effetto speciale ai sensi dell’art. 63, co.3, c.p., e quindi incidere sul calcolo del termine di prescrizione del reato cui afferisce, posto che l’art. 157, comma 2, c.p. eccettua dalla generale irrilevanza delle circostanze “le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e…quelle ad effetto speciale, nel qual caso si  tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante ”.

Tanto premesso, Giova preliminarmente riassumere il caso di specie che ha dato origine all’ordinanza di rimessione in scrutinio.

La Corte di Appello di Roma aveva confermato la condanna del ricorrente per due condotte di ricettazione, relative ad assegni provento di furto, risalenti al novembre 2005 ed una delle quali ritenuta aggravata da recidiva specifica e infraquinquennale.

La difesa dell’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione, denunciando in particolare – per quel che è qui d’interesse – l’intervenuta prescrizione di quest’ultima condotta ricettativa, sul presupposto che il limite per l’aumento di pena per la recidiva “qualificata” di cui all’art. 99 co.6 c.p. influirebbe anche sulla determinazione del termine prescrizionale poiché esso opererebbe sul un duplice piano, e cioè:

– sia sull’aumento di pena previsto dall’art. 157 co.2 c.p. in presenza di aggravanti ad effetto speciale (tra cui rientra, per l’appunto, la recidiva qualificata), riducendo lo stesso del tempo corrispondente al quantum di pena derivante dall’applicazione di detto temperamento;

– sia sull’aumento del termine di durata dell’interruzione del corso della prescrizione di cui all’art. 161 co.2 c.p. (che per i recidivi aggravanti non può superare la metà di quello ricavabile dalla disciplina di cui all’art. 157 cit., mentre per i recidivi reiterati i due terzi), sebbene tale norma non richiami espressamente il sesto comma dell’art. 99 c.p., ma soltanto i commi 2 e 4 di tale articolo.

2. I termini del “contrasto” giurisprudenziale: uno sguardo d’insieme

La Sezione rimettente prende innanzitutto atto della decisività, ai fini dell’esito dell’impugnazione, della questione devoluta dal ricorrente in ordine all’incidenza del sopracitato limite sulla determinazione del termine di prescrizione poiché – sposando tale ricostruzione – la condotta contestata risulterebbe effettivamente prescritta nel caso di specie.

Ebbene, la Corte rileva sul punto l’esistenza di un contrasto interpretativo tra le diverse sezioni.

Secondo un primo orientamento, allo stato prevalente nella giurisprudenza di legittimità, per determinare la durata del termine di prescrizione, là dove sia contestata all’imputato (e ritenuta poi da giudice di merito) la recidiva qualificata, occorrerebbe far riferimento all’aumento di pena previsto dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 c.p., con il temperamento derivante dall’applicazione del comma 6 di tale articolo; limite che pertanto – ad avviso di questo filone interpretativo – sarebbe idoneo ad influire non soltanto sulla quantificazione della pena ma anche sul calcolo del termine prescrizionale (di questo avviso sono, in particolare, Cass., Sez. 5, n. 44099 del 24/09/2019, Graniello, Rv. 277607; Sez. 6, n. 51049 del 07/07/2015, Volpe, Rv. 265707; non mass: Sez. 5, n. 27106 del 2021; Sez. 5, n. 45252 del 2021; Sez. 3, n. 16492 del 2019; Sez. 4, n. 24078 del 2018).

L’ordinanza si concentra quindi sull’analisi del percorso logico-argomentativo seguito dalle sentenze che sposano l’orientamento in discorso, da ultimo ribadito dalla pronuncia Graniello del 2019, la quale ha enucleato per l’appunto il principio di diritto per cui (a) l’art. 99, co.6, c.p. non incide sulla qualifica della recidiva come “circostanza ad effetto speciale”, anche nelle ipotesi in cui l’applicazione di detto limite determini in concreto un aumento della pena inferiore ad un terzo;  ma (b) il temperamento della pena discendente dall’operatività di tale limite influisce sul calcolo del termine di prescrizione, ancorché non sulla durata dell’interruzione dello stesso ex art. 161 c.p.

In particolare, a sostegno dell’assunto sub (a), e cioè in ordine alla conservazione dello status di circostanza aggravante ad effetto speciale della recidiva c.d. ‘qualificata’ e conseguente capacità di incidere in ogni caso (i.e. anche laddove determini un incremento sanzionatorio nullo, o inferiore ad un terzo) sulla definizione del termine di prescrizione ai sensi e per gli effetti del co.2 dell’art. 157 c.p., viene richiamata la giurisprudenza consolidata sviluppatasi in ordine ad una fattispecie analoga e cioè l’art. 63 co.4 c.p., che, com’è noto, in materia di concorso omogeneo di circostanze, prevede la regola del cd. “cumulo giuridico” per cui va applicata soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, fatta salva la facoltà del giudice di aumentarla ulteriormente per tener conto delle aggravanti rimaste “assorbite”.

Orbene, è pacifico, come opportunamente evidenzia tale giurisprudenza, che tale assorbimento rilevi esclusivamente quoad poenam e non incida in alcun modo sulla natura delle circostanze rimaste inapplicate ai fini della determinazione del quantum di pena, rimanendo così fermi gli effetti – per così dire – secondari, discendenti dalla sussistenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, tra cui[1] si annovera per l’appunto quello di incidere sulla determinazione del termine di prescrizione in virtù del disposto di cui all’art. 157 co.2 c.p., il quale dovrà pertanto essere esteso solo per un tempo corrispondente all’aumento temperato, e cioè risultante dall’applicazione del vincolo di cui all’art. 99, co.6, cit. ove venga in rilievo la recidiva qualificata, e non già per quello corrispondente all’aumento “in astratto” che, secondo le previsioni di cui ai commi precedenti dell’art. 99, potrebbe variare da un terzo fino alla metà[2] (“in caso di concorso tra circostanze ‘ad effetto speciale’, il fatto che la seconda circostanza produca in concreto un aumento inferiore al terzo (e financo nullo) non incide sulla sua qualifica: la circostanza – ai sensi dell’art. 63 c.p., comma 4 – resta “ad effetto speciale” ed, in ossequio a quanto previsto dall’art. 157 comma 2 c.p., incide sui termine di prescrizione”).

Per converso, ad avviso della tesi sostenuta da tale indirizzo interpretativo, diversamente da quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, il limite di cui all’art. 99 co.6 non opererebbe anche sull’estensione dell’interruzione del termine di prescrizione della metà (in caso di recidiva aggravata) ovvero dei due terzi (in caso di recidiva reiterata), prevista dall’art. 161 co.2 c.p.

In sintesi, secondo tale primo filone interpretativo, la recidiva qualificata, ove ricorrano le condizioni di cui al co.6 dell’art. 99 c.p., conserverebbe sì la qualifica di circostanza ad effetto speciale, ma inciderebbe sulla determinazione del termine di prescrizione soltanto in ragione dell’aumento concreto di pena.

Per un secondo orientamento, invece, il limite all’aumento di pena di cui all’art. 99 co.6 sortirebbe l’effetto di far perdere alla recidiva qualificata la natura di circostanza aggravante ad effetto speciale nelle ipotesi in cui, in seguito all’operatività di tale temperamento, l’aumento di pena generato sia in concreto inferiore (ovvero pari) ad un terzo (in tal senso: Cass., Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, Rv. 280504; Sez. 6, n. 51049 del 07/07/2015, Volpe, Rv. 265707).

Pertanto, secondo tale differente ricostruzione, sarebbero circostanze aggravanti ad effetto speciale, ai sensi dell’art. 63 co.3 c.p., soltanto quelle che determinino nel caso concreto un aumento effettivo di pena superiore ad un terzo, non rilevando a tal fine la generica previsione “in astratto”. Ne discende così che, venendo meno il suo status di circostanza ad effetto speciale, la recidiva che produca in concreto un aumento non superiore ad un terzo, ancorché qualificata ai sensi dell’art. 99 co.2-4, non sarebbe più idonea ad incidere sul temine-base di prescrizione, atteso che l’art. 157 co.2 c.p. dà rilevanza alle sole aggravanti ad effetto speciale ai fini del calcolo di quest’ultimo.

Ciò nonostante, analogamente a quanto ritenuto dall’opposto orientamento sopra illustrato, il limite di cui all’art. 99 co.6 non influirebbe sull’aumento dell’interruzione del corso della prescrizione previsto dall’art. 161 co.2 c.p., che resterebbe dunque operativo anche con riferimento alle recidive che producano, in concreto, un aumento contratto.

3. Critica all’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria: “all or nothing

La seconda Sezione, preso atto dei diversi indirizzi ermeneutici, ritiene tuttavia di dissentire da entrambi.

Rispetto alle conclusioni cui giunge il primo orientamento, allo stato maggioritario in giurisprudenza, la Corte oppone due principali argomenti.

3.1  Il primo argomento muove dalla premessa per cui, com’è noto (oltre che di recente ribadito dalla Corte costituzionale, pronunciatasi sulla sospensione della prescrizione disposta dal Legislatore durante la prima fase dell’emergenza epidemiologica[3]), la prescrizione appartiene al diritto penale sostanziale, e quindi le relative norme – che concorrono ad integrare il precetto penale, indicandone il tempo di effettiva operatività (“il tempo di prescrizione ‘compone’ la norma penale strutturandola e definendo, di fatto, la gravità della violazione”) – devono ritenersi assoggettate, al pari delle norme incriminatrici, ai principi di stretta legalità, determinatezza nonché prevedibilità sanciti dalla normativa costituzionale, convenzionale ed eurounitaria.

Se quindi è vero – proseguono i supremi giudici – che la disciplina della prescrizione, alla stregua di tutte le norme di diritto penale sostanziale, deve essere “ (a) “generale”, ovvero contenere previsioni omogenee per tutti i consociati, (b) “astratta” ovvero essere strutturata in modo indipendente da accertamento giudiziari relativi a casi individuali, (c) “prevedibile” dal destinatario ”, da tale premessa non può che discenderne quale logica e diretta conseguenza che, ai fini della terminazione del termine prescrizionale, non dovrebbe essere data alcuna rilevanza alla quantificazione in concreto della pena da infliggere. Come icasticamente affermato dalla Sezione rimettente, “la sentenza – e più ancora la “specifica pena” inflitta all’esito dell’accertamento giudiziale – è “legge del caso concreto” e non può concorrere a definire le norme penali, che, si ripete, devono essere generali, ovvero indipendenti da mediazioni processuali, antologicamente individuali ”.

Diversamente opinando – ammoniscono i giudici di legittimità –, e cioè accogliendo la tesi del primo orientamento per cui la determinazione del tempo necessario a prescrivere andrebbe correlata all’aumento effettivo di pena all’esito del temperamento di cui all’art. 99 co.6 c.p., “si produce un effetto di individualizzazione del termine, che diventa “a geometria variabile”, poiché definito in relazione alla specifica biografia del recidivo, con conseguente dispersione del requisito della “generalità ”, il che risulta però ontologicamente incompatibile con la natura di elemento “di struttura” del reato da riconoscersi alla prescrizione.

Né varrebbe a contraddire tale affermazione, ad avviso dell’ordinanza in commento, il fatto che anche l’art. 99 co.6 c.p. contempli una regola generale ed astratta poiché – punto su cui si tornerà subito infra (par. 4.2) – “tale norma disciplina infatti la quantificazione della pena: pertiene, cioè, allo statuto della sanzione e non a quello della prescrizione”.

3.2.  Il secondo argomento destruens” si fonda invece sulla diversità di ratio tra l’istituto della prescrizione e le regole che afferiscono alla determinazione della pena : “la prescrizione è finalizzata a stabilire, in via generale ed astratta, quale sia il tempo durante il quale lo Stato conserva l’interesse a perseguire le condotte penalmente rilevanti, mentre le regole che pertengono allo statuto della sanzione hanno il diverso scopo di adeguare la pena alla gravità concreta della condotta ”.

Ebbene, ad avviso dei supremi giudici, la norma di cui all’art. 99 co.6 c.p. appartiene allo statuto della sanzione e non già anche quello della prescrizione, con la conseguenza che tale regola moderatrice – avendo operatività limitata alla quantificazione in concreto della pena – non riveste alcuna incidenza sulla individuazione del termine di prescrizione, e quindi sulla determinazione dello spatium temporis durante il quale lo Stato conserva interesse all’accertamento e alla conseguente punizione del fatto di reato.

Secondo l’ordinanza in scrutinio, il legislatore avrebbe scelto di far riferimento all’entità della sanzione ai fini della determinazione del tempo della prescrizione (art. 157 co.2), poiché quest’ultima esprime, in modo simbolico ma efficace, la gravità del reato per cui si procede; entità che però non può che rilevare nella sua dimensione astratta e non già in quella concreta, risultante dalla valutazione discrezionale del giudice penale.
Prova dell’irrilevanza del termine di prescrizione rispetto alla quantificazione concreta della pena andrebbe del resto rinvenuta – proseguono i supremi giudici – nell’ambito della stessa disciplina codicistica e, in particolare, negli artt. 157 co.3 e 162 co.2: il primo pone infatti il divieto di tener conto, ai fini del calcolo, degli esiti del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., e quindi degli eventuali temperamenti di pena (in caso di soccombenza delle aggravanti), mentre il secondo ancora la durata dell’interruzione del corso della prescrizione al mero riconoscimento della recidiva qualificata, senza assegnare rilevanza alcuna all’aumento da essa effettivamente generato nel caso concreto.

3.3  A tali argomenti principali, al fine di corroborare la tesi dell’inoperatività dell’art. 99, comma 6, c.p. in materia di prescrizione, la Corte aggiunge ulteriori considerazioni di carattere sistematico, discendenti dall’analisi del tessuto normativo nonché della ricognizione della giurisprudenza consolidata in materia di rapporti tra prescrizione e concorso di circostanze, di seguito schematizzate:

–  assenza di richiami testuali al limite di cui all’art. 99 co.6 c.p. nelle norme codicistiche afferenti alla disciplina della prescrizione che danno rilevanza alla sussistenza della recidiva (ovvero negli artt. 157, co.2, e 161, co.2, c.p.);

–  giurisprudenza consolidata in materia di concorso omogeneo di circostanze ad effetto speciale e definizione del termine di prescrizione, secondo cui quest’ultimo deve essere determinato in astratto, e cioè facendo riferimento all’aumento di pena massimo discendente dalla regola del cumulo giuridico sancita dall’art. 63 co.4 (pena stabilita per l’aggravante ad effetto speciale che importa il maggior incremento di pena, con facoltà di ulteriore aumento fino ad un terzo), anche qualora il riconoscimento della recidiva da parte del giudice di merito abbia in concreto generato – all’esito del concorso con le altre circostanze – un aumento di pena nullo o non superiore ad un terzo[4] (Cass., Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Pastore, Rv. 275986; Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, Farinella, Rv. 257520);

– giurisprudenza consolidata in materia di concorso eterogeneo di circostanze e definizione del termine di prescrizione, ad avviso della quale, anche laddove la recidiva qualificata risulti, all’esito del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., equivalente ovvero subvalente rispetto alle concorrenti circostanze attenuanti, e dunque non determini alcun effetto concreto sulla determinazione della pena irroganda, la stessa incide comunque sul termine di prescrizione provocandone l’estensione giusto l’inequivoco disposto di cui all’art. 157, co.3, c.p. (v., in particolare, Sez. Un., n. 20808 del 25/10/2018, Schettino, Rv. 275319; in tal senso, cfr. anche Sez. 4, n. 38618 del 05/10/2021 Ferrara, Rv. 282057; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, Pireddu, Rv. 273490; Sez. 2, n. 4687 del 15/11/2018, Dongarrà, Rv. 275639; Sez. 4, n. 6152 del 19/12/2017, Freda, Rv. 272021).

Insomma, tali rilievi confermerebbero, a parere della Seconda Sezione, l’intento del legislatore di assegnare alla recidiva un effetto estensivo sul termine prescrizionale alla mera condizione che essa sussista nel caso di specie, e quindi a prescindere dall’effetto concreto che sortirà sulla pena da irrogare all’imputato.

4. Critica alla tesi minoritaria

Quanto alla tesi sposata dal secondo orientamento, secondo cui la contrazione all’aumento di pena di cui all’art. 99, co.6, c.p. sarebbe idonea a far venir meno la natura di circostanza ad effetto speciale della recidiva qualificata, la Corte richiama ex adverso la giurisprudenza già citata in materia di concorso omogeneo tra circostanze aggravanti ad effetto speciale (v. supra, par. 3.3), per cui “l’annullamento integrale del secondo aumento o la sua semplice contrazione” – per effetto del cumulo giuridico di cui all’art. 63 co.4 c.p. –  “non sono ostativi alla qualifica della seconda aggravante come “circostanza ad effetto speciale” e, dunque, alla operatività dell’effetto estensivo sul termine di prescrizione”.

5. La soluzione della Sezione rimettente

Così ricostruiti e contestati gli opposti orientamenti, alla luce delle argomentazioni sopra illustrate la seconda Sezione giunge alla duplice conclusione che:  i) la qualifica della recidiva come circostanza ad effetto speciale dipende esclusivamente dall’aumento “tipico” previsto in astratto dal legislatore per la stessa;  e che ii) ai fini della determinazione del termine di prescrizione, quando l’art. 157 c.p., comma 2, richiama l’aumento massimo di pena previsto per le aggravanti ad effetto speciale, non dovrebbe pertanto essere considerato il limite di cui all’art. 99, comma 6, c.p., ma solo l’aumento tipico previsto dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p..

A fronte del contrasto giurisprudenziale evidenziato e della rilevanza della questione, sia per la decisione del caso concreto sottoposto al suo vaglio sia, più in generale, per le sue immediate ricadute nella identificazione del termine di prescrizione da parte dell’Ufficio deputato all’esame preliminare dei ricorsi (attività invero rilevante anche per la fissazione delle udienze di trattazione), la Seconda Sezione ha pertanto deciso di rimettere il quesito esposto in premessa alle Sezioni Unite.

6. Osservazioni conclusive

La soluzione suggerita dall’ordinanza di rimessione in commento appare più che condivisibile, anche alla luce dei pregevoli argomenti logico-sistematici utilizzati a sostegno della stessa.

La Sezione rimettente decide di optare per una “terza” tesi rispetto alle due finora rinvenibili nel panorama della giurisprudenza di legittimità con specifico riguardo alla operatività del criterio moderatore di cui all’art. 99, comma 6, del codice penale. Premessa la (pacifica) natura sostanziale dell’istituto della prescrizione, i principi di legalità-prevedibilità, generalità, astrattezza reclamano, ad avviso della seconda Sezione, una disciplina del calcolo del termine di prescrizione del tutto scissa ed indipendente da quella del calcolo sanzionatorio, e quindi dal quantum di pena inflitto in concreto, onde fugare così un’indebita “commistione” – per usare le parole della Corte – tra “statuto della sanzione” e “statuto della prescrizione”, la quale avrebbe l’inevitabile effetto di determinare una individualizzazione del tempo necessario a prescrivere.

Ebbene, rispetto alle numerose obiezioni avanzate nell’ordinanza qui annotata rispetto alla tesi giurisprudenziale (fino ad allora) maggioritaria, può evidenziarsi ad adiuvandum che essa mostra invero scontare un’aporia o, meglio, una certa incoerenza “interna”: infatti, da un lato, ai fini della qualificazione della recidiva quale circostanza ad effetto speciale, il contenimento all’incremento sanzionatorio di cui all’art. 99 u.c. non influirebbe in alcun modo, mentre invece, dall’altro, ai fini del calcolo del termine di prescrizione, inciderebbe provocandone una contrazione in quanto dovrebbe farsi riferimento all’aumento effettivamente possibile nel singolo caso concreto.

Insomma, delle due l’una: o la recidiva di cui ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p., anche qualora importi un incremento sanzionatorio nullo o non superiore ad un terzo per effetto dell’operatività del co.6 di tale articolo, resta una circostanza aggravante ad effetto speciale e quindi non può che rilevare ai fini della prescrizione, oppure coerenza logica – prima ancora che giuridica – imporrebbe una risposta negativa ad entrambi i quesiti, escludendo soluzioni “ibride” che prestano il fianco a rilievi critici e incertezze applicative.

Sotto questo esclusivo punto di vista, pertanto, la tesi minoritaria, benché più radicale, appare maggiormente lineare: se il criterio moderatore di cui all’art. 99, co.6, c.p. è idoneo ad incidere, a monte, sulla qualifica della recidiva, facendola degradare da circostanza (aggravante) ad effetto speciale a circostanza ad effetto comune, allora essa non potrà che essere ignorata tout court ai fini dell’individuazione del termine prescrizionale in virtù della regola contenuta nell’art. 157, co.2, c.p., che sancisce com’è noto l’assoluta irrilevanza delle circostanze ad  effetto comune ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere.

Ad ogni modo, può concludersi che entrambi gli orientamenti ricordati giungano, seppur con percorsi argomentativi ed esiti parzialmente differenti (posto che l’aumento del termine di prescrizione da parte della recidiva temperata non viene escluso tout court dall’orientamento maggioritario, ma solo tarato sull’incremento di pena effettivamente irrogabile in concreto), a dare rilievo – per usare le icastiche parole dell’ordinanza in scrutinio – alla “specifica biografia criminale dell’accusato così come emergente dai pregressi accertamenti processuali”, con il rischio di legittimare un termine di prescrizione flessibile e modellabile caso per caso poiché, per un medesimo reato, vi sarebbero termini differenti di prescrizione “a misura d’imputato”, e cioè ritagliati sulle specifiche caratteristiche soggettive e precedenti penali del reo; non più una disciplina generale e astratta per il calcolo del termine prescrizionale (che dovrebbe essere omogenea per tutti gli autori di reati aggravati da aggravanti ad effetto speciale), bensì personale e concreta.

La prescrizione – ammonisce la Corte -, giusta la pacifica natura sostanziale, non può che essere indifferente al giudizio di personalizzazione e concretizzazione della pena, poiché il legislatore – si badi, anche quello precedente alla riforma operata dalle legge ex Cirielli (L. 251/2005) – ha sempre inteso ancorare il calcolo del relativo termine ad una previsione generale ed astratta, prevedibile ex ante, onde scongiurare il rischio di indebite personalizzazioni che discenderebbero dal considerare la pena concretamente irrogabile.

Ad ogni modo, seppur la soluzione sposata dalla Sezione rimettente possa dirsi esente da aporie sul piano logico-normativo, oltre che in linea con la giurisprudenza consolidatasi in ordine ai rapporti tra prescrizione e operatività del meccanismo di cui all’art. 63 co.4 c.p. (criterio moderatore che invero pare rispondere alla medesima ratio di quello previsto dall’art. 99 co.6 cit., e cioè quella di mitigare il trattamento sanzionatorio), non può tacersi che l’utilizzo che in subiecta materia fa la Corte dei principi garantistici di legalità e prevedibilità conduca invero ad una soluzione che, in realtà, è in malam partem.

Insomma, pare allo scrivente che, nell’ottica del reo, sia comunque meglio interfacciarsi con un termine di prescrizione sì meno prevedibile, ma anche meno “severo”… non a caso, infatti, nella sentenza Volpe del 2015, richiamata dall’ordinanza di rimessione (Sez. 6, n. 51049 del 07/07/2015, Volpe, Rv. 265707), viene affermato che “la contrazione dell’aumento ex art. 99, co.6, c.p. incide sul tempo della prescrizione in ossequio al generale principio del favore rei”.

 

 

 

 

 

 


[1] In ordine all’incidenza della recidiva qualificata sulla procedibilità di taluni delitti contro il patrimonio ai sensi dell’art. 649-bis c.p., cfr. Sez. Un., sent. 24 settembre 2020 (dep. 29 gennaio 2021), n. 3585.
[2] Infatti, applicando pedissequamente la disciplina di cui ai commi 2-4 dell’art. 99 c.p. senza tener conto del limite di cui al co.6 di tale norma, se il giudice ritenesse sussistente la recidiva aggravata l’aumento di pena “in astratto” spazia da un terzo alla metà (co.2); se invece ritenesse esistente la recidiva cd. “pluriaggravata” l’aumento risulterà fisso della metà (co.3); mentre ove venga in rilievo la recidiva reiterata, l’aumentò sarà pari a due terzi della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo commesso dal reo (co.4).
[3] Il riferimento è a Corte cost., 18 novembre 2020 (dep. 23 dicembre 2020), n. 278.
Per un commento alla stessa v.  G.L. GATTA, Emergenza Covid e sospensione della prescrizione del reato: la Consulta fa leva sull’art. 159 c.p. per escludere la violazione del principio di irretroattività ribadendo al contempo la natura sostanziale della prescrizione, coperta dalla garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost., in Sistema Penale, 1° agosto 2020.
[4] Ai sensi della regola di cui all’art. 63 co.4 c.p., tale duplice scenario potrebbe verificarsi soltanto ove, nel caso concreto, la recidiva qualificata non risulti essere la circostanza aggravante (ad effetto speciale) più grave: in tal caso, infatti, una volta applicato l’aumento di pena massimo previsto per quest’ultima, quello correlato alla sussistenza della recidiva potrebbe essere nullo (atteso che l’aumento ulteriore è facoltativo per il giudice) ovvero non superiore ad un terzo (posto che la norma non esplicita la misura dell’aumento, opererà infatti la regola suppletiva di cui all’art. 64 c.p.).

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