Non è reato la falsa dichiarazione contenuta nell’autocertificazione imposta dai D.P.C.M.

Non è reato la falsa dichiarazione contenuta nell’autocertificazione imposta dai D.P.C.M.

Tribunale di Reggio Emilia, ufficio del GIP, sentenza 21/01/2021, n. 54

Introduzione. Il GIP presso il Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza n. 54 del 21/01/2021, ha stabilito che non integra il delitto di cui all’art. 483 c.p. la condotta di chi attesti falsamente la sussistenza di determinate condizioni giustificanti gli spostamenti durante le restrizioni per la prevenzione del contagio da virus Covid-19, ai sensi del DPCM 8 marzo 2020.

I fatti. La pronuncia in oggetto trae origine dalla richiesta inoltrata dal PM al Giudice per le indagini preliminari in ordine all’emissione di decreto penale di condanna nei confronti di due imputati del delitto di falso ideologico ex 483 c.p., i quali avevano compilato l’autocertificazione imposta dal DPCM 8/03/2021 dichiarando falsamente ai Carabinieri di trovarsi al di fuori dalla loro abitazione al fine di sottoporsi ad esami clinici l’una e di accompagnare la donna l’altro.

La decisione del Giudice per le indagini preliminari. Il GIP ha rigettato la richiesta del PM – emettendo nei confronti di entrambi gli imputati sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato – sulla base della ritenuta incostituzionalità del DPCM 8/03/2020 per violazione dell’art. 13 Cost. e della sua conseguente disapplicazione ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.

Infatti, la disposizione contenuta nella sopra menzionata fonte, imponendo un divieto generale ed assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, di fatto configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare.

Nel nostro ordinamento, tuttavia, tale obbligo consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale irrogata dal giudice per taluni reati all’esito del giudizio (o disposta in via cautelare).

La giurisprudenza è granitica nel configurare l’obbligo di permanenza domiciliare quale misura restrittiva della libertà personale, da applicare rispettando le garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione.

A tal riguardo, peraltro, la Corte costituzionale ha ritenuto che configurassero misure restrittive della libertà personale provvedimenti di minore rigore rispetto alla permanenza domiciliare, quali, ad esempio, il prelievo ematico, l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero e la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio.

L’articolo 13 della Costituzione stabilisce che la limitazione alla libertà personale può avvenire esclusivamente per “atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. La prima conseguenza di tale fondamentale principio è che un DPCM, costituendo una fonte meramente regolamentare di rango secondario, non può in nessun caso prevedere l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale.

In secondo luogo, neppure un atto legislativo (o un atto normativo avente forza di legge) può prevedere in via generale ed astratta un obbligo di permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, in quanto l’art. 13 Cost. – postulando una doppia riserva (di legge e di giurisdizione) – implica necessariamente un provvedimento individuale i cui presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge devono essere controllati tempestivamente dall’autorità giudiziaria.

Il Giudice inoltre, sottolinea che non debba trovare accoglimento l’opzione della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base dell’assunto che il DPCM prevederebbe delle legittime limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di sanità ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, la Corte costituzionale ha chiarito che la compressione della libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi e può comportare il divieto di accedere ad alcune zone circoscritte nelle quali vi sia un rischio di infezione ma non può mai imporre un obbligo di permanenza domiciliare. Orbene, quando il divieto di spostamento non attiene ai luoghi ma riguarda le persone, allora la limitazione si configura come compressione della libertà personale, la quale, per essere legittima, richiede il rispetto delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione.

Infine, poiché il DPCM è un atto amministrativo, il giudice, nel momento in cui riscontra l’illegittimità dello stesso per violazione di legge costituzionale, non deve rimettere la questione di legittimità alla Corte costituzionale, ma deve procedere direttamente alla disapplicazione dell’atto medesimo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, il Giudice per le indagini preliminari di Reggio Emilia, previa disapplicazione – in quanto costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 13 Cost. – della norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione dell’autocertificazione per giustificare gli spostamenti al di fuori della propria abitazione, ha pronunciato sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato. Il falso ideologico contenuto nell’autocertificazione illegittima, infatti, è necessariamente innocuo – e dunque penalmente irrilevante –  poiché finalizzato ad eludere un obbligo non conforme a Costituzione.


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