No al reato ed al risarcimento danni in assenza di consenso informato se l’esito dell’intervento è fausto
“La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione è fugace, l’esperienza è fallace, il giudizio è difficile. Bisogna che non solo il medico sia pronto a fare da sé le cose che debbono essere fatte, ma anche il malato, gli astanti, le cose esterne”. [Ippocrate di Coo]
Il consenso informato lascia emergere criticità che coniugano, sovrappongano e contrappongono diversi interessi.
Con l’ordinanza 31234/2018 del 4 dicembre 2018 n. 31234 la Suprema Corte ha respinto le conclusioni della Corte d’Appello in un caso di assenza (e o incompleto) consenso informato. Si ribadisce con vigore che il paziente ha diritto ad essere risarcito se prova di non essere stato idoneamente informato delle conseguenze possibili di un intervento giacché, se lo fosse stato, egli avrebbe rifiutato di sottoporvisi.
Ed ancora, con l’ordinanza n. 10608 del 4 maggio 2018 la Terza Sezione, la Corte di Cassazione era tornata a pronunciarsi sull’autonoma rilevanza, ai fini di un’eventuale responsabilità risarcitoria, della violazione da parte del personale sanitario del dovere di informare preventivamente e chiaramente il paziente.
Le sentenze in commento, invero, completano il quadro delineato dalle Sezioni Unite già nel 2009.
La Cassazione a Sezioni Unite, infatti, con la sentenza n. 2437 del 21 gennaio 2009 ha optato per una valutazione militante nel senso della superfluità del consenso del paziente, privilegiando l’ autonomia legittimante l’attività medica come professione di “pubblica necessità”, qualora l’intervento abbia avuto un esito fausto.
Il tema di indagine si spostava, infatti, nella sentenza in commento sul vaglio dell’ eventuale rilevanza penale del fatto e i Giudici di Piazza Cavour hanno concluso per l’irrilevanza penale dello stesso qualora l’intervento sia stato eseguito:
nel rispetto dei protocolli e delle leges artis;
abbia avuto esito fausto;
non vi sia stato un espresso dissenso del paziente.
L’assenza di consenso informato derogherebbe, quindi, ragionevolmente alla garanzia presupposta, abbassandone la soglia della consistenza, consentendo al chirurgo, in presenza di un quadro di elevata persuasività, di sottoporre il paziente ad un trattamento diverso anche più invasivo, rispetto a quello precedentemente autorizzato, in mancanza del consenso, senza incorrere in responsabilità penale quando l’intervento abbia poi prodotto un beneficio per la salute di chi lo ha subito.
Il fatto e il giudizio
Ricoverata nel reparto di ginecologia dell’Ospedale di Cattolica la paziente fu sottoposta ad un intervento che determinò l’asportazione della tuba sinistra. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, l’intervento demolitorio risultò essere stato una scelta corretta ed obbligata, eseguita nel rispetto della lex artis e con competenza superiore alla media.
Intervento, tuttavia, secondo l’assunto accusatorio, svoltosi in assenza di consenso validamente prestato dalla paziente, informata soltanto della laparoscopia e non già anche salpingectomia effettuata senza soluzione di continuità.
L’omissione, per i primi giudici, sarebbe stata da ascrivere all’elevata prevedibilità dell’intervento chirurgico legata, pertanto, ad una scelta consapevole e volontaria dell’imputato e non a colpa. Ne conseguiva, in assenza di un consenso valido e specifico, la lesione della libertà garantita dall’art, 32 Cost. di autodeterminazione della persona fisica circa le decisioni mediche che la riguardavano, comprensiva della facoltà di scegliere un consulto o di scegliere altre strutture sanitarie e con essa la condanna dell’imputato da parte del Tribunale di Rimini per il reato di lesioni personali.
Proposto l’appello da parte dell’imputato la Corte di appello di Bologna ha reputato contraddittoria ed insufficiente la prova in ordine all’acquisizione del consenso informato; sicchè esclusa, da un lato, la ricorrenza della esimente dello stato di necessità e respinta dall’altro lato, la tesi difensiva secondo la quale è lecito ogni intervento medico compiuto in mancanza di espresso dissenso, ha rilevato l’intervenuta prescrizione del reato revocando le statuizioni civili, disposte in quella stessa sentenza, stante l’assenza di una prova idonea circa la commissione del fatto.
Imputato e parte civile propongono ricorso per Cassazione.
La quinta sezione penale avendo ravvisato la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza sui temi coinvolti ha rimesso, a norma dell’art. 618 c.p.p., alle Sezioni Unite la decisione sui ricorsi medesimi.
Si riteneva pregiudiziale la risoluzione del seguente quesito:
se abbia o meno rilevanza penale, e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa configuri la condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il medesimo ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle “regole dell’arte” e con esito fausto.
Osserva la Sezione remittente che sul punto si registrano i seguenti due orientamenti.
Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, il consenso del paziente fungerebbe da indefettibile presupposto di liceità del trattamento medico, con la conseguenza che la mancanza di un consenso opportunamente “informato” del malato, o la sua invalidità per altre ragioni, determinerebbe la arbitrarietà del trattamento medico e la sua rilevanza penale, salvo le ipotesi in cui ricorra lo stato di necessità ovvero se specifiche previsioni di legge autorizzino il trattamento sanitario obbligatorio ai sensi dell’art. 32 Cost.
Secondo altro orientamento, invece, la volontà del paziente svolge un ruolo decisivo solo quando sia espressa in forma negativa.
Affrontato approfonditamente il tema, esaminate le diverse sentenze che tatuavano il contrasto giurisprudenziale è stato chiaramente affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia in commento ed esattamente a pagina 38 che “ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all’art. 582 cod. pen., che sotto quello del reato di violenza privata, di cui all’art. 610 cod. pen.”
Ad opposte conclusioni, precisano i Giudici del Palazzaccio, deve invece giungersi qualora l’esito dell’intervento sia infausto.
Evidente la portata decisiva della pronuncia.
L’esclusione degli effetti condizionanti del mancato consenso sull’operato del medico vale ora più che mai a scandire non solo la significativa diversità fra le fattispecie individuate in sentenza dalla Suprema Corte, ma costituisce ed evidenzia il chiaro indice del contrasto così risolto che correttamente incide sulle recentissime sentenze in commento.
Si esige, pertanto, ne costituisce la naturale conseguenza condizionante, in casi simili l’assoluta attenzione ai piani probatori e valutativi per non trascurare di prendere atto di un eventuale scarto qualitativo esistente tra accertamento del fatto e valutazione preliminare rispetto al fatto stesso.
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