Nesso causale in ambito penale: il fatto come elemento essenziale del reato
Tra gli elementi essenziali del reato ritroviamo sicuramente il fatto e la punibilità. Altri elementi sono l’antigiuridicità per la teoria della tripartizione e la punibilità per quella della quadripartizione. Il fatto è l’elemento comprensivo di condotta (positiva o negativa), evento e nesso causale. Nessuno, infatti, può essere punito per un reato se l’azione o l’omissione compiute non sono legate da un nesso causale con l’evento. Occorre, pertanto, che tra condotta ed evento ci sia un rapporto di causa-effetto. Come si accerta tale nesso di causalità? In dottrina ci si è a lungo interrogati a riguardo e sono fiorite numerose teorie. Un punto fermo è che, in virtù dell’art. 40 c.p. un reato è attribuito all’agente se l’evento dannoso o pericoloso (danno criminale) è conseguenza della sua azione od omissione. La materia è complessa ma il codice non poteva essere più limpido nella sua formulazione letteraria. Alla dottrina e alla giurisprudenza l’arduo compito di delineare nel concreto i profili della disciplina.
Una prima teoria elaborata in dottrina è quella della causalità o della condicio sine qua non. In questo caso la causalità è concepita in termini naturalistici per cui causa di un evento è ogni condizione che lo ha prodotto. Per accertare che una condizione sia causa di un evento si fa ricorso al procedimento di eliminazione mentale detto anche giudizio controfattuale, in base al quale se mentalmente togliamo la condotta dell’agente e vediamo che l’evento si verifica ugualmente la stessa non può dirsi causa dell’evento mentre se l’evento non si verifica allora avremo trovato la sua causa. Tale prima elaborazione dottrinale ha suscitato non poche critiche in quanto, in primo luogo, porterebbe ad una regressione infinita di cause conducendo a delle conclusioni del tutto assurde. In seconda battuta vi sono casi in cui è impossibile provare la causalità di un evento in questo modo. È il caso del farmaco Talidomide che, se somministrato a donne in gravidanza, provocava gravi malformazioni nel feto. Utilizzando il mero giudizio di eliminazione mentale ed eliminando la somministrazione del farmaco come si può essere sicuri che il feto non abbia comunque delle malformazioni? Un’ulteriore critica mossa a questa teoria era che non si poteva utilizzare nei casi di causalità addizionale o nei casi di causalità alternativa ipotetica. Per esempio, se Tizio e Caio somministrano l’uno indipendentemente dall’altro una dose fatale di veleno a Sempronio e quello muore eliminando l’una o l’altra condotta l’evento si verificherebbe ugualmente e, sulla base di questa teoria, nessuno dei due verrebbe pertanto condannato. Oppure, se Tizio spara a Caio ma un millisecondo prima che il proiettile colpisca Caio lo stesso viene colpito da un fulmine e muore per questo, ancora una volta eliminando la condotta di Tizio l’evento si verificherebbe ugualmente.
Una seconda teoria elaborata dalla dottrina è quella della causalità adeguata. Secondo tale postulato la condotta dell’agente sarebbe causa dell’evento se idonea a causarlo secondo l’id quod plerumque accidit. Anche questa teoria non è andata esente da critiche. Infatti, nel caso in cui la condotta sia astrattamente idonea a provocare l’evento ma lo stesso viene causato da un fatto ulteriore imprevedibile e successivo alla condotta non sarebbe corretto attribuire la causa dell’evento all’agente. I sostenitori di tale teoria rispondono, tuttavia, che il giudizio di prevedibilità non è da muoversi in astratto ma va calato nel caso concreto. Se un’azione in astratto è idonea ma nel concreto non è causa dell’evento, il nesso causale non può dirsi provato. La più solida e valida critica mossa a questa elaborazione è quella che afferma che operare un giudizio di prevedibilità fa sì che il problema della causalità si mischi con quello della colpa.
Antolisei ha elaborato la teoria della causalità umana, affermando che l’uomo ha una propria sfera d’azione sulla quale è in grado di avere una effettiva influenza. Un evento si dice causato dalla condotta dell’agente se è determinato da una sua azione e non sono concorsi fattori esterni imprevedibili ed eccezionali. I detrattori di questa teoria statuiscono che sia una sorte di mal riuscito correttivo della teoria della causalità adeguata. Tuttavia, questa teoria è stata del tutto accantonata dai manuali non riuscendo nel suo intento di porsi quale posizione autonoma e/o risolutiva sul tema.
Oggi si propende per l’utilizzo della teoria della causalità scientifica detta anche della legge di copertura. La stessa afferma che, essendo talvolta difficoltoso spiegare un nesso di causalità esclusivamente in termini naturalistici, serve l’uso di leggi scientifiche non per forza universali ma anche statistiche purché il livello di probabilità sia sufficientemente alto. Se l’evento, sulla base di una legge di copertura scientifica, è causato dalla condotta dell’agente gli sarà ascritta. Ancora una volta è un giudizio da effettuarsi ex post. Secondo alcuni, però, questa teoria non tiene conto che la dimostrazione del nesso causale in giudizio non coincide sempre con il metodo delle scienze naturali. In casi estremi, inoltre, non sussistono leggi scientifiche in grado di accertare il nesso causale di determinati eventi. Se Tizio spara a Caio da una distanza superiore a quella della portata dell’arma e Caio muore di paura, non c’è dubbio che risponderà di omicidio; ma è anche vero che nessuna legge statistica o scientifica potrebbe permetterci di accertare il nesso di causalità.
Per completezza merita di essere citata la teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento. Questa teoria nasce in Germania e viene accolta in Italia da Pagliaro. Parte dall’assunto che al giurista interessa il nesso di causalità dal punto di vista giuridico non naturalistico. Un evento può dirsi causato da una certa condotta se questa aumenta il rischio che si verifichi. Un esempio emblematico è quello del camionista che supera ad una distanza inferiore di quella consentita e investe un ciclista che sterza all’improvviso. In questo caso anche se il camionista si fosse attenuti ai limiti stradali l’evento si sarebbe verificato ugualmente in quanto la sua condotta non ha aumentato il rischio che si verificasse l’evento ma decisiva in questo caso è la condotta posta in essere dal ciclista. È certo che anche questa teoria non costituisce un costrutto inattaccabile in quanto, anche, utilizzando le teorie classiche, si sarebbe giunti ad una esclusione della punibilità del camionista.
Si potrebbe constatare che il problema del nesso causale sia una questione ancora irrisolta. È probabile che addivenire ad una teoria perfetta sotto ogni aspetto sia un’impresa impossibile. È, purtuttavia, interessante sottolineare che le varie teorie non sono affatto incompatibili le une con le altre ma vari tentativi di spiegare la realtà da diversi punti di vista. È altrettanto intrigante constatare che tutte queste teorie sono inservibile in taluni casi limite. La difficoltà insita in queste elaborazioni dottrinali è che la problematica del nesso causale ha ben poco di teorico ma ha tanto di pratico.
Sempre riguardo al nesso causale è d’uopo citare l’art. 41 c.p. relativo alle concause. Il tema riguarda i casi in cui oltre alla condotta, l’evento viene causato da ulteriori e diversi fattori causali. Il primo comma dell’art. 41 c.p. dice che il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione o omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra condotta ed evento. Si riafferma e rafforza il principio di causalità. Al terzo comma si ribadisce che il principio vale anche quando tali concause dipendono da fatto illecito altrui. I problemi sorgono in relazione al secondo comma: le concause sopravvenute escludono il rapporto di causalità solo se da sole sono idonee a cagionare l’evento. Nello specifico, il secondo comma regola i casi in cui tra condotta ed evento si inserisce un decorso causale atipico. Si dice che questi sono i casi delle serie causali autonome ed indipendenti. Sembrerebbe che tali serie siano, tuttalpiù, un duplicato del caso fortuito o forza maggiore che escludono la punibilità dell’agente, ottenendo un mero duplicato dell’art. 45 c.p.
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Silvia Mallamaci
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