Non è reato pubblicare atti di un procedimento archiviato
Un commento alla sentenza della Cassazione penale, Sez. I, del 4 giugno 2024, n. 22503
di Michele Di Salvo
In tema di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, la possibilità di conciliare i principi costituzionali della libertà di stampa e del giusto processo applicando una procedura prevista dalle norme del codice di procedura consente di escludere che la pubblicazione di atti inseriti nel fascicolo di un procedimento per il quale è stata disposta l’archiviazione possa costituire il reato di cui all’ art. 684 c.p.
È questo il principio che emerge dalla recente sentenza della Cassazione penale, Sez. I, pubblicata il 4 giugno 2024, n. 22503.
La sentenza acquisisce maggiore valore trasversale nel contesto della recente legge delega 21 febbraio 2024, n. 15 (soprannominata “legge bavaglio”) con cui si è inteso vietare la pubblicazione dei contenuti dell’ordinanza cautelare.
Nella valutazione della Cassazione Penale “il divieto di pubblicazione di atti processuali, costituendo una limitazione alla libertà di stampa, può essere imposto solo a tutela di un altro interesse costituzionalmente protetto: la norma di cui all’art. 114 c.p.p.., essendo a base del precetto penale stabilito dall’art. 684 c.p. non può essere ampliata in via analogica, applicando i suoi divieti a fattispecie non previste dal legislatore, perché si tradurrebbe in una analogia in malam parte, direttamente incidente sull’elemento oggettivo di tale reato.”
La chiusura delle indagini preliminari fa sicuramente caducare il segreto istruttorio e il divieto di pubblicazione stabilito a tutela delle esigenze legate ad esse: la presentazione di una richiesta di archiviazione deve essere a questi fini ritenuta equivalente alla chiusura delle indagini preliminari.
La tutela del principio costituzionale del giusto processo e del libero convincimento del giudice non può avvenire violando altri principi, quali il divieto di analogia in malam partem delle norme penali, e la volontà del legislatore, che è stata chiaramente espressa nell’art. 114 c.p.p. prevedendo un divieto di pubblicazione, dopo la chiusura delle indagini preliminari, solo per la fase dibattimentale, ed escludendolo quando non si procede a dibattimento
Il Fatto. Con sentenza emessa in data 04 maggio 2023 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano ha assolto, per insussistenza del fatto, CF e AO dal reato di cui all’art. 684 c.p., loro ascritto per avere pubblicato arbitrariamente, in un libro, atti del procedimento xxx, di cui era vietata, per legge, la pubblicazione.
Il giudice ha ritenuto che il materiale pubblicato, costituito da ampi stralci di intercettazioni che i due imputati asserivano di avere ricevuto, da fonte anonima, riversate su una chiavetta USB, non fosse più coperto da divieto di pubblicazione, perché facente parte di un procedimento in parte archiviato. Infatti il pubblico ministero aveva operato uno stralcio dell’originario procedimento xxx, formando il nuovo fascicolo yyy, a carico solo di alcuni degli originari indagati, contenente le medesime indagini e quindi anche le predette intercettazioni, e chiedendone l’archiviazione, che era stata disposta dal g.i.p.. Il procedimento xxx, invece, era proseguito a carico dei residui indagati, con il dibattimento. Il libro era stato pubblicato quattro mesi dopo il provvedimento di archiviazione, e quindi quando dette intercettazioni non erano più soggette al divieto di pubblicazione.
Avverso la sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione, articolando due motivi.
Con il primo motivo deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 684 c.p.
Il giudice non ha tenuto conto del fatto che gli atti di indagine pubblicati sono identici a quelli a base del procedimento di cui deve essere ancora celebrato il dibattimento. La loro pubblicazione viola, perciò, l’interesse tutelato dalla norma, cioè il regolare funzionamento dell’attività giurisdizionale, in quanto viene disvelato l’esito di un’attività di indagine, ancora non acquisito nel procedimento “madre”. Inoltre molte delle intercettazioni pubblicate sono di contenuto privato o politico, del tutto irrilevante rispetto all’indagine del procedimento “madre”, nonché privo di rilievo penale.
Con il secondo motivo di ricorso deduce la contraddittorietà della motivazione.
La sentenza riconosce che le medesime indagini sono a base del procedimento “madre”, ancora in corso, e che gli atti relativi ad un procedimento giunto alla fase dibattimentale possono essere pubblicati solo dopo il giudizio di appello, e limitatamente alle prove che si sono formate nel contraddittorio delle parti. La pubblicazione anticipata di tali atti, solo perché confluiti in un diverso fascicolo, stralciato e archiviato, viola tale regola, per cui è evidente che, in caso di sovrapposizione tra due fascicoli, come avvenuto nel presente caso, la regola da applicare sarà quella che posticipa la pubblicazione alla celebrazione del grado di appello, regola che risulterebbe altrimenti vanificata.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo giudizio.
Il difensore dei ricorrenti ha depositato una memoria con cui chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per la sua manifesta infondatezza, dal momento che, ad oggi, gli artt. 114 e 329 c.p.p. non prevedono un divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento per il quale non è stata esercitata l’azione penale, e in mancanza di un esplicito divieto di pubblicazione o di un obbligo di segretezza tali atti sono liberamente pubblicabili, non essendo legittima una analogia in malam partem.
In diritto. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
Nella vicenda in questione vengono in rilievo la libertà di stampa e il principio del giusto processo, diritti tutelati entrambi dalla Carta costituzionale, e il loro contemperamento è stato effettuato, dal legislatore, con l’art. 114 c.p.p.
La pubblicazione di atti relativi ad un processo ancora in fase di indagini preliminari può danneggiare gravemente l’indagine stessa, anche a sfavore dell’indagato, e la pubblicazione di tali atti durante la fase dibattimentale, ma prima del loro disvelamento nelle forme previste dalla legge, e in particolare nel contraddittorio, può incidere sulla terzietà del giudice e il suo libero convincimento, potendo egli essere influenzato dalla presa di conoscenza, per via extraprocessuale, di atti non confluiti nel fascicolo del dibattimento e perciò non utilizzabili per la decisione. Per queste ragioni l’art. 114 c.p.p., oltre a vietare la pubblicazione di atti coperti da segreto, precisa che è in ogni caso vietata la pubblicazione di atti di indagine fino a che la stessa non sia terminata, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2, c.p.p. , con una ulteriore restrizione in ordine alle intercettazioni, dettata dal successivo comma 2-bis). Nella versione introdotta dal codice di procedura del 1988, inoltre, era vietata la pubblicazione degli atti del fascicolo dibattimentale fino a dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. La pubblicazione degli atti del fascicolo del pubblico ministero è tuttora vietata fino a dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado (art. 114, comma 3 c.p.p.). I commi successivi prevedono singoli casi di divieto di pubblicazione di atti processuali, e il potere del giudice di disporre, se non si procede al dibattimento, il divieto di pubblicazione di singoli atti nell’interesse dello Stato. Infine il comma 7 prevede che “è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”: pertanto, è reso esplicito dal legislatore che gli atti processuali, se non sono coperti da segreto e non soggiacciono ai limiti di pubblicazione stabiliti dai commi precedenti, sono sempre pubblicabili, e chi vi procede non commette il reato di cui all’art. 684 c.p.
La Corte costituzionale ha rilevato una illegittimità costituzionale dell’art. 114, comma 3, c.p.p., nella parte in cui vietava la pubblicazione degli atti del fascicolo dibattimentale fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, motivando che tale divieto è irragionevole, trattandosi di atti che il giudice, per definizione, deve conoscere.
La sentenza n. 59 del 24 febbraio 1995, dichiarativa della predetta incostituzionalità, individua la ratio del divieto di pubblicazione essenzialmente nella tutela delle esigenze investigative. La direttiva n. 71 dell’art. 2 della legge di delega n. 81/1987, infatti, stabiliva un obbligo di segretezza, e il conseguente divieto di pubblicazione, su tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, finché non potessero essere conosciuti dall’imputato, e al pubblico ministero era attribuito il potere di vietare la pubblicazione anche di atti non più coperti dal segreto, per il tempo strettamente necessario ad evitare un pregiudizio per lo svolgimento delle indagini. Tale esigenza non può più dirsi sussistente quando le indagini preliminari siano concluse, e si sia giunti alla fase del dibattimento: infatti, come motivato dalla predetta sentenza, la direttiva nulla diceva in merito alla segretezza degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, non prevedendo, quindi, un divieto di pubblicazione.
Quella sentenza individua, però, un’altra ratio a fondamento del divieto di pubblicazione degli atti del pubblico ministero anche oltre il termine delle indagini preliminari, quello di evitare la distorsione delle regole processuali, che si verificherebbe se il giudice formasse il suo convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti, e che potrebbe conoscere per via extraprocessuale, attraverso la loro pubblicazione sui mezzi di informazione. Tale distorsione è, ovviamente, impossibile con riferimento ad atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, perché essi devono essere conosciuti dal giudice, il quale deve utilizzarli per formare il proprio convincimento.
Il ricorso del Procuratore della Repubblica deve, pertanto, essere valutato alla luce della necessità di contemperare le medesime garanzie indicate dalla Corte costituzionale. Nessuna norma, infatti, stabilisce esplicitamente la sorte degli atti contenuti in un fascicolo che, su richiesta del pubblico ministero, sia stato archiviato, cioè se essi debbano ritenersi coperti da segreto e pertanto ne sia vietata o meno la pubblicazione, salvi i casi previsti dall’art. 114, commi 2- bis, 6, 6-bis c.p.p., che stabilisce il divieto di pubblicazione a tutela di altri interessi e di altre esigenze.
Non vi è dubbio che il divieto di pubblicazione di atti processuali, costituendo una limitazione alla libertà di stampa, può essere imposto solo a tutela di un altro interesse costituzionalmente protetto. Nel caso di specie, poi, la norma di cui all’art. 114 c.p.p. , essendo a base del precetto penale stabilito dall’art. 684 c.p., non può essere ampliata in via analogica, applicando i suoi divieti a fattispecie non previste dal legislatore, perché si tradurrebbe in una analogia in malam parte, direttamente incidente sull’elemento oggettivo di tale reato.
Non si può derogare, quindi, al contenuto letterale della norma, che al comma 2 vieta la pubblicazione di atti fino al termine delle indagini preliminari, e al comma 3 mantiene tale segreto, in termini più limitati, solo “se si procede al dibattimento”. Che, in assenza della celebrazione del dibattimento, il segreto e il correlato divieto di pubblicazione non si estendano oltre la fase delle indagini preliminari risulta evidente anche dal contenuto dell’art. 114, comma 5, c.p.p., secondo cui “se non si procede al dibattimento” il giudice può imporre il divieto di pubblicazione su singoli atti, nell’interesse dello Stato: se ne deve dedurre che, in mancanza di un simile provvedimento, non vige in tal caso alcun divieto di pubblicazione.
Nel caso di specie, il divieto di pubblicazione asseritarmente violato non è posto, anche secondo il procuratore ricorrente, a tutela delle esigenze investigative: dal contenuto del ricorso risulta che la fase delle indagini preliminari è chiusa, e in ordine ai fatti per i quali non era stata chiesta l’archiviazione deve essere celebrato il dibattimento.
La chiusura delle indagini preliminari fa sicuramente caducare il segreto istruttorio e il divieto di pubblicazione stabilito a tutela delle esigenze legate ad esse. La presentazione di una richiesta di archiviazione deve essere ritenuta equivalente alla chiusura delle indagini preliminari, sia perché la disciplina di cui agli artt. 408 e ss. c.p.p. è collocata nel Titolo VIII, che tratta della “Chiusura delle indagini preliminari”, sia perché, qualora sopraggiungano elementi che facciano apparire necessarie nuove indagini, il pubblico ministero deve chiedere al giudice l’autorizzazione alla “riapertura” delle stesse (art. 414 c.p.p. ), al punto che le indagini svolte senza tale autorizzazione, relative allo stesso fatto, sono inutilizzabili. Pertanto, si deve concludere che dopo la chiusura delle indagini preliminari, anche se l’azione penale non viene esercitata, il divieto di pubblicazione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero deve ritenersi caducato (vedi Sez. 1, n. 32846 del 04/06/2014, Rv. 261195, e Sez. in motivazione). Rafforza tale valutazione anche il testo dell’art. 114 c.p.p. che, come detto, al comma 3 prevede la prosecuzione di un divieto di pubblicazione solo quando “si procede al dibattimento”, e al comma 5 stabilisce una specifica procedura per applicare il divieto di pubblicazione qualora non si proceda al dibattimento. Gli atti contenuti in un fascicolo per il quale è stata disposta l’archiviazione, quindi, devono ritenersi non coperti da segreto e non colpiti da un generale divieto di pubblicazione.
Nel presente caso il procuratore ricorrente ritiene sussistente il reato di cui all’art. 684 c.p. per la violazione dell’altro principio costituzionalmente tutelato, quello relativo al corretto svolgimento del dibattimento. Egli afferma, infatti, che gli atti di indagine pubblicati sono identici a quelli posti a base del procedimento per il quale è stata esercitata l’azione penale e deve essere celebrato il dibattimento.
L’affermazione, peraltro generica, non è smentita né dagli imputati né dalla sentenza impugnata, ma non tiene nel dovuto conto il fatto che tali atti, evidentemente, non erano idonei a sostenere l’accusa in giudizio per indagati o per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale, come precisato nel decreto di archiviazione: l’archiviazione è stata chiesta e concessa, senza dubbio, perché dagli atti di indagine allegati ad essa non emergeva la prova di fatti penalmente rilevanti.
Lo stesso procuratore ricorrente, nel primo motivo di ricorso, lamenta infatti che nel pubblicare tutti gli atti contenuti nel procedimento yyy, proveniente dallo stralcio e archiviato, sono state pubblicate anche intercettazioni dal contenuto privo di rilievo penale, che pertanto non avrebbero dovuto, in realtà, essere conservate nel fascicolo del pubblico ministero, e che sono comunque inidonee ad influenzare il giudice chiamato a decidere sui diversi fatti per i quali è stata esercitata l’azione penale. Pertanto, la pubblicazione di tali atti sicuramente non viola la garanzia costituzionale del giusto processo e del libero convincimento del giudice, essendo atti privi di rilevanza penale e quindi non costituenti prove da acquisire nel dibattimento iniziato nel procedimento “madre”. Per tale parte della pubblicazione, non individuata ma la cui esistenza è affermata dal ricorrente, può dichiararsi con certezza l’insussistenza del reato, non sorgendo la necessità di contemperare il principio costituzionale della libertà di stampa con altri principi aventi analoga tutela.
Quanto agli atti di indagine rimasti nel fascicolo del pubblico ministero xxx, per il quale è stata esercitata l’azione penale, sussiste in effetti la necessità di tutela anche del principio costituzionale del giusto processo e del libero convincimento del giudice.
Deve però ribadirsi che l’avvenuta archiviazione del procedimento stralciato, contenente tali atti, ha reso gli stessi pubblicabili, perché la chiusura delle indagini preliminari, avvenuta senza l’esercizio dell’azione penale, ha fatto venir meno il divieto di pubblicazione, che ai sensi dell’art. 114, comma 3, c.p.p. prosegue solo “se si procede al dibattimento”. Come già evidenziato, l’estensione di tale divieto ad un’ipotesi non prevista, quale l’archiviazione del procedimento, costituirebbe un’analogia non ammissibile, perché diretta ad ampliare il contenuto del reato previsto dall’art. 684 c.p.
Gli atti contenuti nel fascicolo yyy, pertanto, non soggiacciono al divieto di pubblicazione stabilito dall’art. 114 c.p.p. , perché relativi ad un procedimento archiviato, per il quale cioè le indagini preliminari sono concluse, non si è proceduto al dibattimento, e non è stato adottato alcuno specifico divieto di pubblicazione.
La tutela del principio costituzionale del giusto processo e del libero convincimento del giudice non può avvenire violando altri principi, quali il divieto di analogia in malam partem delle norme penali, e la volontà del legislatore, che è stata chiaramente espressa nell’art. 114 c.p.p. prevedendo un divieto di pubblicazione, dopo la chiusura delle indagini preliminari, solo per la fase dibattimentale, ed escludendolo quando non si procede a dibattimento.
Nel caso di specie, peraltro, il principio costituzionale di cui il procuratore ricorrente lamenta la violazione non è rimasto sprovvisto di tutela, potendo essere salvaguardato adottando una diversa procedura, rispettosa della lettera della legge e del divieto di estensione analogica del divieto di pubblicazione. In particolare, il pubblico ministero avrebbe potuto omettere di inserire, nel procedimento stralciato per il quale intendeva chiedere l’archiviazione, gli atti che voleva utilizzare nel dibattimento relativo ad altri indagati o ad altri reati, ovvero avrebbe potuto chiedere al giudice di estendere su questi ultimi il segreto, ai sensi dell’art. 114, comma 5, c.p.p., sussistendo l’interesse dello Stato alla corretta celebrazione del separato giudizio, interesse che poteva essere violato dalla anticipata conoscibilità di tali atti da parte del giudice chiamato a decidere il procedimento xxx.
La possibilità di conciliare i due principi costituzionali della libertà di stampa e del giusto processo applicando una procedura prevista dalle norme del codice di procedura consente di escludere che la pubblicazione di atti inseriti nel fascicolo di un procedimento per il quale è stata disposta l’archiviazione possa costituire il reato di cui all’art. 684 c.p.
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