Natura giuridica dell’acqua piovana: nodi irrisolti e prospettive “funzionaliste”

Natura giuridica dell’acqua piovana: nodi irrisolti e prospettive “funzionaliste”

Sommario: 1. Premesse sul ruolo dell’acqua piovana nella lotta e nell’adattamento ai cambiamenti climatici – 2. Natura giuridica dell’acqua piovana in Italia: origini di una lacuna normativa – 3. Utilizzo e limiti allo sfruttamento dell’acqua piovana negli Stati Uniti d’America: esperienze a confronto – 4. Riflessioni conclusive a partire dall’approccio funzionalista di Gian Domenico Romagnosi

 

1. Premesse sul ruolo dell’acqua piovana nella lotta e nell’adattamento ai cambiamenti climatici

La scarsità d’acqua colpisce ormai 3 miliardi di persone[1]. I sempre più intensi periodi di carestia, le disuguaglianze nell’accesso alla risorsa, la perdita di biodiversità e la desertificazione[2] hanno spinto gli organi nazionali e sovranazionali a riflettere sul corretto uso e consumo del bene-acqua. Allagamenti, smottamenti, siccità e le conseguenti “guerre per l’acqua”[3], ricacciano ciclicamente l’individuo in una condizione di dipendenza e subiettività nei confronti della natura, evidenziando i segni di un già marcato squilibrio socio-economico tra popolazioni[4]. L’intensificarsi della frequenza di calamità naturali a causa del surriscaldamento globale ha reso la tutela, il consolidamento e il ripristino delle acque sotterranee e superficiali un obiettivo fondamentale delle politiche mondiali[5]. Tuttavia,  dallo sforzo per una produzione normativa volta alla tutela della risorsa idrica nell’epoca dell’adattamento al climate change resta ampiamente esclusa l’acqua atmosferica[6] (soprattutto in ambito nazionale), intendendosi per «atmosferica quell’acqua che, sollevata per evaporazione dalla superficie del globo, va ad occupare l’atmosfera, ed ivi assume diverse forme dando origine a diversi fenomeni […]: 1. vapore trasparente: 2. nebbia: 3. nubi: 4. rugiada: 5. pioggia: 6. neve: 7. brina: 8. grandine»[7]. In particolare, poca (se non nulla) attenzione è stata rivolta – tanto dal legislatore quanto dalla dottrina – alla conservazione, regimazione e (ri)utilizzo della risorsa idrica sotto forma di precipitazione[8]. Scopo del contributo è dunque approfondire e analizzare la disciplina giuridica dell’acqua piovana in Italia – in prospettiva interdisciplinare, diacronica e spazialmente comparata – al fine di evidenziarne l’origine, le peculiarità e i nodi problematici. Il confronto con l’esperienza degli Stati Uniti, giustificato dal contesto di forte water shortage da questi vissuto, consentirà di evidenziare i pericoli e l’insostenibilità ambientale della strada intrapresa dal legislatore italiano. Gli esiti dell’indagine confluiranno nelle conclusioni, a cui verranno affidate alcune riflessioni suggerite dall’approccio funzionalista di Gian Domenico Romagnosi, utili ad evidenziare l’opportunità di una nuova riflessione per l’effettiva inclusione della risorsa nelle politiche di sostenibilità.

Prima di procedere oltre è tuttavia necessario analizzare le qualità e le potenzialità dell’acqua piovana[9]. Ebbene, «contrariamente a quanto si possa pensare, la pioggia […] non è per niente simile all’acqua distillata; infatti le acque piovane possono contenere sostanze chimiche derivanti da: eruzioni vulcaniche, emissioni di gas e sublimazioni di solidi dalla crosta terrestre, polveri e altri solidi portati nell’atmosfera dal vento, spray marini, gas e altri prodotti metabolici introdotti nell’atmosfera dagli organismi viventi, reazioni causate da fulmini e dai raggi cosmici, inquinamento antropico»[10]. Sebbene l’inquinamento atmosferico contribuisca al processo di acidificazione delle piogge, la progressiva metanizzazione degli impianti di combustione e la minor emissione di ossidi di zolfo aiuta l’acqua atmosferica a stabilizzarsi su valori di pH “naturali”[11] e compatibili, ad esempio, con gli usi agroalimentari e agronomici. Proprio l’agricoltura assorbe la gran parte delle risorse idriche del pianeta[12], ed è pertanto opportuno distinguere tali risorse per origine e qualità. Il compito è stato assolto in dottrina attraverso l’individuazione di due tipi di acque: “blu” e “verdi”[13]. Le prime sono costituite da acque di superficie e sotterranee, facilmente trasportabili attraverso opere di ingegneria e rivolte non solo ad usi agricoli, ma anche domestici e industriali. L’acqua “verde” è invece «l’acqua piovana o nevosa che cade a terra ma che non arriva a diventare acqua blu (non arriva cioè né in falda né a far parte di un fiume, lago o ghiacciaio). […] L’acqua verde non si può trasportare, né a essa si può attingere con pompe o canalizzazioni. È intrinseca nel sistema pianta-pioggia-suolo e da lì non può essere prelevata»[14]. L’acqua “verde” ricopre un ruolo centrale per la crescita vegetazionale e la conservazione della biodiversità naturale-alimentare[15]. La pioggia può posarsi sul suolo con un grado di penetrazione (dovuto alla forza di gravità) e con una distribuzione tale da favorire la completa e profonda irrorazione del terreno, arricchendolo di sostanze nutritive. Tra queste l’azoto che, originatosi per reazione durante le fasi temporalesche, precipita sul suolo e avvia un processo di nitrificazione fondamentale per il sostentamento delle colture[16]. L’acqua verde inoltre, in caso di sovralimentazione, consente un’irrigazione “di risalita” attraverso l’evapotraspirazione, contribuendo all’equilibrio di ecosistemi lacuali, fluviali e zone umide (a loro volta habitat di molte specie animali e vegetali, anche in via di estinzione)[17]. Il Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2018, pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 14 giugno 2018, ha confermato questa visione attraverso l’affermazione del principio di connessione suolo-pianta, secondo cui il metodo di produzione fuori-suolo non è compatibile con il metodo di produzione biologico: «Poiché la produzione biologica vegetale si basa sul principio secondo cui i vegetali devono essere nutriti soprattutto attraverso l’ecosistema del suolo, i vegetali dovrebbero essere prodotti sul, e nel, suolo vivo, in associazione con il sottosuolo e il substrato roccioso. Di conseguenza, non dovrebbero essere ammesse né la produzione idroponica, né la coltivazione di vegetali in contenitori, sacche o aiuole in cui le radici non sono in contatto con il suolo vivo»[18]. Principali vettori di nutrienti naturali, salinità e acidità, le piogge influiscono non solo sul clima e sulle condizioni atmosferiche di un particolare territorio, contribuendo a differenziare per qualità e tipicità i prodotti agroalimentari (o acquacolturali) ivi coltivati, ma anche sugli equilibri sociali, politici ed economici di intere nazioni[19].

2. Natura giuridica dell’acqua piovana in Italia: origini di una lacuna normativa

Una prima, organica riflessione sulla tutela e gestione delle risorse idriche può ricondursi a Gian Domenico Romagnosi, il cui pensiero innovativo (portato a ulteriore maturazione da Giacomo Giovanetti) scardinò un’impostazione normativa fortemente statica e nominalistica come quella di cui al codice civile del 1865[20]. L’art. 427 stabiliva infatti che «le strade nazionali, il lido del mare, i porti, i seni, le spiagge, i fiumi e torrenti, le porte, le mura, le fosse, i bastioni delle piazze da guerra e delle fortezze fanno parte del demanio pubblico». Come evidenziato criticamente in dottrina[21], l’allegato F della Legge di Unificazione Amministrativa n. 2246/1865[22] si esprimeva invece a proposito della pubblicità delle acque, ricomprendendo i corsi d’acqua minori come fossati, rivi e colatori pubblici, innescando così una “antinomia” definitoria di non poco momento, in quanto: a) il regime civilistico «disponeva esclusivamente un controllo ex post degli atti di utilizzazione dei privati sulle acque; la legislazione speciale ne prevedeva anche uno amministrativo, ex ante rispetto agli usi privati»; b) «la disciplina civilistica statuiva la gratuità dell’uso; la legislazione speciale, generalmente, condizionava l’utilizzo delle acque alla corresponsione di un canone»[23]. Un criterio così tassativo manifestò immediatamente la propria inadeguatezza[24], poi esplicitata nella circolare del Ministero dei Lavori Pubblici datata 6 febbraio 1888, n. 2116-159: «la sola denominazione data ad un corso d’acqua non potrebbe essere una guida certa ed inoppugnabile per distinguere le acque pubbliche dalle private. Infatti tali denominazioni sono diversamente usate nelle diverse regioni, e corsi d’acqua di ugual natura sono diversamente denominati nelle province settentrionali, nelle medie e nelle meridionali d’Italia».

In un quadro normativo così disarmonizzato, la riflessione “funzionalista” di Gian Domenico Romagnosi (e successivamente di Giacomo Giovanetti) rappresentò un punto di incontro e di evoluzione interpretativa per giudici e legislatore[25]. Il primo costruì intorno all’utilità la distinzione tra proprietà pubblica e privata della risorsa idrica. Pertanto, «lo Stato era proprietario di due classi di beni: quelli pubblici, destinati ad un uso pubblico, e quelli oggetto di pura “appartenenza fiscale o demaniale, ma non di uso pubblico” di cui lo Stato godeva come fosse un privato proprietario: dunque, la proprietà pubblica non era di per sé garanzia di utilizzo collettivo. Le acque appartenevano alla prima classe di beni solamente qualora fossero in grado di soddisfare un uso pubblico e tale destinazione doveva essere effettiva ed attuale (e non solo meramente potenziale) e doveva intendersi come “elemento obiettivo di fatto, soggetto a possibili mutamenti nel tempo”» [26].

Se Romagnosi consentì di ‘superare’, grazie alla propria speculazione, la materialità delle acque come elemento di qualificazione giuridica, aprendo ad una più flessibile interpretazione funzionalista[27], Giovanetti individuò nello strumento concessorio il dispositivo ideale per tutelare e gestire la risorsa idrica tout court: «egli giunse a sostenere il superamento di qualsiasi distinzione tra acque pubbliche e private, lasciando quale unico, residuale, spazio per i diritti individuali la disciplina delle concessioni, attraverso cui la pubblica amministrazione poteva assicurarsi che le utilizzazioni private non pregiudicassero gli interessi pubblici e collettivi». In sintesi: «la redditività delle acque, le esigenze dell’agricoltura e dell’industria divennero, nei contributi teorici e pratici di questi insigni studiosi, ragioni nettamente preponderanti rispetto ai bisogni individuali»[28].

Il criterio funzionalista consentì integrare fonti apparentemente contrastanti e di uniformare, spesso in sede giudiziaria[29], la disciplina delle risorse idriche superficiali[30]. Il cambio di paradigma venne immediatamente recepito all’interno del “Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti”, di cui al Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775[31]. Qui il legislatore dispose la pubblicità di «tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse»[32]. La pubblicità delle acque (non solo superficiali, ma anche sotterranee) venne a dipendere, quindi, da elementi geografici o attitudini socio-economiche, così come già stabilito dalla Corte di Appello di Catania che, con sentenza del 13 aprile 1883[33], richiamando il principio romanistico dell’existimatione circumcolentium[34], qualificò il fiume Cassibile come risorsa idrica pubblica.

L’art. 1 comma I della Legge n. 36/1994 rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione giuridica del concetto pubblicistico di risorsa idrica, laddove afferma che «tutte le acque superficiali e sotterranee»[35] sono pubbliche. Se infatti in passato operava una presunzione per cui tutte le acque erano private, tranne quelle in grado di soddisfare usi e interessi pubblici, dal 1994 la presunzione iuris tantum si inverte e afferma la pubblicità delle acque, revocabile in giudizio qualora dimostrata l’inidoneità alla soddisfazione di interessi pubblici[36]. Il cambio di prospettiva è dovuto alla “scoperta” circa lo stato di compromissione degli ecosistemi, a tal punto che la normativa de qua recepì il contenuto del Rapporto Brundtland e della Dichiarazione di Rio[37], stabilendo all’art. 1, commi I e II, che le acque superficiali rappresentano una «risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà», al fine di non pregiudicare «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale». Nonostante il cambio di prospettiva nel regime di demanialità, il criterio funzionalista non è stato abbandonato. La stessa Corte Costituzionale ha affermato infatti che: «la dichiarazione […] di pubblicità di tutte le acque non deve indurre ad un equivoco: l’interesse generale è alla base della qualificazione di pubblicità di un’acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito; ma questo interesse è presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una proiezione verso il futuro), di uso dell’acqua, suscettibile, anche potenzialmente, di utilizzazione collimante con gli interessi generali»[38].

Nonostante il percorso evolutivo compiuto dal criterio funzionalista, nell’ordinamento vigente sembra persistere, quasi de residuo, l’applicazione di un principio nominalistico dalle importanti conseguenze sul fronte della lotta al water shortage. L’art. 167, comma III del d.lgs. 152/2006, dopo aver ribadito la demanialità delle (sole) acque superficiali e sotterranee[39], afferma infatti che: «la raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici è libera». Il successivo comma IV specifica che «la raccolta di cui al comma 3 non richiede licenza o concessione di derivazione di acque; la realizzazione dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali». Nello specifico contesto agricolo, libera è anche l’attività edilizia per opere di raccolta dell’acqua piovana per finalità irrigue[40].

La libera gestione della risorsa idrica atmosferica, in particolare quella piovana, così importante nella difesa della sostenibilità e della biodiversità degli ecosistemi (sociali e ambientali), trova come unica condizionalità il rispetto della normativa in materia edilizia. Una condizionalità posta a tutela dell’assetto urbanistico e della gestione del rischio idrogeologico, ma ininfluente per la corretta e intelligente gestione (recte, sfruttamento) della risorsa. Il mancato rispetto della normativa edilizia non muta, infatti, la natura squisitamente privatistica del bene-acqua piovuta, comportando una mera sanzione amministrativa in caso di discostamento dalle (o totale violazione delle) predette autorizzazioni. Sembra quasi che il legislatore abbia interrotto quel processo (attivabile anche in giudizio) di pubblicizzazione (ossia recupero al servizio di interessi pubblici) che, dalla prima metà del Novecento, aveva gradualmente incluso acque superficiali e sotterranee nel regime della demanialità[41]. L’art. 1 del R.D 1775/1933 è stato infatti superato in un primo momento dal D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238 (Regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni della legge 5 gennaio 1994, n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche”), secondo cui: «appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne». Quest’ultima disposizione è stata successivamente inglobata nell’articolo 144 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che al comma 1 dispone: «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato»[42], escludendo così dal novero l’acqua piovana (suscettibile di libera appropriazione). Neppure la recente sentenza n. 12998 della Corte di Cass. Pen., Sez. III, datata 5 aprile 2012[43], che recupera il concetto di attitudine ad usi pubblici dei corpi idrici, riesce a sovvertire il destino dell’acqua piovana, ritenuta da dottrina e legislatore incompatibile con una qualificazione pubblicistica tanto ope legis, quanto “ope functionis”. La pronuncia muove dall’ordinanza del Tribunale di Firenze che, in accoglimento della richiesta di riesame, aveva annullato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro e la restituzione di un immobile al Capoluogo toscano, dal momento che gli indagati avrebbero «realizzato una palazzina avente destinazione prevista a uffici amministrativi, direzionali, spogliatoi e locali per l’esercizio dell’atletica in area di inedificabilità assoluta rappresentata dalla fascia di rispetto di 10 metri del Fosso Gamberaia (corso d’acqua demaniale) e addirittura sopra lo stesso». A giudizio del Tribunale, la circostanza che il Fosso non avesse più le caratteristiche di un corso d’acqua naturale (in quanto completamente intubato ed interrato dagli anni trenta del secolo scorso) impediva l’applicazione del R. D. 523/1904 e l’imputazione del reato in capo agli indagati. Il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per Cassazione, offrendo alla Corte l’opportunità di ripercorrere l’evoluzione normativa circa il regime di pubblicità delle acque. A tal proposito, il Collegio ha affermato che «il R. D. 11 dicembre 1933 n. l775 definiva come pubbliche “tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali considerate sia isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse” […] Secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in ordine alla predetta normativa, perché potesse parlarsi di acque pubbliche era necessario che esse avessero attitudine ad usi di pubblico interesse, “quali la produzione, l’irrigazione, l’energia, la bonifica, la pesca e così via. Gli elementi rilevanti, indicati dalla legge, per accertare la possibilità di utilizzazione pubblica sono quelli della portata delle acque, dell’ampiezza del bacino imbrifero, del sistema idrografico al quale appartengono (cfr. Cass. civ. Sez. I n. 1014 del 15. 3. 1975). Sicché “Un piccolo corso d’acqua, per essere definito pubblico deve avere un minimo di consistenza onde possa, quanto meno, concorrere, con altri corsi d’acqua pubblica, a formare un coordinato sistema circolatorio delle acque ovvero partecipare, per suo concreto apporto, a un determinato bacino idrico. Non può pertanto, essere considerato tale un fossatello della lunghezza di poche decine di metri che, solo occasionalmente invaso dall’ acqua, si disperde nel terreno dal quale l’acqua stessa viene interamente assorbita” (cfr. Cass. pen. sez. 3, 15. 2. 1974 n. 1508)».

La Corte, come il Pubblico Ministero, riconosce l’innovatività apportata alla disciplina delle acque pubbliche dalla L. 5 gennaio 1994 n. 36 e dal D.P.R. 238/1999 (e poi del D. Lgs. 152/2006), in quanto «appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee o le acque superficiali anche raccolte in invasi o cisterne» (art. 1 DPR 238/1999) ovvero «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo» (art. 144 D. L. vo 152/06). Tuttavia, sebbene le «”definizioni” sopra riportate, indiscutibilmente, non fanno più riferimento alle “caratteristiche” delle acque pubbliche di cui all’art. 1 R. D. 1775/1933, non richiedendosi più che esse, per la loro portata o per l’ampiezza del loro bacino imbrifero abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse […] Bisogna, però, considerare che la nuova normativa prevede anche che “Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale (art. 144 comma 2 D. L. vo 152/06 e, negli stessi termini, art. l commi l e 2 L. 36/94). E proprio sotto il profilo di tale tutela ambientale gli artt. 76 e 77 del medesimo D. L. vo 152/06 introducono dei limiti in relazione alla capacità dei corpi idrici e quindi alla significatività degli stessi (vale a dire l’attitudine ad usi di pubblico generale interesse)».

In passato la Corte si era già occupata di interpretare l’innovatività di tali disposizioni, ad esempio con la sentenza a Sezioni Unite n. 507 del 27 luglio 1999, secondo cui «l’enunciazione di cui all’art. 1 comma primo L. 5 gennaio 1994 n. 36» era di principio generale e programmatico, avendo «avuto la funzione di spostare il baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà (cfr. Corte Cost. n. 259 del 19.07. 1996) e di conseguenza non [poteva] ad essa essere correlato un generalizzato assoggettamento al regime pubblicistico demaniale di ogni superficie su cui cadano o defluiscano acque meteoriche”». Come ricorda la Corte nella sentenza in commento, sulla questione si era espressa anche la pronuncia n. 9331 del 26 aprile 2011, secondo cui «se una considerazione letterale degli artt. 1 e 34 della L. 36/94 potrebbe indurre ad una conclusione drastica (secondo cui tutte le acque hanno natura pubblica), la lettura dell’intero dettato normativo consente di rilevare come non sia stato modificato il dettato del R. D. 11 dicembre 1933 n. 1775, art. 1, mantenendo in realtà fermo il concetto secondo cui l’attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse è elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche ad ogni specie di acqua”. Si sottolinea, anzi, in proposito, che “una diversa interpretazione porterebbe all’assurdo di dover considerare pubblica anche l’acqua piovana raccoltasi in un avvallamento del terreno, attesa la onnicomprensività della dizione di cui alla L. del 1994…”»[44]. La Suprema Corte ha dunque ammesso l’attitudine dell’acqua piovana ad usi di pubblico generale interesse solo in termini di assurdità.

Dalla lettura dello stesso Codice dell’Ambiente emerge che la risorsa idrica, con l’attraversamento dei cambiamenti di stato fisici, subirebbe una trasformazione anche nella propria natura giuridica. Le molecole di idrogeno e ossigeno, se presenti allo stato solido-liquido in bacini idrici superficiali e sotterranei (falde, fiumi, ghiacciai, mari, etc.), assumono una veste pubblicistica; se le stesse sono presenti sotto forma di vapore o precipitazione, possono diventare appannaggio del privato o dello Stato, a seconda del punto di precipitazione. Il vero discrimen risiede dunque in uno spazio mobile, un insieme di coordinate geografiche rese instabili e mutevoli da pressione atmosferica, temperatura, ventilazione, altitudine e latitudine: un luogo di trasformazione di situazioni giuridiche oggettive e soggettive chiamato “atmosfera”, insensibile al soddisfacimento degli interessi pubblici cui la risorsa può attendere. In questo ‘luogo’, per condensazione (pioggia) – solidificazione (grandine) – brinamento (ghiaccio), due molecole di idrogeno ed una di ossigeno diventano suscettibili di appropriazione pubblica o privata. Solo il bene-acqua precipitato in “pertinenze” pubbliche è munito della disciplina volta alla corretta e sostenibile gestione della risorsa (per finalità di salute pubblica e tutela dell’ambiente). Nulla è invece prescritto al privato[45], nell’assenza di validi strumenti (come quello concessorio) atti a verificare l’impiego (e la correttezza nell’impiego) dell’acqua piovana liberamente raccolta, anche se «al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici».

Paradossalmente dunque, il proprietario di un fondo agricolo destinato alla coltivazione di legumi, aglio, patate, pomodoro siccagno o verze (tutte varietà che richiedono pochissimo apporto d’acqua), potrebbe vedere assentita la costruzione di una vasca di raccolta delle acque piovane, impiegando poi liberamente le stesse per pulire il proprio autoveicolo o il pavimento di casa, per costruire un piccolo laghetto artificiale, per impastare una malta cementizia[46]. Nessuno spazio residua per l’utilizzo dell’acqua piovana (comunque raccolta) ai fini previsti dal comma I dell’art. 167, secondo cui: «nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell’uso agricolo»[47].

L’acqua pubblica, dunque, attraversa un cambiamento di stato fisico e di natura giuridica reso possibile dall’atmosfera in determinate condizioni. La giurisprudenza pare aver rinvenuto nel momento di vaporizzazione e precipitazione idrica lo “strumento” per resettare la qualificazione giuridica dell’acqua atmosferica, trasformata da bene demaniale (poiché proveniente, principalmente, da fiumi e laghi pubblici) a res nullius. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione Penale, Sez. II, con sentenza del 12 giugno 2009, n. 24503: «non integra il reato di deviazione di acque l’appropriazione o distrazione di acque piovane, in quanto si tratta di acque qualificabili come “res nullius” rispetto alle quali non è invocabile la tutela penale, prevista solo nel caso in cui la condotta di deviazione abbia ad oggetto acque pubbliche o private»[48]. In particolare, i giudici hanno affermato che la pioggia è «— come ha evidenziato la dottrina — […] una res nullius rispetto alla quale non è evocabile la tutela civilistica e, di riflesso, il presidio penale»[49]. L’art. 909 c.c. infatti, stabilisce che «il proprietario del suolo ha diritto di utilizzare le acque in esso esistenti, salve le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e per le acque sotterranee».

Le acque piovane restano dunque escluse da una compiuta tutela pubblicistica in quanto considerate dal legislatore risorse idriche intrinsecamente inidonee a soddisfare interessi pubblici[50]. Altri ordinamenti giuridici, più sensibili agli effetti del climate change e in quasi costante regime di water sarcity, riconoscono invece valenza pubblicistica all’acqua piovana: tra questi, è utile approfondire il caso degli Stati Uniti d’America.

3. Utilizzo e limiti allo sfruttamento dell’acqua piovana negli Stati Uniti d’America: esperienze a confronto

Nell’economia dell’indagine, gli Stati Uniti rappresentano un elemento di comparazione ideale per due ragioni. La prima, di natura strettamente storica, affonda le proprie radici nell’epoca della conquista del West. Nell’immaginario collettivo, all’interno del panorama americano di fine Ottocento spiccano torri piezometriche destinate alla conservazione dell’acqua piovana, intorno alle quali si combattevano aspre battaglie (legali e non[51]) per l’appropriazione di una risorsa tanto preziosa da richiedere una sanzione penale per i privati che se ne fossero illegittimamente impossessati[52]. La seconda ragione che giustifica il riferimento agli Stati Uniti è intimamente connessa alla prima, e riguarda l’attuale regime giuridico del rainwater harvesting. Sebbene (recentemente) sia stata raggiunta la totale depenalizzazione della pratica[53], la raccolta privata di acqua piovana divide ancora il Paese. Gli Stati di Alabama, Alaska, Arizona, Iowa, Kansas, Kentucky, Maine, Mississippi, New Jersey, Oklahoma, Oregon[54], South Dakota, Tennessee, Vermont, Washington, West Virginia, Wisconsin e Wyoming hanno reso libera l’attività di raccolta di acqua atmosferica. I governi di Connecticut, Delaware, Florida, Hawaii, Indiana, Louisiana, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Missouri, Montana, Nebraska, New Hampshire, New Mexico, New York, North Dakota, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina e Virginia si sono spinti oltre, approntando una disciplina che non solo legalizzasse, ma incentivasse alla raccolta dell’acqua piovana, predisponendo ad esempio sostanziosi sgravi fiscali[55]. La scelta per la liberalizzazione è ricondotta pressoché unanimemente in dottrina ad un singolo studio scientifico[56], secondo il quale la raccolta di acque meteoriche non influisce sulla funzionalità del ciclo idrologico. In realtà, la ricerca è costruita su analisi parametrate alla città di Dacca, e comunque suggerisce il ricorso alle acque piovane per finalità emergenziali (dunque per un breve periodo di tempo)[57] e solo previo controllo (soprattutto qualitativo) da parte dell’autorità pubblica. Non è un caso, dunque, che nel senso opposto si siano espressi gli Stati di Arkansas, California, Colorado, Georgia, Idaho, Illinois, Nevada, North Carolina, Ohio, Oregon, Texas e Utah, i quali condizionano più o meno pesantemente l’attività di water harvesting. Questi ultimi infatti (comprendenti la fetta maggiore di popolazione statunitense), sono perlopiù posti nella porzione centro-meridionale del Nordamerica, maggiormente esposta a periodi di siccità e caratterizzata dagli effetti del surriscaldamento globale. La necessità di valorizzare e gestire la raccolta di acqua piovana ha portato l’Arkansas a stabilire, con Code Annotated § 17-38-201 (2014), che lo State Board of Health «shall allow the use of a harvested rainwater system used for a non-potable purpose if the harvested rainwater system is: (1) designed by a professional engineer licensed in Arkansas; (2) is designed with appropriate cross-connection safeguards; and (3) complies with Arkansas Plumbing Code». Lo stesso atto, armonizzato con l’Arkansas Plumbing Code, prevede altresì un potere di ispezione in capo a tecnici idraulici riconosciuti dallo Stato, affinché «enter and inspect at reasonable hours plumbing installations on private or public property and disseminate information relative to the provisions». Un compito di vigilanza e informazione dunque, posto a carico del contribuente, dal momento che lo State Board of Health può «(5) charge a reasonable fee for plumbing inspections». Il Bill Text AB-1750 offre invece un quadro completo circa l’evoluzione e la gestione del water harvesting in California. L’atto, meglio conosciuto come “Rainwater Capture Act” del 2012, chiarisce infatti che lo Stato californiano ha assistito ad una riduzione delle risorse idriche inversamente proporzionale allo sviluppo economico. L’acqua piovana che precipita su sempre nuovi edifici, parcheggi, strade e altre superfici impermeabili priva le falde acquifere di un rilevante volume di acqua. Quest’ultimo, “arricchitosi” di agenti inquinanti urbani, confluisce nelle fognature e si riversa nell’oceano. Allo stesso tempo, la siccità e la carenza d’acqua ricorrenti hanno reso prioritari la cura dell’approvvigionamento idrico locale e gli sforzi per la conservazione dell’acqua. Una breve disamina circa il futuro del clima in California, caratterizzato dallo scioglimento delle poche cime innevate e da un aumento delle tempeste, ha portato il legislatore a riconoscere che le acque atmosferiche, «captured and properly managed», possono contribuire in modo significativo all’approvvigionamento idrico locale, rigenerando le falde acquifere e incrementando la disponibilità di acqua potabile. Affinché sia rispettato l’obiettivo statutario di una riduzione del 20% dell’uso urbano pro capite dell’acqua entro il 31 dicembre 2020, la California prende atto che «expanding opportunities for rainwater capture to augment water supply will require efforts at all levels, from individual landowners to state and local agencies and watershed managers». Per questo motivo, sebbene la raccolta di acqua piovana sia stata svincolata dal rilascio di licenze[58], il legislatore pone alcuni limiti di carattere pubblicistico: «Nothing in this part shall be construed to do any of the following: (a) Alter or impair any existing rights; (b) Change existing water rights law; (c) Authorize a landscape contractor to engage in or perform activities that require a license pursuant to the Professional Engineers Act (Chapter 7 (commencing with Section 6700) of Division 3 of the Business and Professions Code); (d) Impair the authority of the California Building Standards Commission to adopt and implement building standards for rainwater capture systems pursuant to existing law; (e) Affect use of rainwater on agricultural lands; (f) Impair the authority of a water supplier pursuant to Subchapter 1 of Chapter 5 of Division 1 of Title 17 of the California Code of Regulations»[59]. Interessante è l’assetto normativo approntato dallo Stato del Colorado, storicamente attento alla raccolta di acqua piovana. La catena di restrizioni si è allentata nel 2009, attraverso il Senate Bill 80 e l’House Bill 1129[60]. Oggi, l’House Bill 16-1005 consente la raccolta di acqua piovana dai tetti subordinandola al rispetto di quattro condizioni: 1. devono essere utilizzati non più di due barili in grado di stivare fino a un massimo 110 galloni di acqua in regime combinato; 2. possono essere raccolte solo le acque piovane precipitate sui tetti di edifici residenziali unifamiliari o multifamiliare ma con non più di quattro unità; 3. la risorsa raccolta deve essere utilizzata nella medesima proprietà residenziale ove questa precipita; 4. la stessa deve essere impiegata per «outdoor purposes such as lawn irrigation and gardening». Particolari obblighi esistono anche per il “Department of Public Health and Environment”, chiamato a sviluppare e condividere best practices per un uso non potabile dell’acqua piovana raccolta e per il controllo della purezza, da condividere con la popolazione e da impartire agli ingegneri dello Stato. Anche in Georgia la raccolta dell’acqua meteorica è legale, ma il “Georgia State Amendments to the International Plumbing Code” regolamenta la pratica con precise restrizioni. L’atto disciplina infatti «the materials, design, construction and installation of rain water systems for automatic clothes washers, flushing of water closets, flushing of urinals, and cooling tower makeup water. Nothing in this Chapter shall be construed to restrict the use of rain water for outdoor irrigation»[61]. Di più: nel paragrafo successivo il legislatore chiarisce che nulla di quanto contenuto nel capitolo deve essere interpretato per impedire che il governo locale imponga la conformità a requisiti più severi di quelli contenuti nell’atto, qualora tali requisiti siano essenziali per mantenere condizioni igienico-sanitarie sicure «or from prohibiting rain water systems»[62]. Il regime autorizzatorio e ispettivo viene rimandato alle singole autorità locali aventi giurisdizione, chiamate a far sì che l’acqua raccolta da precipitazione sia «collected in an approved reservoir constructed of durable, nonabsorbent and corrosion-resistant materials. The reservoir shall be a closed vessel. Access openings shall be provided to allow inspection and cleaning of the reservoir interior. […] A full open valve shall be installed prior to the collection reservoir to allow rain water to discharge directly to the normal storm water drainage system during maintenance of the rain water system». La possibilità che la risorsa raccolta possa riversarsi “direttamente” nel terreno è garantita altresì dai punti 1501.12 e 1501.13, secondo cui lo scarico del tubo di sovralimentazione deve convogliare l’acqua piovana nel sistema di drenaggio naturale e deve essere di dimensioni uguali o maggiori del tubo in ingresso. Inoltre, sussiste l’obbligo di individuare tecniche di scarico che escludano la confusione dell’acqua piovana nel sistema fognario domestico. Se in Idaho è consentita la raccolta di acqua piovana finché la stessa non si immette in un corso d’acqua naturale, in Illinois esistono limitazioni ben più stringenti. Qui, il cd. “Green Infrastructure for Clean Water Act” si preoccupa di gestire le acque piovane con tecnologie e buone pratiche volte alla preservazione e al ripristino della funzionalità idraulica naturale. In particolare, scopo dell’atto è garantire che le acque atmosferiche percolino nel terreno, assolvendo ai compiti di evapotraspirazione e filtraggio. A questo, sono collegati ulteriori obiettivi come la conservazione e la valorizzazione del paesaggio naturale e di ecosistemi forestali, alluvionali e umidi. Come in Colorado, anche il Governo dell’Illinois si preoccupa della scarsa permeabilità del suolo[63] e degli effetti del cambiamento climatico[64], elevando la disciplina del rainwater harvesting a strumento chiave per il recupero della biodiversità naturale e dello sviluppo sostenibile[65]. Modificando l’“Homeowners’ Solar Rights Act”, concernente l’installazione di sistemi di produzione di energia solare, l’House Bill 991 del 2011 ha disciplinato incidentalmente l’attività di raccolta dell’acqua piovana, prevedendo che entro 120 giorni dalla creazione, ogni Homeowner association deve stilare una dichiarazione di politica energetica riguardante la progettazione e i requisiti architettonici dei sistemi di raccolta dell’acqua piovana. Nel giugno del 2017, lo Stato del Nevada ha approvato il Senate Bill n. 74, concernente il permesso alla raccolta dell’acqua piovana attraverso lo strumento della concessione, revocabile qualora gli usi della risorsa non soddisfino gli scopi previsti dall’autorità pubblica. In particolare, il Senate Bill stabilisce che ogni fornitore di servizi idrici, indipendentemente dalla destinazione pubblica, privata o industriale del bene-acqua, deve approntare un piano di gestione basato sul clima e sullo stato di salute degli ecosistemi[66]. Nella redazione del piano[67], da aggiornare ogni cinque anni, il fornitore deve garantire la massima partecipazione e la ricezione di «written views and recommendations on the plan» di terzi interessati (pubblici o privati). Ogni Piano contiene, inoltre, programmi di educazione civica affinché aumenti la consapevolezza circa la scarsità d’acqua e le necessità di conservazione della risorsa in Nevada, ad esempio incoraggiando l’uso di piante adatte ai climi aridi e semiaridi[68]. Agli oneri dei fornitori corrispondono quelli dell’autorità pubblica[69], chiamata: 1. ad adottare le ordinanze necessarie ad attuare un piano di conservazione dell’acqua; 2. a predisporre e assicurare l’operatività di un programma di sanzioni per la violazione di qualsiasi ordinanza concernente la raccolta e la gestione della risorsa. In North Carolina (NC) l’House Bill 609 (2011) stabilisce che le pubbliche amministrazioni competenti devono cooperare con lo Stato per l’identificazione dei bisogni idrici locali, nonché per l’elaborazione di progetti in grado di conservare e sfruttare questa risorsa. Le fonti idriche alternative, individuate dalle autorità, devono rispettare i seguenti criteri: «(1) Are economically and practically feasible. (2) Make maximum, practical beneficial use of reclaimed wastewater and stormwater. (3) Comply with water quality classifications and standards. (4) Avoid or mitigate impacts to threatened or endangered species to the extent such species are protected by State or federal law. (5) Maintain downstream flows necessary to protect downstream users. (6) Do not have significant adverse impacts on other water withdrawals or wastewater discharges. (7) Avoid or mitigate water quality impacts consistent with the requirements of rules adopted by the Environmental Management Commission to implement 33 U.S.C. § 1341». Inoltre, il “Departement of Environment and Natural Resources” è chiamato a fornire assistenza tecnica e iniziative di informazione pubblica in tutto lo Stato, in base alle necessità dettate dall’obiettivo di raggiungere e mantenere l’efficienza idrica. In questo senso, un ruolo fondamentale è ricoperto dalla ricerca e sviluppo di best practices per la gestione, conservazione ed efficienza dell’acqua da parte della comunità, tra cui: «(7) Employing water reuse practices that include harvesting rainwater and using grey water»[70]. Con il Senate Bill 163[71], invece, il North Carolina definisce la “Water Reuse Policy”, secondo cui è compito dello Stato garantire il recupero delle acque piovane al fine di soddisfare le esigenze attuali e future di approvvigionamento idrico. Per questa ragione, il legislatore si preoccupa di identificare gli «acceptable uses» di acqua recuperata, includendo: lo scarico nei servizi sanitari, lo spegnimento di incendi, giochi d’acqua a scopo decorativo e irrigazione del paesaggio[72]. L’Ohio Rev. Code §3701.344 si esprime sugli impianti di raccolta di acqua piovana nello Stato nordamericano: sebbene la posizione geografica consenta una maggiore tranquillità e sicurezza dell’approvvigionamento idrico, il legislatore ha comunque posto dei limiti di natura sanitaria all’attività di water harvesting. In particolare, l’atto in commento definisce “Sistema idrico privato” qualsiasi infrastruttura (pozzo, sorgente o cisterna) per la fornitura di acqua per il consumo umano, a condizione che tale sistema abbia meno di quindici linee di adduzione e non serva regolarmente più di venticinque individui al giorno per almeno sessanta giorni l’anno. Particolare importanza rivestono gli oneri per un corretto trasporto, la filtrazione, la disinfezione, il trattamento o lo stoccaggio della risorsa, sul cui rispetto vigila il Consiglio di Sanità Pubblica. Le commissioni sanitarie delle città o dei distretti sanitari generali hanno, infatti, il potere esclusivo di stabilire il numero di ispezioni necessarie per determinare il grado di potabilità di un sistema idrico privato. In Texas la raccolta di acqua piovana è sì libera, ma l’House Bill 3391 pone limiti ben precisi. Lo Stato, anzitutto, invita gli istituti finanziari a supportare progetti abitativi che prevedono l’utilizzo di acqua piovana come unica fonte di approvvigionamento idrico. Inoltre, i progetti di edificazione di ogni nuovo edificio pubblico con un tetto di almeno 10.000 piedi quadrati, nonché ogni altra costruzione che possa integrare tecnologie di raccolta di acqua atmosferica, dovrebbero prevedere la possibilità di installare «on-site reclaimed system technologies, including rainwater harvesting, condensate collection, or cooling tower blow down, or a combination of those system technologies, for potable and nonpotable indoor use and landscape watering». Simili sistemi di rainwater harvesting devono essere installati sui tetti dei nuovi edifici aventi almeno 50.000 piedi quadrati di superficie, se situati in una zona dello Stato in cui la media annuale di precipitazioni è di almeno 20 pollici[73]. La Commissione elabora le regole riguardanti l’installazione e la manutenzione dei sistemi di raccolta dell’acqua piovana utilizzati per scopi interni potabili e collegati alla rete pubblica. Tali regole devono garantire: a) che gli standard sanitari per la potabilità dell’acqua siano soddisfatti; b) che l’acqua piovana raccolta non entri in comunicazione con l’acqua potabile di un sistema di approvvigionamento idrico pubblico, diretto fuori dalla proprietà su cui la struttura di raccolta dell’acqua piovana insiste. Chi intenda collegare un sistema di rainwater harvesting al sistema di approvvigionamento idrico pubblico per uso potabile, prima di procedere ai lavori, è tenuto ad ottenere il consenso del Comune in cui si trova l’infrastruttura di raccolta, del proprietario della stessa o dell’operatore di approvvigionamento pubblico. Ogni Comune e Contea è incoraggiata a promuovere la raccolta in strutture residenziali, commerciali e industriali, attraverso la fornitura di barili per l’accumulo e lo stoccaggio di acqua piovana a prezzi agevolati. Ogni distretto scolastico, inoltre, è incentivato ad implementare la raccolta presso le proprie strutture. Il Texas Water Development Board (T.W.D.B.) è tenuto alla formazione gratuita di coloro i quali abbiano ottenuto i permessi per la conservazione della risorsa da parte dello Stato o della Contea. L’importanza dell’acqua piovana per lo Stato del Texas è chiarita all’interno del “The Texas Manual on Rainwater Harvesting”, a cura del T.W.D.B.[74], dove è chiarito che «Rainwater is valued for its purity and softness. It has a nearly neutral pH, and is free from disinfection by-products, salts, minerals, and other natural and man-made contaminants. Plants thrive under irrigation with stored rainwater. Appliances last longer when free from the corrosive or scale effects of hard water. Users with potable systems prefer the superior taste and cleansing properties of rainwater […] Rainwater is superior for landscape irrigation […] Rainwater harvesting helps utilities reduce the summer demand peak and delay expansion of existing water treatment plants»[75]. Da ultimo lo Stato dello Utah che regolamenta la raccolta e la gestione dell’acqua piovana con il combinato disposto del Senate Bill 32 del 2010 e dello Utah Code Ann. §73-3-1.5. In particolare, un individuo può acquisire il diritto all’uso di acqua pubblica «unappropriated»[76] e di acqua piovana solo se finalizzato a «useful and beneficial purpose»[77]. Qualora la risorsa idrica sia convogliata in strumenti di raccolta sotterranei, la legge impone l’utilizzo di non più di un contenitore, a condizione che questo non superi la capacità di 2.500 galloni e sia costruito nel rispetto della normativa edilizia. È possibile raccogliere acqua piovana anche in contenitori posti in superficie e forniti di copertura, ma gli stessi non devono superare la capacità di 100 galloni ciascuno. Indipendentemente dal tipo di sistema di rainwater harvesting, il possessore è tenuto a segnalare capacità e ubicazione degli impianti all’Autorità pubblica (State engineers).

4. Riflessioni conclusive a partire dall’approccio funzionalista di Gian Domenico Romagnosi

Sebbene l’acqua piovana in Italia sia storicamente stata esclusa dal regime giuridico della demanialità-pubblicità, preme evidenziare come in passato non mancasse una disciplina per l’uso della risorsa idrica in grado di tangere anche il privato, ponendo di riflesso dei limiti di natura amministrativa e civile allo sfruttamento dell’acqua. Limiti contenuti nelle concessioni (per le acque demaniali)[78] e nel divieto di compiere atti contrari ad utilità pubblica (per le acque tout court). Entrambi gli strumenti rinvenivano la propria ragion d’essere nel principio funzionalista e nel carattere (economico-) sociale riconosciuto al bene-acqua[79]. Criteri interpretativi che, come osservato, trovano ancora applicazione in alcuni Stati federati degli U.S.A., anche per la tutela della risorsa idrica atmosferica. Un principio che a ben vedere è ancora vigente anche in Italia, seppur con un deficit cruciale. L’art. 144, commi II, III, IV del d.lgs. 152/2006[80] pone l’accento sulla solidarietà, la socialità, il risparmio e la sostenibilità  nella gestione delle acque[81], ma allo stesso tempo persevera nella rinuncia a esplicitare le modalità per contrastare l’utilizzo di acque piovane qualora incompatibile con le predette finalità[82]. Allo stesso modo le disposizioni di cui agli artt. 76 e 77 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, pur predisposte al fine di soddisfare l’attitudine dei corpi idrici al perseguimento di obiettivi di qualità ambientale, si limitano alla tutela e al risanamento dei corpi idrici sotterranei e superficiali.

Nell’economia del presente contributo, è opportuno soffermarsi sul divieto di compiere atti contrari all’utilità pubblica. Il puro strumento concessorio infatti, per quanto interessante, esula dall’oggetto di indagine per due ragioni:

– 1. l’esclusione dell’acqua piovana dal novero dei beni demaniali soggetti alla disciplina delle concessioni[83];

– 2. la tendenza del legislatore a muoversi, in ambito di tutela della risorsa idrica, dal regime concessorio a quello pianificatorio[84].

Il divieto di sfruttare l’acqua per scopi “socialmente inutili”, in prospettiva sia storica che attuale, consente un’indagine di più ampio respiro, utile a rinvenire dispositivi giuridici trasversali in grado di ripensare il ruolo dell’acqua piovana nell’epoca del global warming.

All’alba del secolo scorso, il principio funzionalista penetrò nel sistema al fine di garantire una gestione accorta e razionale delle acque, in virtù dello «speciale principio [che le risorse idriche] si possono adoperare solo ad usi utili»[85]. Tale declinazione del criterio funzionalista affonda le proprie radici nel diritto romano[86], e non deve essere confusa con il divieto di atti emulativi[87]. Con particolare riferimento alla gestione delle risorse idriche, rileva anzitutto il commento ulpianeo al Digesto (D. 39.2.24 pr. – Ulp. 81), in tema di uso di fiumi pubblici, laddove si sancisce la libertà per i privati di edificare e distruggere con il solo limite dell’incommodum ai terzi[88]. Celso e Cervidio Scevola affermano inoltre che: D. 43.8.3.1 (Cels. 39 dig.): «Maris communem usum omnibus hominibus, ut aeris, iactasque in id pilas eius esse qui iecerit: sed id concedendum non esse, si deterior litoris marisve usus eo modo futurus sit»; D. 43.8. 4 (Scaev. 5 resp.): «respondit in litore iure gentium aedificare licere, nisi usus publicus impediretur»[89]. L’acqua infatti, nella forma di aqua profluens[90], era considerata una res communis omnium, ossia «cose lasciate in godimento a tutti gli esseri umani»[91]. In dottrina, infatti, è stato precisato che il termine profluens indica «tanto lo scorrimento naturale quanto quello indotto»[92] della risorsa. Di più: «ancora più notevole (almeno rispetto all’ordine giuridico odierno ed alla cultura che lo contiene) è che la prima ‘acqua’ ad essere menzionata come res communis omnium non è – come si sarebbe potuto pensare – l’acqua del mare ma l’acqua che fluisce, l’aqua profluens, l’acqua dei fiumi, l’acqua che (con il suo moto circolare dalla terra al mare e dal mare alla terra, attraverso l’aqua pluvia) assicura la continuità della vita»[93]. Come esplicitato in dottrina, sebbene la qualificazione dell’aqua pluvia come res communis ne impedisse una vera e propria valorizzazione, non vanno tralasciati i pur esistenti limiti allo sfruttamento della risorsa, ispirati al divieto di incommodum ceterorum e di danneggiamento dell’eventuale corso d’acqua[94] (il danno agli altri membri della societas rei publicae, ossia – in ottica comparata – l’incompatibilità con gli «interessi pubblici e collettivi» cui faceva riferimento Giovanetti e il legislatore a cavallo fra Otto e Novecento).

Il moderno istituto del divieto di atti emulativi, invece, guarda non solo al dato oggettivo-funzionalistico, ma anche all’animus nocendi dell’emulatore, e ha portato certa dottrina a configurare l’istituto romanistico supra esposto (che è privo di valutazioni sull’elemento soggettivo) come una sorta di antecedente (logico e storico) del divieto ex art. 833 c.c[95]. Una disposizione, questa, che si rifà ad ulteriori interpretazioni del Digesto, e che pure hanno introdotto nel sistema vigente la figura degli atti emulativi con la centralità del profilo soggettivo dell’agente (volto a procurare un danno altrui, pur nel pieno esercizio di un proprio diritto). In dottrina, anche Scialoja propende per il criterio funzionalista di derivazione romanistica e ricostruzione romagnosiana, in quanto tutela maggiormente una proprietà privata che, però, non può spingersi fino al compimento di atti “socialmente” inutili, sanzionabili con la nullità[96]. Dal discorso resta dunque escluso il profilo soggettivo. Scialoja temeva infatti una deriva anti-oggettivista/funzionalista, tale che «le lacune della legge positiva si sarebbero colmate in base ad un “diritto soggettivo, unilaterale”, suscettibile cioè di variare a seconda dell’indole e degli studi del singolo interprete, nonché del tempo e del contesto in cui questo avesse vissuto [dovendo ricorrere ad una] “aequitas cerebrina”, meramente “cervellotica”, “sentimentale”, “che ognuno sente a modo proprio”»[97].

A dispetto delle disposizioni di cui agli art. 144 commi 2, 3 e 4 del d.lgs. 152/2006, l’acqua piovana si configura oggi come una res nullius, la cui ‘scorretta’ gestione potrebbe essere (solo in nuce) sanzionata in sede civilistica ex art. 833 c.c. al ricorrere di una precisa disposizione d’animo dell’emulatore, restando la risorsa altrimenti priva di tutela. L’art. 98 del d.lgs. 152/2006 ribadisce la prevalenza dell’interesse ambientale in materia di utilizzazione delle acque, affermando che «coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili». La disposizione, nella sua formulazione ampia (data dal riferimento alla risorsa idrica tout court), può abbracciare anche i privati che gestiscono o utilizzano l’acqua piovana e, insieme al dettato dell’art. 144, pare richiamare l’attenzione degli operatori del diritto affinché venga colmata una lacuna che priva l’ordinamento di strumenti in grado di garantire vigenza al dettato normativo.

Sebbene l’Italia custodisca ecosistemi e reticoli idrici ben più ricchi di quelli di Texas o Colorado, l’irrevocabilità del cambiamento climatico e un processo di desertificazione senza più confini geografici generano non poca preoccupazione. Come avvenuto già agli inizi del secolo scorso, la speculazione intorno al criterio funzionalista può costituire un primo punto di (ri)osservazione, al fine di ripensare il ruolo dell’acqua piovana per il diritto e per gli ecosistemi (ambientali e sociali), soprattutto nel quadro del crescente dibattito intorno ai beni comuni[98]. Lo stato di scarsità della risorsa, la globalità degli effetti del climate change e la difficile pronosticabilità delle calamità naturali (e dei relativi effetti sulla società e l’economia) richiedono un approccio neo-funzionalista, in grado di smuovere una speculazione dottrinale ancora incentrata su una schematizzazione normativa svincolata dal dato reale.

Come illustrato, tra i molteplici interessi di Gian Domenico Romagnosi figura proprio la risorsa idrica[99]. In particolare, la riflessione romagnosiana si articola su tre direttrici trasversali: il realismo, la dimensione sociale dell’uomo[100] e il «giusnaturalpositivismo»[101]. Il primo elemento consentì al Romagnosi di liberarsi da ogni assolutismo teorico, cercando sempre un punto di ricaduta concreto che si legasse alla seconda componente, immancabile: la socialità dell’uomo, ossia il sinolo di individualità e mutualità che consente la soddisfazione di bisogni particolari e generali. Il giusnaturalpositivismo, poi, permise al Romagnosi di osservare l’influenza del diritto positivo sui sistemi sociogiuridici, cogliendone talvolta le aporie. Tale approccio è sintetizzabile nel ricorso alla ragione, «ma è una ragione che non è fuori del tempo e dello spazio e che è volta a garantire il massimo di benessere possibile nelle condizioni date»[102]. Questa impostazione portò Giandomenico Romagnosi a differenziare il dominio «puramente naturale» e «sociale» (o civile), da quello cd. «atteggiato» (o contemperato), ricorrente «quando il singolo serve alla necessità delle cose e a sé stesso», godendo di un diritto che «non si toglie, ma solo si limita e si modifica» nell’esercizio orientato ad un fine, attraverso un «necessario contemperamento di fatti [che] non distrugge, ma pone in armonia; non indebolisce, ma anzi rinforza»[103]. Pertanto, «non è la natura del soggetto agente a determinare la natura degli atti che adotta; né la natura dei beni. Se l’acqua sia o no un “bene pubblico” non deriva dalla natura del soggetto proprietario o possessore, ma dall’uso che se ne fa. “Ogni cosa materiale, considerata in se stessa, non è pel suo concetto pubblica né privata: essa diviene tale soltanto per la relazione colla quale è rivestita”. È la destinazione del bene che ne determina la natura giuridica»[104].

La riflessione romagnosiana e l’approfondimento del Giovanetti consentono dunque di contestualizzare il bene-acqua piovana, di valutarlo per la sua natura intrinsecamente vivifica e contingente[105], per i riflessi sulla vita dei singoli e sulla sopravvivenza della società nelle condizioni date, di osservarlo (quale “bene comune globale”) sotto la lente di un realismo e di un principio funzionalistico che lo sottraggano dall’indifferenza del legislatore e lo riconsegnino alla dimensione “servente”[106] dell’autorità pubblica.

Esplicitando il pensiero oggettivista e social-funzionalista del Romagnosi, autorevole dottrina ha ribadito che «l’“incivilimento” è frutto di una pluralità di ingredienti, ivi compreso, fra tanti, quello dei Governi ma anzitutto “delle energie e della società, sotto un dato cielo e in una data terra”»[107]: nel mezzo gocce d’acqua piovana, vivifico trait d’union tra un cielo sempre più caldo e una terra sempre più brulla.

 

 

 

 

 


[1] Si registra una diminuzione pro capite della risorsa pari al 20% in venti anni. Cfr. FAO, The State of Food and Agricolture (SOFA). Overcoming Water Challenges in Agricolture, Roma, 2020, URL: http://www.fao.org/documents/card/en/c/cb1447en (consultato il 28 novembre 2020), pp. 14 e ss.. Un recente studio conferma la prospettiva di stagioni estive sempre più lunghe per l’emisfero settentrionale entro il 2100, con ulteriori perdite di capacità idrica (e, quindi, di biodiversità vegetale e animale), v. J. Wang, Y. Guan, L. Wu, X. Guan, W. Cai, J. Huang, W. Dong, B. Zhang, Changing Lenghts of the Four Seasons by Global Warming, in Geophysical Research Letters, 19 febbraio 2021, in particolare pp. 7 e ss.; v. altresì W. Buermann, M. Forkel, M. O’Sullivan, S. Sitch, P. Friedlingstein, V. Haverd, Widespread seasonal compensation effects of spring warming on northern plant productivity, in Nature, n. 562, 2018, pp. 110-115.
[2] IPCC, Special Report: Climate Change and Land: An IPCC Special Report on Climate Change, Desertification, Land Degradation, Sustainable Land Management, Food Security, and Greenhouse Gas Fluxes in Terrestrial Ecosystems, 28 novembre 2020; M. Vaquero Piñeiro, Acqua, disastri naturali e sviluppo socio-economico agli inizi del XXI secolo, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, Decennale della Rivista (2010-2020), n. 2, 2020, pp. 229-250; C.C. Funk, Drought, Flood, Fire. How Climate Change Contributes to Catastrophes, Cambridge, Cambridge University Press, 2021; L. Reyes Mason, J. Rigg (edt.), People and Climate Change: Vulnerability, Adaptation, and Social Justice, Oxford, Oxford University Press, 2019; J. Mayers, C. Batchelor, I. Bond, R.A. Hope, E. Morrison, B. Wheeler, Water Ecosystem Services and Poverty Under Climate Change. Key Issues and Research Priorities: Report of a Scoping Exercise to Help Develop a Research Programme for the UK Department for International Development, London, International Institute for Environment and Development, 2009; W. Dragoni, B.S. Sukhija (edt.), Climate Change and Groundwater, London, Geological Society of London, 2008; M.S. Reed, L.C. Stringer, Land Degradation, Desertification and Climate Change. Anticipating, assessing and adapting to future change, London, Routledge, 2016; A.K. Rathoure, P.B. Chauhan (a cura di), Current State and Future Impacts of Climate Change on Biodiversity, Pennsylvania, IGI Global, 2019; T.E. Lovejoy, L. Hannah (a cura di), Biodiversity and Climate Change. Transforming the Biosphere, New Haven, Yale University Press, 2019.
[3] V. Shiva, Le guerre dell’acqua, trad. B. Amato, Milano, Feltrinelli editore, 2004. L’Autrice, in apertura, richiama la previsione di Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale nel 1995: «Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua», p. 9; cfr. E. Bompan, M. Iannelli, Water grabbing. Guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo, Verona, EMI, 2018.
[4] UNESCO – World Water Assessment Programme, Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2019. Nessuno sia lasciato indietro, UNESCO Publishing, 2020. v. altresì H.J. Bruins, M. Arioti, Pianificazione della siccità e raccolta dell’acqua piovana per i pastori delle zone aride. Turkana e Maasai (Kenia) e Beduini del Negev (Israele) Vincoli e opportunità sociali, in La Ricerca Folklorica, No. 40, Società pastorali d’Africa e d’Asia (Ott., 1999): «La pianificazione attiva per la siccità e la raccolta dell’acqua piovana ha un grande potenziale di accrescimento dell’efficienza del sistema e della sicurezza economica per i pastori delle zone aride in condizioni di pascolo più limitate. II fattore umano e le aspirazioni della gente, tuttavia, sono critici nello sviluppo», p. 135. Anche Romagnosi è ben consapevole dei risvolti della risorsa idrica sul piano economico, reputando l’acqua tra i centri di irradiazione culturale della socialità e della «indispensabile economia», v. G.D. Romagnosi, Della ragione civile delle acque nella rurale economia, in G. Moretti (diretto da), Biblioteca agraria, Vol. XVI, Antonio Fortunato Stella e Figli, Milano, 1829, p. 60. Sul concetto di “economia fondamentale”, più recentemente, v. F. Barbera, J. Dagnes, A. Salento, Il capitale quotidiano. Un manifesto per l’economia fondamentale, Donzelli editore, Roma, 2016; A. Salento, Economia fondamentale e territorio: ‘istituzioni della felicità’, auto-organizzazione e azione pubblica, in Scienze del territorio, n. 6, 2018, pp. 85-93.
[5] Cfr. Decisione 95/308/CE, Convenzione di Helsinki: prevenire l’inquinamento dei corsi d’acqua e dei laghi internazionali; ONU, Sustainable Development Goals (SDGs); Consiglio d’Europa, Carta Europea dell’Acqua, Strasburgo, 6 maggio 1968. Per una compiuta ricostruzione del diritto umano all’acqua nel diritto internazionale, a partire dal Piano d’azione di Mar del Plata del 1977 [UN Doc. E/CONF.70/29, 1977], v. A. Piccone, Riflessioni intorno alla configurabilità di un diritto umano all’acqua, in C. Ricci (a cura di), La tutela multilivello del diritto alla sicurezza e qualità degli alimenti, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 112 e ss. Sulla “quotidianità dell’emergenza”, cfr. Commissione UE, COM(2021) 82 final del 24.02.2021: «La frequenza e la gravità degli eventi climatici e meteorologici estremi sono in aumento. Negli ultimi due decenni si è infatti registrato un aumento del numero delle catastrofi e dei conseguenti danni. Tali fenomeni estremi vanno da incendi boschivi senza precedenti a ondate di calore proprio sopra il Circolo polare artico fino a devastanti periodi di siccità nella regione del Mediterraneo, e ancora, dagli uragani che funestano le regioni ultraperiferiche dell’UE alle foreste decimate come mai prima da infestazioni di scolitidi nell’Europa centrale e orientale. Eventi a lenta insorgenza, come la desertificazione, la perdita di biodiversità, il degrado del suolo e degli ecosistemi, l’acidificazione degli oceani o l’innalzamento del livello dei mari sono ugualmente distruttivi nel lungo periodo», p. 1.
[6] Come riconosciuto in dottrina, «dal Paleolitico in poi, ogni insediamento umano [è] stato fortemente condizionato dalla possibilità di approvvigionamento idrico e le tecniche di captazione dell’acqua meteorica [hanno] dato origine a particolari forme architettoniche ed urbane. Dal Rinascimento però, salvo sporadiche apparizioni, tali sistemi sono stati tralasciati e l’attenzione si è spostata sui grandi fiumi e bacini. L’acqua piovana è stata quindi considerata come un elemento da allontanare (attraverso tombini, reti fognarie, canalizzazioni) piuttosto che da conservare e riutilizzare. […] Il divario tra nord e sud del mondo, osservato dal punto di vista idrico, sembra ulteriormente amplificato. Lo scopo della raccolta dell’acqua piovana cambia drasticamente a seconda del luogo in cui viene pensata e, mentre in Europa ci si preoccupa di come risparmiare denaro e non sprecare acqua per lavare le auto o per creare piacevoli giochi d’acqua nei parchi cittadini, nei Paesi in Via di Sviluppo la pioggia diviene mezzo essenziale di sopravvivenza e sostentamento», E.M. D’Angelo, V. Gai, rel. G. Peretti, R. Mattone, Tecnologie per il recupero dell’acqua piovana. Caso studio in Etiopia, Politecnico di Torino, Corso di laurea in Architettura, 2004. Corsivi aggiunti. Già Romagnosi segnalava la (apparentemente naturale) destinazione dell’acqua ad usi utili: «prefiggersi un benefizio o negativo o positivo forma il fine ultimo di colui che si propose di condurre un’acqua […] Prescindendo da singolari ed accidentali capricci […], hanno ed avranno gli uomini nel progettare una condotta di un’acqua, noi vediamo che la destinazione loro riducesi ad usarne per procacciare un utile, o di allontanarle, per prevenire o rimovere un danno», G.D. Romagnosi, Della ragione civile delle acque nella rurale economia, cit., p. 233, corsivi originali.
[7] E. Celi, L’abbicì dell’agricoltore. Principii dell’arte agraria esposti dal Prof. Cav. Ettore Celi per uso segnatamente delle scuole rurali, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1865, p. 158.
[8] V. infra.
[9] Cfr. G.D. Romagnosi, Della ragione civile delle acque nella rurale economia, cit.: «le acque costituiscono un oggetto sommamente interessante per tutti gli usi della vita umana […] esse formano oggetto di diritto sì pubblico che privato, attesa appunto la lor qualità interessante. “Sotto il nome di qualità interessante, s’intende la facoltà che hanno le acque o di giovare o di nuocere”. E però tanto i servigi, quanto i danni, che possono derivare dalla loro azione, formano egualmente l’oggetto della legislazione e della giurisprudenza», pp. 209-210, corsivi originali.
[10] L.V. Antisari, Costituzione chimica delle acque, Università di Bologna, 2008.
[11] Aeronautica Militare, Analisi chimica delle precipitazioni. Informazioni generali e cenni storici, in meteoam.it, http://www.meteoam.it/page/analisi-chimica-precipitazioni (consultato il 29 novembre 2020).
[12] WWAP, The 4th edition of the UN World Water Development Report (WWDR4), 2012, http://www.unesco.org/new/en/natural-sciences/environment/water/wwap/wwdr/wwdr4-2012/ (consultato il 29 novembre 2020).
[13] M. Falkenmark, Coping with water scarcity under rapid population growthPaper Presented at Conference of SADC Ministers, Pretoria, South Africa, November 1995.
[14] M. Antonelli, F. Greco, Non tutte le gocce d’acqua sono uguali, in Id. (a cura di), L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, Milano, Edizioni Ambiente, 2013, pp. 25-26.
[15] Sull’inesistenza di una “pioggia distillata”, priva di impurità, e sulla sua inutilità in campo agricolo, v. già A. Selmi, Chimica applicata all’agricoltura. Lezioni date nell’Istituto Tecnico Provinciale di Mantova. Il terreno, l’acqua e l’aria ossia i mezzi nei quali vive la natura organica. Parte seconda: l’acqua e l’aria, Milano, Natale Battezzati Editore, 1871: «l’acqua dei fiumi, quella dei laghi, quella della pioggia, o proveniente dalla neve o da altre meteore, non può considerarsi giammai come semplice e pura sostanza qual la considera nelle sue vedute il chimico. Per questo l’acqua non è che una combinazione pura e semplice di ossigeno e di idrogeno, ma le acque che esistono sulla superficie terrestre sono più o meno inquinate da sostanze che a lei sono eterogenee ed estranee. […] eziandio quelle che noi chiamiamo acque dolci, contengono costantemente delle materie, molte delle quali la rendono capace di servire ad usi pei quali non potrebbe certamente valersene se ne fosse priva. Ognuno sa che l’acqua, la quale serve nei chimici laboratorii, viene depurata colla distillazione. La evaporazione libera l’acqua stessa dai sali fissi che potrebbe contenere, la prolungata ebollizione scaccia l’aria che vi si trova costantemente disciolta. Ebbene, se noi, ad esempio, irrorassimo una pianta con acqua distillata e ben priva d’aria, vedressimo ben presto questa pianta stessa deperire, sebbene a lei non mancassero altri elementi di vita», p. 28, corsivi aggiunti; cfr. supra, nota 10. Sulla qualificazione dell’acqua come alimento per l’uomo (oltre che come condizione per la produzione di alimenti), v. Corte di Cassazione, Sez. Pen., sentenza del 28 agosto 2018, n. 39037, che definisce l’acqua «prodotto alimentare vivo e come tale […] soggetta a subire modificazioni allorché è isolata dal suo ambiente naturale e forzata all’interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l’acqua, l’aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le relazioni che in natura l’acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o ad esposizione continua ai raggi del sole», corsivi aggiunti. In dottrina, cfr. B. Biscotti, E. Lamarque (a cura di), Cibo e acqua. Sfide per il diritto contemporaneo, Torino, Giappichelli, 2015.
[16] Rendendo così superfluo l’utilizzo massiccio di fertilizzanti artificiali e inquinanti. Cfr. I. Wright, J. Reynolds, I’ve Always Wondered: is rain better than tap water for plants?, in The Conversation, https://theconversation.com/ive-always-wondered-is-rain-better-than-tap-water-for-plants-109714 (consultato il 29 novembre 2020); J.S. Schepers, W. Raun (edt.), Nitrogen in Agricultural Systems, in American Society of Agronomy, 2008. Non a caso l’art. 74, comma I, lett. aa) del d.lgs. 152/2006, definisce “fertilizzante” «le sostanze contenenti uno o più composti azotati».
[17] L. Tombesi, Ricerche sulla evapotraspirazione e sulla fotosintesi compiute negli anni 1967 e 1968, Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante, 1969; L.M. Luiselli, Management (for Biodiversity) of Forest and other wooded Habitats, in F. Gherardi, C. Corti, M. Gualtieri (edt.), Biodiversity Conservation and Habitat Management, Vol. I, Oxford, Eolss Publischers Co. Ltd., 2009; C.B. Cox, P.D. Moore, R.J. Ladle, Biogeography. An Ecological and Evolutionary Approach, Hoboken, John Wiley & Sons, 2016; Y. Gauslaa, Rain, dew, and humid air as drivers of morphology, function and spatial distribution in epiphytic lichens, in The Lichenologist, 46(1), 2014.
[18] Cfr. Considerando nn. 28 e 29, che aggiungono: «Ciononostante, dovrebbero essere ammesse alcune pratiche colturali che non sono legate al suolo, come la produzione di semi germogliati o cespi di cicoria e la produzione in vaso di piante ornamentali e di erbe aromatiche che sono vendute in vaso al consumatore, per le quali il principio della coltura di vegetali nel suolo non è adatto o non vi è il rischio che il consumatore sia tratto in inganno per quanto concerne il metodo di produzione. Al fine di facilitare la produzione biologica in una fase precoce della crescita dei vegetali, dovrebbe anche essere permessa la coltivazione in contenitori di plantule o piante da trapianto per successivo trapianto». Il Regolamento è consultabile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32018R0848&rid=1 (consultato il 20 dicembre 2020).
[19] Più approfonditamente, sull’indissolubilità del rapporto tra fattori naturali e sociali nei sistemi socio-ecologici, e con particolare riferimento al tema della diversità alimentare, v. M. Monteduro, Diritto dell’ambiente e diversità alimentare, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, 1, 2015. Sull’importanza dell’umidità, delle risorse idriche e dell’evapotraspirazione per il contesto climatico italiano, v. Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, 19 aprile 1999, “Codice di Buona Pratica Agricola”. Infine, sulla stretta correlazione tra surriscaldamento globale e dislocate (oltre che intensificate) precipitazioni e fasi siccitose, v. E. Gray, J. Merzdorf, Earth’s Freshwater Future: Extremes of Flood and Drought, in www.climate.nasa.com, 13.06.2019 («Warming temperatures and changing precipitation patterns can lead to droughts, and NASA research shows that humans have been influencing global patterns of drought for nearly a century); K.E. Trenberth, The Impact of Climate Change and Variability on Heavy Precipitation, Floods, and Droughts, in Encyclopedia of Hydrological Sciences, 13.06.2008.
[20] Cfr. F. Caporale, Acque Pubbliche ed acque private tra Otto e Novecento, in M. Galtarossa, L. Genovese (a cura di), La città liquida, la città assetata, Roma, Editrice Palombi, 2014, in particolare pp. 253-254, note 1 e 2. Nello stesso senso “cristallizzante”, anche l’odierno art. 822 c.c., secondo cui: «Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale».
[21] Id., op. cit.
[22] Legge sui Lavori Pubblici, Titolo III, Delle acque soggette a pubblica amministrazione, artt. 91 e ss. Uno dei punti di maggiore frizione tra i due provvedimenti normativi era il seguente: «il primo consentiva ai privati la libera utilizzazione dei corsi d’acqua minori; il secondo ammetteva l’uso privato di acque pubbliche solo in virtù di concessione della pubblica amministrazione», Id., op. cit., p. 254.
[23] Id., op. cit., p. 256. Cfr. A. Mazza, La teorica delle acque pubbliche, in Digesto Italiano, Torino, UTET, 1900.
[24] Cfr. Corte di Appello di Catania, sentenza 13 aprile 1883.
[25] In questo senso, richiamando le principali opere dei due giuristi (G.D. Romagnosi, Della condotta delle acque, in A. De Giorgi (a cura di), Della condotta delle acque e della ragione civile delle acque. Trattati di Gian Domenico Romagnosi riordinati da Alessandro De Giorgi, Milano, 1843, pp. 9-1164; G.D. Romagnosi, Della ragione civile delle acque nella rurale economia, in A. De Giorgi (a cura di), Della condotta delle acque, cit., pp. 1167-1551; G. Giovanetti, Del regime delle acque (1844), Venezia, 1873, ristampa anastatica, Novara, 1989; Id., Entwurf eines Gesetzes über die Benutzung des Wassers, in Kritische Zeitschrift für Rechtwissenchaft und Gestetzgebung des Auslandes, XVI, 1844, pp. 467-481, Id., Memoria e gli altri lavori per il Codice civile albertino), F. Caporale, op. cit., pp. 257-258. Sull’attualità di G.D. Romagnosi e del criterio funzionalista, v. G. Rossi, L’attualità di G.D. Romagnosi nell’eclissi dello statalismo. Considerazioni sul passato e sul futuro del diritto amministrativo, in Diritto pubblico, n. 1, gennaio-aprile 2012: «Nel leggere le opere di Romagnosi quanto bastava per svolgere la relazione, mi sono imbattuto in vere e proprie sorprese […] che ho chiamato le ‘perle’ di Romagnosi: una serie di proposizioni di particolare attualità, principi che sono stati elaborati negli ultimi tempi, a partire da un approccio funzionalista e oggettivista che è considerato un’acquisizione recente della scienza giuridica», p. 8. Il saggio è oggi raccolto in F. Goggiamani, F. Grassi, Il diritto amministrativo nella evoluzione della scienza giuridica. Saggi e scritti scelti di Giampaolo Rossi, Vol. II, Giappichelli, Torino, 2019.
[26] F. Caporale, Acque pubbliche ed acque private, cit., p. 257. Si rimanda alle conclusioni del presente scritto per alcuni considerazioni sull’utilità e l’attualità di un criterio interpretativo funzionalista, sì mobile ma sempre oggettivo e legato al dato reale. Cfr. altresì Id., L’attività giuridica in materia di acquee il codice civile del 1865: tra inadeguatezza funzionale della legislazione e interpretazione “progressiva” della norma giuridica, in L. Moscati (a cura di), Dialettica tra legislatore e interprete dai codici francesi ai codici dell’Italia unita, Jovene, Napoli, 2013, pp. 33-74.
[27] G.D. Romagnosi, Della ragione civile delle acque nella rurale economia, in G. Moretti (diretto da), Biblioteca Agraria, Vol. XVI, Antonio Fortunato Stella e Figli, Milano, 1829, pp. 8-9: «Considerando solamente la natura e le leggi fisiche delle acque ognuno si accorge che il loro regime economico e giuridico non può essere regolato intieramente coi principj coi quali si dispone di un pezzo di podere o dell’area di una casa. […] La natura stabilì una data comunione di questo elemento, nell’atto che lo rese necessario alla vita vegetabile ed animale, oltre alle altre funzioni ed ai servigi prestati agli uomini. […] Il riguardar l’acqua come cosa di mezzo fra i beni stabili ed i mobili è un concetto troppo meschino, troppo gretto e troppo sterile di dettami veramente sociali. Oltreché non qualifica a dovere il diritto fondamentale moderatore dell’uso; oltrecché non fa risaltare i rapporti di ragion pubblica che si vanno col tempo vieppiù moltiplicando, egli non lascia intravedere quanto importi una tacita associazione di servigi fra molti possessori liberi e fra loro indipendenti di fondi irrigatorj».
[28] F. Caporale, Acque pubbliche ed acque private, cit., p. 258. Cfr. altresì con la nota 36 della stessa opera. Sulla graduale svolta “sociale” della pubblica amministrazione, nel cui quadro si inserisce la ricostruzione del Giovanetti, v. P. Grossi, Scienza Giuridica Italiana. Un profilo storico. 1860-1950, Giuffrè, Milano, 2000: «la scienza giuspubblicistica italiana, già negli ultimi anni dell’Ottocento e maggiormente nei primi del secolo nuovo, fu chiamata a prendere atto e a darsi carico di sviluppi e modificazioni che coinvolgevano in misura sempre maggiore la persona giuridica statuale. Il soggetto semplice – o assai più semplice – di ieri era divenuto e stava sempre più divenendo una realtà complessa a causa della moltiplicazione dei rapporti fra Stato e sudditi, la quale aveva provocato una dimensione relativamente nuova: l’attività sociale dello Stato stesso», pp. 79-80.
[29] Si veda ad esempio Corte di Cassazione, Roma, sentenza del dicembre 1910, Udienza 21 dicembre 1910; Pres. Pagano Guarnaschelli P. P., Est. Faggella, P. M. De Feo (concl. contr.); Ministeri dei lavori pubblici e delle finanze (Avv. erar. Panzarasa) c. Comune d’Isola del Gran Sasso d’Italia (Avv. Preda), in Il Foro Italiano, Vol. 36, Parte prima: giurisprudenza civile e commerciale, 1911.
[30] Cfr. O. Ranelletti, Concetto, natura, e limiti del demanio pubblico. Capitolo III: Teoria, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XXV, 1898, ora in Id., Scritti giuridici scelti. IV. I beni pubblici, Napoli, Jovene, 1992.
[31] Un cambio di paradigma che però, ancora una volta, escluse dal novero della demanialità-pubblicità le acque piovane. Basti pensare che precedentemente, nel D.lgt. del 20 novembre 1916, n. 1664, sulle derivazioni di acque pubbliche, le precipitazioni vennero considerate mero elemento atmosferico da smaltire e far defluire con velocità; cfr. supra nota 6.
[32] Corsivi aggiunti.
[33] Corte di Appello di Catania, 13 aprile 1883, in Foro Italiano, IX. 1884, I, pp. 411 e ss.; cfr. altresì Corte di Cassazione di Torino, 9 settembre 1909, in La giurisprudenza: collezioni di sentenze della corte d’appello di Torino e di altre corti e tribunali, XLVII, 1910.
[34] «secondo il quale doveva procedersi, ai fini della ricognizione di ciò che fosse corso d’acqua maggiore o minore, alla valutazione delle opinioni degli studiosi di storia e geografia, nonché degli abitanti dei luoghi ove il fiume scorreva», v. F. Caporale, op. cit., pp. 259 e ss. Sul ricorso al criterio funzionale da parte del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche v. U. Pototschnig, Vecchi e nuovi strumenti nella disciplina pubblica delle acque, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1969, p. 1016. Il riferimento al criterio dell’existimatione circumcolentium testimonia la vicinanza al concretismo e al funzionalismo del Romagnosi, cfr. Della ragione civile delle acque nella rurale economia, cit.
[35] Dal novero, ampio e flessibile, restarono ancora escluse le acque piovane.
[36] C. Cass. S.U., 27 luglio 1999, n. 507; C. Cass., 11 gennaio 2001, n. 315; C. Cass. Pen., 9 aprile 2012, n. 12998.
[37] Lo stesso relatore della legge ebbe modo di affermare, infatti, che «con la dichiarazione (di pubblicità di tutte le acque) contenuta all’art. 1 non si è tanto voluto “statalizzare” ciò che era nella disponibilità privata, bensì recuperare – per quanto possibile – la nozione introdotta dal “rapporto Brundtlant” di “beni comuni globali” (oceani, spazio cosmico, ecc.). Nel nostro caso in particolare, si tratta di far emergere una questione su cui lo stesso rapporto Brundtlant tace: quella del dominus. Nel sistema giuridico la nozione di bene è infatti legata a quella di dominus. Non c’è quindi dubbio che occorre sciogliere il nodo legato alla individuazione dei soggetti titolari del “dominio” sui beni ambientali: gli stati oppure i cittadini del pianeta? La generazione presente o anche le generazioni future? È evidente come in prospettiva vi sia la necessità di un diritto comune internazionale intorno ai beni non definibili in senso classico, ma che svolgono una funzione insostituibile ed il cui valore è pari a quello che si può attribuire alla vita. Allora dichiarare la natura pubblica della risorsa acqua non significa tanto “statalizzare” quanto porsi in questa nuova prospettiva per una forma di Stato che consenta di attuare i principi di solidarietà economica e sociale per realizzare uno sviluppo sostenibile. Si profila così la concezione di uno Stato portatore di valori non immanenti alle presenti generazioni ed aperto al superamento di tutti i confini. In conclusione, porre i principi dell’art. 1 a fondamento della riorganizzazione dei servizi idrici significa introdurre nella legislazione e nella prassi amministrativa precisi valori (morali ed ambientali) capaci di guidare in modo coerente e rigoroso gli usi della risorsa-acqua e dei servizi connessi», v. G. Galli, Introduzione, in C. Greco, U. Mastelloni (a cura di), La nuova legge sulle risorse idriche. Legge 5 gennaio 1994 n. 36, Roma, 1994, pp. 32 ss. Per un puntuale commento in dottrina si veda M. Francaviglia, R. Miccù, Le forme giuridiche dell’acqua. Le dimensioni costituzionali di uno strumento di coesione sociale e territoriale, Torino, Giappichelli, 2019, secondo cui: «La tutela della demanialità della risorsa, nella legge Galli, non passa attraverso un ripensamento dei profili proprietari, ma più coerentemente per quelli del suo impiego. Quest’ultimo, infatti, nella vigenza del Testo Unico del 1933, è stato garantito nel modo più completo e diretto, tanto da tracimare in uno sfruttamento delle risorse idriche – sia in termini di prelievo che di scarichi inquinanti – che non teneva in debito conto l’esauribilità delle stesse e l’impatto ambientale dei relativi abusi», p. 9.
[38] C. Cost., 10 luglio 1996, n. 259. Cfr. altresì C. Cost., 12 dicembre 1996, n. 419.
[39] D.lgs. 152/06, art. 144, comma I.
[40] Art. 136, d.lgs. 152/2006: «Fatte salve le disposizioni del PIT, dei piani strutturali, dei piani operativi e dei regolamenti edilizi e, comunque, nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni di cui al Codice, i seguenti interventi sono eseguiti senza titolo abilitativo: […] g) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, nel rispetto delle disposizioni regionali e comunali in materia di contenimento dell’impermeabilizzazione del suolo, compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque a fini irrigui, volumi tecnici interrati e locali tombati consimili». Corsivi aggiunti.
[41] Una possibile ragione della storica esclusione dell’acqua piovana dal discorso pubblicizzante può rinvenirsi nello sfruttamento della risorsa idrica (superficiale e sotterranea) per opifici e trasformatori di energie idroelettrica, sviluppatisi a partire dalla prima metà del secolo. In dottrina cfr. L. Moscati, In materia di acque. Tra diritto comune e codificazione albertina, Roma, 1993; Id., Le concessioni di acque tra Diritto comune e codificazione unitaria, in Società Italiana di Storia del Diritto, I rapporti contrattuali della pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica. Congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto (Torino, 17-19 ottobre 1994), Napoli, 1997; cfr. F.S. Nitti, La conquista della forza. L’elettricità a buon mercato. La nazionalizzazione delle forze idrauliche, Torino-Roma, 1905. In questo senso anche F. Pacelli, Le acque pubbliche, Padova, Cedam, 1934 che, commentando la prima la legge sulla derivazione di acque pubbliche (n. 2644 del 1884), ne riconosce l’insufficienza in quanto «essa era emanata quando non si potevano neanche prevedere i meravigliosi progressi che la scienza italiana avrebbe compiuto nell’elettro-tecnica, nel trasporto dell’energia elettrica a distanza e nelle derivazioni per produzione di forza motrice, per l’irrigazione e per la bonifica», p. 58. Sulla cd. “Riforma Bonomi”, che abrogò la legge 2644 del 1884 e recuperò l’acqua quale «primo nucleo della nuova categoria dei beni nazionali di primo grado, costituita da beni capaci per sé stessi di soddisfare direttamente, quale capitale nazionale, ai bisogni dell’economia collettiva del paese, in vista di nuovi scopi di nazionalismo economico», v. L. Ratto, Il nuovo regime legale delle acque pubbliche, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, Vol. 73, Fasc. 289 (31 Gennaio 1917), p. 6.
[42] Cfr. art. 822 c.c. Cfr. L. Moscati, I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica, Jovene, Napoli, 1997, pp. 320 e ss.
[43] Come è stato affermato in dottrina, «diverse pronunce della Suprema Corte […] partono da una costante premessa fondamentale: i criteri distintivi tra acque pubbliche e acque private hanno subìto, nel tempo, sotto il profilo storico, una evoluzione progressiva con una sempre più spiccata caratterizzazione dell’interesse pubblico, correlata all’aumento dei fabbisogni, alla limitatezza delle disponibilità ed ai rischi concreti di penuria per diversi usi tra cui anche quelli apicali che hanno avuto, pure a seguito della introduzione di nuove tecnologie, un notevole incremento, ma è rimasto fermo il concetto secondo cui l’attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse “è elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche ad ogni specie di acqua” (art. 1, r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775)», v. F. Mazza, Sulla natura giuridica dell’acqua corrente nei fossi interrati (Nota a Cass. sez. III pen. 5 aprile 2012, n. 12998), in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, fasc. 5, 2013, p. 319. In questo senso si era già espressa la Corte Costituzionale, con sentenza n. 273 del 22 luglio 2010, secondo cui «se tutti hanno diritto di accedere all’acqua, l’aspetto dominicale della tutela si colloca in secondo piano rispetto alla primaria esigenza di programmare e vigilare sulle ricerche e sui prelievi, allo scopo di evitare che impossessamenti incontrollati possano avvantaggiare determinati soggetti a danno di altri o dell’intera collettività».
[44] Corsivi aggiunti.
[45] In questo senso si esprimeva il d.P.R. n. 238 del 1999, il cui art. 1 affermava che: «1. Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica a tutte le acque piovane non ancora convogliate in un corso d’acqua o non ancora raccolte in invasi o cisterne. 3. Ai sensi dell’articolo 28, commi 3 e 4, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, la raccolta delle acque di cui al comma 2 in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici è libera e non è soggetta a licenza o concessione di derivazione, ferma l’osservanza delle norme edilizie e di sicurezza e di altre norme speciali per la realizzazione dei relativi manufatti, nonché delle discipline delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di trattamento e di depurazione delle acque». Corsivi aggiunti.
[46] Cfr. supra, nota 6.
[47] Corsivi aggiunti al fine di evidenziare come i volumi d’acqua presi in considerazione dalla norma sono esclusivamente quelli appartenenti al demanio, seppur oggetto di concessione. E comunque, l’unico limite posto dal legislatore sembra gravare, ai sensi dell’art. 168 del d.lgs. 152/2006, sulle centrali idroelettriche, i cui volumi d’acqua (si ribadisce, oggetto di concessione) sono sottoposti a disciplina pubblicistica in ragione di situazioni di emergenza o scarsità idrica. Tale potenziale vulnus è comunque mitigato, per quanto qui interessa, dalla circostanza che il provvedimento di rilascio d’acqua già invasata a scopo idroelettrico è illegittimo «ove non compari, con adeguata motivazione, l’interesse dei concessionari per uso irriguo con quello dei concessionari per uso idroelettrico, perché le acque già invasate non sono disciplinate dall’art. 167 cit., il quale prende in esame solo le “derivazioni in atto”», v. Cass. Civ., SS.UU., sentenza del 14 maggio 2009, n. 11194.
[48] «(Fattispecie nella quale il reo aveva deviato il deflusso delle acque meteoriche, ostruendo un preesistente canale con l’impiego di fascine e terriccio)», G. Lattanzi, M. Lo Piano, Codice penale. Ultime annotazioni giurisprudenziali, Milano, Giuffrè, 2010, p. 359.
[49] Cass. Pen., Sez. II, 12 giugno 2009, n. 24503.
[50] N. Enrichens, Le acque private, in Agricoltura istituzioni mercati, n. 1, 2016, issue 1, pp. 120-134. Sottolinea l’aporia dell’approccio normativo della legge Galli G. Sanna, L’acqua: dai modelli storici spunti per alcune riflessioni sul regime e sulla tutela giuridica di un bene ambientale, in GIURETA. Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. X, 2012, p. 446, secondo cui:  «l’art. 1 della legge Galli suscitò da subito diverse reazioni, che traevano spunto principalmente dall’assolutezza del criterio nella medesima adottato: qualora applicato alla lettera, avrebbe potuto condurre tanto all’inclusione nel novero delle acque pubbliche persino di modestissime distese di acqua, del tutto inidonee ad usi di generale interesse quanto, soprattutto – in virtù del principio di accessorietà – a rendere nel contempo pubblici anche i terreni su cui le medesime si trovassero».
[51] Cfr. B. Black, D.L. Lybecker, Great Debates in American Environmental History, Santa Barbara, California (USA), Greenwood Press, 2008; R. Nadeau, The Water War, in American Heritage, Vol. 13, Issue 1, 1961; K.L. Archer, Unruly Waters. A Social and Environmental History of the Brazos River, Albuquerque, University of New Mexico Press, 2015.
[52] Sul punto si veda il primo paragrafo e la prefazione a cura di P.J. Coombes in R. Avis, M. Avis, Essential Rainwater Harvesting: A Guide to Home-Scale System Design, Gabriola Island, BC Canada, New Society Publischers, 2018.
[53] V. J. Yudelson, Dry Run. Preventing the Next Urban Water Crisis, Gabriola Island, BC Canada, New Society Publischers, 2010; R. Maliva, T. Missimer, Arid Lands Water Evaluation and Management, Heidelberg, Springer-Verlag, 2012. Sull’applicazione dell’antico principio della prior appropriation, ancora attuale in alcuni Stati, v. S.C. Wiel, Water Rights in the Western States, Creative Media Partners, LLC, 2018; J.W. Johnson, United States Water Law. An Introduction, Boca Raton-London-New York, CRC Press, 2009; R.W. Adler, R.K. Craig, N.D. Hall, Modern Water Law. Private Property, Public Rights, and Environmental Protections, Foundation Press, 2018.
[54] Gli unici limiti nella costruzione di infrastrutture idriche per la raccolta di acqua piovana sono di natura edilizia, cfr. Stato dell’Oregon, ORS 455.060.
[55] Cfr. State of Rhode Island, House Bill 2012 – H 7070, Relating to taxation — personal income tax, che prevede un credito di imposta pari al 10% del costo di installazione per vasche di raccolta in uso a privati. Il North Carolina, invece, con l’House Bill 609 ha predisposto «an act to promote the development of water supply reservoirs and other water supply resources, to provide that funds from the clean water management trust fund may be used to preserve lands for the development of water supply reservoirs, and to improve the efficiency of use of North Carolina’s water resources». In Virginia, il Senate Bill 1416 del 2001 fornisce un credito d’imposta sul reddito a favore di chi installi infrastrutture di rainwater harvesting.
[56] S. Rahman, M.T.R. Khan, S. Akib, N. Bin Che Din, S.K. Biswas, S.M. Shirazi, Sustainability of Rainwater Harvesting System in terms of Water Quality, in Scientific World Journal, 18.02.2014, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3948194/ (consultato il 2 dicembre 2020).
[57] «Rainwater harvesting is a multipurpose way of supplying usable water to consumers during a crisis period, recharging the groundwater and finally reducing the runoff and water logging during the season of heavy rainfall», Id., op. cit.
[58] State of California, Rainwater Capture Act of 2012, 10574.
[59] State of California, Rainwater Capture Act of 2012, 10573.
[60] Cfr. NCSL, State Rainwater Harvesting Laws and Legislation, National Conference of State Legislatures, 2 febbraio 2018, https://www.ncsl.org/research/environment-and-natural-resources/rainwater-harvesting.aspx (consultato il 3 dicembre 2020). Con il primo atto venne consentito a determinati tipi di proprietari di pozzi di utilizzare l’acqua piovana; con il secondo, invece, furono avviati progetti pilota di sviluppo corredati da linee guida statali.
[61] State of Georgia, Georgia State Amendments to the International Plumbing Code, Chapter 15, 1501.1.
[62] State of Georgia, Georgia State Amendments to the International Plumbing Code, Chapter 15, 1501.2.
[63] State of Illinois, Green Infrastructure for Clean Water Act, Public Act n. 096-0026, Section 10, (a).
[64] State of Illinois, Green Infrastructure for Clean Water Act, Public Act n. 096-0026, Section 10, (b)(6).
[65] State of Illinois, Green Infrastructure for Clean Water Act, Public Act n. 096-0026, Section 5.
[66] Sull’importanza di un riscontro oggettivo-reale nella gestione delle acque, cfr. §4.
[67] Sottoposto al vaglio della Section of the Division of Water Resources of the State Department of Conservation and Natural Resources per l’approvazione.
[68] Cfr. State of Nevada, Assembly Bill no. 198 – Assemblymen. Oscarson and Wheeler, february 26, 2015.
[69] «The board of county commissioners of a county, the governing body of a city and the town board or board of county commissioners having jurisdiction of the affairs of a town».
[70] Corsivi aggiunti. Sui limiti alla raccolta di acqua piovana da parte dei privati si esprime implicitamente lo stesso atto, laddove prevede che «the Department shall develop policies and procedures to promote the voluntary adoption and installation of gray water systems», senza nulla aggiungere riguardo i rainwater harvesting systems.
[71] «an act to designate reclaimed water as a source water under certain conditions».
[72] Non si intende sindacare in questa sede l’opportunità e l’adeguatezza (sociale ed ambientale) della soluzione adottata dal legislatore del North Carolina. Preme invece sottolineare l’esistenza di una disciplina pubblicistica per l’uso delle acque piovane che, ex post, può avviare un concreto dibattito circa la nozione di “acceptable uses”, ad oggi impraticabile in Italia.
[73] Ancora, sull’attinenza al dato reale, v. infra §4.
[74] Texas Water Development Board, The Texas Manual on Rainwater Harvesting, III ed., Austin, TX, 2005.
[75] Cfr. H. Krishna, An overview of rainwater harvesting systems and guidelines in the United States. Proceedings of the First American Rainwater Harvesting Conference, Austin, TX, 2003.
[76] Si potrebbe dire res nullius. Si veda State of Utah, Senate Bill n. 32.
[77] Sul criterio oggettivo-funzionalista cfr. supra §2 e infra §4.
[78] L. Moscati, In materia di acque. Tra diritto comune e codificazione albertina, Roma, 1993, pp. 122-141. Attraverso lo strumento concessorio l’autorità pubblica stimolava il privato a perseguire e trarre dalla risorsa idrica vantaggi economici personali, ma sempre nel rispetto dell’interesse pubblico generale v. M.S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1, 1973; M. D’Alberti, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, Jovene, 1981; E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Milano, Giuffrè, 2012, in particolare pp. 441 e ss.; A. Maestroni, Il deflusso minimo vitale, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Vol. I. Le concessioni idroelettriche, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 143 e ss.
[79] G.D. Romagnosi, Della ragion civile delle acque, cit., p. 15: «moderazione, sicurezza ed ajuto di vita sociale sono per cui viene abilitato ed assicurato l’esercizio della economica libertà».
[80] «2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. 3. La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici; 4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità».
[81] Cfr. G. Caparezza Figlia, Oggettivazione e godimento delle risorse idriche. Contributo a una teoria dei beni comuni, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008, pp. 18 e ss.
[82] Gli unici interventi legislativi in punto di raccolta dell’acqua piovana afferiscono alle Regioni, cfr. ad esempio L.R. Puglia 10 giugno 2008, n. 13, oppure l’art. 9 della L.R. Umbria, 18 novembre 2008, n. 17. Tali atti normativi, tuttavia, concernono il cd. “abitare sostenibile”, e predispongono una serie di principi e criteri che qualifichino e incentivino la realizzazione di moduli abitativi in grado di garantire il ciclo dell’acqua blu e dell’acqua verde. Un accenno è conservato anche nei Programmi di Sviluppo Rurale Regionali, cfr. a titolo esemplificativo la Priorità 5, punto 2, del PSR della Regione Toscana, che intende incentivare il «Ripristino di piccoli bacini per l’accumulo di acque piovane e superficiali, sviluppo di progetti di riuso a scopi irrigui delle acque reflue depurate e il rimpinguamento artificiale delle falde per la valorizzazione delle acque meteoriche e superficiali e, per la diminuzione della pressione sui corpi idrici sotterranei». La stessa Regione tuttavia, quasi ossimoricamente, con Regolamento 16 agosto 2016, n. 61/R nega il rilascio di concessioni di derivazione di acque pubbliche qualora il richiedente possa soddisfare le proprie esigenze, sotto il profilo della fattibilità tecnica e della sostenibilità economica, «mediante l’impiego, anche cumulativo, di: a) acqua proveniente da sistemi di raccolta di acque piovane» (art. 4). In senso ancora più netto verso la qualificazione dell’acqua piovana come res nullius: «1. Sono esenti dalla corresponsione del canone, in quanto non subordinate al rilascio di concessione o licenza di uso annuale, oppure licenza di attingimento, gli usi e i prelievi di seguito indicati: […] b) l’uso di acqua piovana comunque raccolta in invasi o cisterne, indipendentemente dal volume e dall’uso che ne viene fatto» (art. 15, L.R. 16 agosto 2016, n. 61/R.).
[83] V. supra.
[84] V. E. Boscolo, op. cit.; A. Pioggia, Acqua e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, Giappichelli, 2011; M. D’Alberti, Concessioni amministrative, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988; A. Longo, L. Cicirello, Città metropolitane e pianificazione di area vasta. Prospettive di governo territoriale per la gestione delle metamorfosi urbane, Milano, Franco Angeli, 2015; N. Lugaresi, J. Bercelli, A. Fieramosca, Revoca o modifica delle concessioni idriche per motivi di compatibilità ambientale, in Rivista Giuridica di Urbanistica, 4, 1998; N. Stolfi, Le derivazioni eventuali e future di acque pubbliche, Torino, 1915; A. Russo (a cura di), L’acqua del rubinetto. Water Safety Plan: innovazione e sicurezza, Firenze, goWare & Edizioni Guerini e Associati, 2018.
[85] V. Scialoja, Del divieto degli atti emulativi in materia d’acque, in La Legge: Monitore giudiziario ed amministrativo, III, 1879, pp. 235 ss. Sulla “utilità” degli scopi, v. F. Caporale, I servizi idrici. Dimensione economica e rilevanza sociale, Milano, Franco Angeli, 2017, pp. 96 e ss. Cfr. altresì Id., L’attività giuridica in materia di acquee il codice civile del 1865, op. cit., in part. pp. 73-74: «Si può giungere, dunque, ad una duplice riflessione: in primo luogo, l’acqua, elemento naturale attorno a cui le comunità ed i rapporti sociali si creano e si consolidano, ha obbligato – ed obbliga – il giurista a farsi sociologo ed etnologo, a guardare agli elementi sociali, culturali ed alle necessità pragmatiche. In secondo luogo, questa peculiarità ha influenzato il metodo ed i contenuti della cultura giuridica in materia di acque: nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, i giuristi e gli operatori del diritto hanno mostrato di possedere piena consapevolezza della inversione concettuale del classico percorso di definizione della tassonomia dei beni pubblici. Infatti, il dibattito scientifico non si è incentrato sul regime proprietario, pubblico o privato, e sulla sua classica configurazione teorica, cui far seguire una disciplina giuridica predeterminata; al contrario, ha avuto quale riferimento principale le esigenze pratiche e la natura fisica del «bene acqua», nonché le utilità concrete che esso era in grado di soddisfare, in conseguenza delle quali la dottrina ha modellato gli istituti relativi alle risorse idriche. Tale impostazione, innovativa e arguta, fu destinata a trovar fortuna: fu ripresa ed utilizzata, infatti, seppur con sorti alterne, anche nel dibattito attorno alla definizione degli altri beni pubblici nei decenni immediatamente successivi».
[86] Lo stesso Giandomenico Romagnosi, in Della ragion civile delle acque nella rurale economia, ripercorrendo le tappe evolutive della disciplina civile (ossia, nelle sue intenzioni, di natura pubblica e privata) per la gestione delle acque pubbliche, afferma che: «la lega perpetua del diritto pubblico col privato forma l’eccellenza suprema della legislazione civile di quel popolo meraviglioso [quello dell’antica Roma] il quale ebbe la fortuna col concorso di una popolazione così ampia di poter esaminare migliaja e migliaja di casi, ed applicarvi i principj e pronunziare decisioni nutrite con tutte le vedute dell’uomo di stato, e sfuggire gli scheletri fatali delle speculative astrazioni», p. 48. Ancora: «i Romani si possono considerare come i temosfori della miglior parte del mondo: ma il trionfo della loro dottrina non potè essere che l’opera lenta e penosa del tempo. La lotta che il popolo romano dovette sostenere per ottenere il jus equum bonum da’ suoi ottimati si rinnovò nelle genti europee contro i conquistatori; talché nella ripigliata civiltà più presto o più tardi, più in un luogo che in un altro questa lotta divenne più o meno inevitabile onde giungere finalmente alla bramata equità, pace e sicurezza», p. 49.
[87] Cfr. M.F. Cursi, Il divieto degli atti di emulazione: le contestate origini romane di un principio moderno, in F. Reinoso Barbero (coord.), Principios generales del derecho. Antecedentes históricos y horizonte actual, Madrid, Thomson Reuters Aranzadi, 2014, a cui si rimanda per un’analisi intorno ai significati di aemulatio nel diritto romano.
[88] Id., op. cit., p. 619, con riferimento a V. Scialoja, voce Aemulatio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, I, parte II, Sezione Prima, 1892.
[89] V. M.F. Cursi, op. cit., p. 620. Corsivi aggiunti.
[90] Intesa anche come acqua piovana, v. infra e cfr. F. Vallocchia, Aqua publica’ e ‘aqua profluens, in Diritto@Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, n. 10, 2011-2012; A. Dani, Il concetto giuridico di “beni comuni” tra passato e presente, in Historia et ius. Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, n. 6, 2014, paper 7.
[91] Id., op. cit., p. 7.
[92] F. Vallocchia, Aqua publica’ e ‘aqua profluens, cit.
[93] G. Lobrano, Uso dell’acqua e diritto nel Mediterraneo. Uno schema di interpretazione storico-sistematica e de iure condendo, in Diritto@Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, n. 3, Maggio 2004. Corsivi aggiunti. Lo stesso approccio è stato adottato dall’art. 2, punto 3 della direttiva quadro sulle Acque (2000/60/CE), secondo cui per «acque interne» si intendono «tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali», corsivi aggiunti. Il considerando n. 17, tuttavia, evidenzia una prospettiva di stampo economico o comunque poco olistica, focalizzata sul solo ecosistema acquatico («Una politica delle acque efficace e coerente deve tener conto della fragilità degli ecosistemi acquatici vicini alla costa o alle foci di fiumi, o in golfi o mari relativamente chiusi, in quanto il loro equilibrio è molto influenzato dalla qualità delle acque interne che ricevono. La tutela dello stato delle acque in un bacino idrografico porta vantaggi economici contribuendo alla protezione delle popolazioni ittiche, anche costiere»). Il legislatore comunitario riconnette la ratio della direttiva alle esigenze di «protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili» e allo scopo di «mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità», secondo canoni di equilibrio, equità e sostenibilità, solo all’interno delle lettere b) ed e) dell’art. 1 della medesima direttiva.
[94] M. Fiorentini, L’acqua da bene economico a ”res communis omnium” a bene collettivo, in Analisi Giuridica dell’Economia, n. 1, 2010, pp. 50 ss.
[95] M.F. Cursi, op. cit., p. 621: «Diversamente dallo spazio privato, il lido del mare è comune e dunque la preoccupazione di farne uso secondo regole di reciproco rispetto non dovrebbe giustificare il rinvio al divieto degli atti emulativi — come giustamente ha posto in luce Scialoja. Ma, per quanto si è sinora sostenuto, la natura di res communis del lido lo rende occupabile da chiunque nelle forme dell’appartenenza individuale. Chi costruisce sui litora deve preoccuparsi, perché ha occupato un suolo pubblico, di astenersi da atti che possano nuocere all’uso di un bene potenzialmente aperto a tutti gli altri cives — talora anche nelle forme dell’appropriazione individuale. Fatta questa premessa sulla configurazione della fattispecie, va detto però che la testimonianza pone quale limite al godimento del bene comune, anche nella forma dell’appropriazione individuale, l’incommodum per i terzi. Al di là dell’oggettiva lesione dell’interesse del terzo, non è possibile trarre alcuna altra indicazione dal testo che possa indirizzare verso l’atto emulativo».
[96] V. Scialoja, voce Aemulatio, op. cit., p. 439.
[97] F. Furfaro, Recezione e traduzione della Pandettistica in Italia tra Otto e Novecento. Le note italiane al Lehrbuch des Pandektenbrechts di B. Windscheid, Torino, Giappichelli, 2016, p. 293.
[98] Ex multis, cfr. S. Rodotà, I beni comuni. L’inaspettata rinascita degli usi collettivi, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2018; M.R. Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, Ombre Corte, 2012, in particolare pp. 110 e ss.; N. Capone, Lo spazio e la norma. Per una ecologia politica del diritto, Verona, Ombre Corte, 2020, in particolare pp. 106-107; F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Napoli, Editoriale scientifica, 2010; M. Renna, Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in G. Colombini (a cura di), I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e internazionale, Napoli, Jovene, 2009, pp. 23 ss. Sui beni culturali ed i loro profili “ecosistemici”, v. T. Bonetti, I beni comuni nell’ordinamento giuridico italiano tra “mito” e “realtà”, in Aedon. Rivista di arti e diritto online, 1, 2013.
[99] Per la quale il Romagnosi immagina una disciplina ad hoc: «la ragione civile delle acque può costituire un corpo di dottrina speciale nel quale, oltre i dettami comuni con gli altri beni, essa associa vedute e principj proprj derivati non solamente dall’indole e dalle leggi fisiche, ma eziandio dai suoi servigi strettamente sociali. Convien disimpegnare quest’argomento dalla folla delle comuni dottrine; conviene atteggiarlo secondo l’indole sua; conviene finalmente ravvisarlo nell’ultimo suo perfezionamento», G.D. Romagnosi, Della condotta delle acque e della ragione civile delle acque, cit., p. 12.
[100] Cfr. G. Ferrari, La mente di Giandomenico Romagnosi, Ranieri Fanfani, Milano, 1835.
[101] Il merito di tale tripartizione interpretativa si deve a G. Rossi, L’attualità di G.D. Romagnosi, cit., pp. 15 e ss.
[102] Id., ivi, p. 25. Il Romagnosi afferma infatti, a proposito dell’evoluzione storica della ragione delle acque, che «anch’essa soggiacque alla legge dell’opportunità, la quale altro non è che la necessità operante nel tempo e per il tempo», G.D. Romagnosi, Della condotta delle acque e della ragione civile delle acque, cit., p. 19.
[103] G.D. Romagnosi, Della ragion civile delle acque nella rurale economia, Firenze, Stamperia Piatti, IIa ed., 1834, p. 212.
[104] G. Rossi, op. cit., p. 34, che a sua volta richiama alcuni passi contenuti in G.D. Romagnosi, Della condotta delle acque, cit.
[105] Nell’epoca del cambiamento climatico e della compromissione degli ecosistemi, cfr. §1.
[106] Cfr. M. Monteduro, in S. Torricelli (a cura di), Ragionando di diritto delle pubbliche amministrazioni (in occasione dell’ottantesimo compleanno di Domenico Sorace), Napoli, Esi, 2020: «l’organizzazione amministrativa è servente non solo alla cura dell’interesse pubblico per come selezionato/preferito dagli apparati politici in maniera transeunte, ma anche alla garanzia degli interessi privati stabilmente “frontisti” di quell’interesse pubblico, che l’ordinamento repubblicano riconosca e garantisca in quanto meritevoli di tutela» (la citazione è tratta da M. Monteduro, L’organizzazione amministrativa: riflessioni sul pensiero di Domenico Sorace, in P.A. Persona e Amministrazione. Ricerche Giuridiche sull’Amministrazione e l’Economia, 1, 2020, p. 559).
[107] G. Rossi, op. cit., p. 37, in commento a G.D. Romagnosi, Vedute fondamentali sull’arte logica, in Opere edite ed inedite, raccolte da A. Bertani, vol. VI, Firenze, Le Monnier, 1892. Sulla realtà del mondo fisico e sociale come condizione di partenza per l’esercizio della funzione pubblica, cfr. la sequenza che lega «interesse pubblico ® dovere ® potere ® procedimento ® provvedimento», così come rappresentata da M. Monteduro, Il provvedimento amministrativo: natura e caratteri, Cap. V, Par. 2; Capp. VI e VII, in G. Carlotti, A. Clini, Diritto amministrativo, Bologna, Maggioli, 2021.

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Antonio Micello

Cultore della materia in diritto amministrativo dei contratti pubblici, diritto amministrativo dell'ambiente e dell'alimentazione presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università del Salento.

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