Non sussiste il delitto di riciclaggio per le condotte prodromiche alla presentazione della dichiarazione fiscale fraudolenta
La Corte di Cassazione, Sezione II, con sentenza n. 30889 depositata il 05.11.2020 (udienza del 09.09.2020, Presidente: Rago, Relatore: Pardo) si è pronunciata in ordine ai rapporti fra il delitto di riciclaggio e la fattispecie presupposta di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000.
In particolare, il giudice di legittimità ha accolto le doglianze del ricorrente, già riconosciuto penalmente responsabile per il delitto di riciclaggio, escludendo che le condotte meramente prodromiche all’illecito di cui all’art. 3 cit., assunto come reato presupposto, commesse ancor prima della presentazione della dichiarazione fraudolenta non essendo ancora scaduti i relativi termini per la presentazione, possano integrare la fattispecie dell’art. 648 bis cod. pen.
La vicenda processuale. All’imputato veniva contestato di aver ricevuto negli anni 2005 e 2006 assegni bancari per un importo complessivo di oltre 666.000 euro emessi dalla clientela di un professionista ma intestati all’imputato stesso il quale, incassati detti titoli, riversava gli importi corrispondenti allo stesso professionista. Quest’ultimo, dal canto suo, ometteva di dichiarare i relativi ricavi ai fini fiscali per i corrispondenti anni di imposta.
Conseguentemente, il predetto professionista veniva chiamato a rispondere del reato presupposto costituito dalla fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74/2000 e l’imputato ricorrente della attività di riciclaggio del profitto illecito derivante dall’illecito tributario.
La corte di appello di Roma, riformando parzialmente la decisione resa in primo grado dal G.U.P. presso il tribunale di Latina, riduceva la pena inflitta in ordine al contestato delitto di riciclaggio ad anni 2 e mesi 8 di reclusione ed € 4.000,00 di multa.
Avverso la sentenza di gravame proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo l’illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge per l’assenza dei requisiti strutturali del reato di cui all’art. 648 bis cod.pen., in quanto la condotta di presunto riciclaggio – come ricostruito nel giudizio di merito – sarebbe stata consumata anticipatamente rispetto al delitto presupposto di evasione fiscale, difettando di conseguenza la natura delittuosa del denaro oggetto di sostituzione. Rappresentava il ricorrente altresì l’insussistenza dell’elemento soggettivo avendo l’imputato svolto l’operazione prefata su beni di provenienza lecita al momento della loro ricezione.
La fattispecie di riciclaggio, profili storici e teorici. Nell’accogliere i motivi dedotti nel ricorso, la Suprema Corte introduce la parte motiva della sentenza svolgendo delle premesse in ordine alla fattispecie contenuta nell’art. 648 bis cod. pen.
Il fondamento politico della fattispecie predetta, ricordano i giudici, va rinvenuto nella esigenza di repressione delle condotte di circolazione dei profitti illeciti post delictum. Come osservato dalla S.C., solo con l’introduzione del codice Rocco e della fattispecie di ricettazione di cui all’art. 648 c.p. l’ordinamento penale italiano giungeva ad attribuire una autonoma qualificazione giuridica alle condotte di ricezione dell’oggetto illecito suindicate, in precedenza punite a titolo di concorso nel delitto presupposto[1].
Tuttavia, nel focalizzare il bene giuridico tutelato dalla suddetta norma, già la dottrina dell’epoca riscontrava difficoltà che, ad ogni modo, non impedivano di individuare l’oggetto della tutela nella lesione di interessi patrimoniali perpetrato attraverso il mantenimento della situazione lesiva del patrimonio creata con la consumazione del delitto presupposto.
La repressione penale delle condotte aventi ad oggetto il profitto illecito si sviluppava anche sulla spinta delle sollecitazioni internazionali a contenere i fenomeni di impiego del provento illecito idonee ad aggredire non il mero patrimonio individuale ma altresì l’ordine pubblico economico.
Come rappresentato dalla Corte, nel 1978 veniva introdotto il testo originario dell’art. 648 bis c.p., successivamente modificato nel 1990, introducendo nuove tipologie di reati presupposto.
La fattispecie così congegnata richiedeva di operare un doppio accertamento: a) provare una condotta di sostituzione su somme provento di quei delitti indicati od oggetti di provenienza illecita; b) dimostrare che l’agente fosse consapevole di sostituire somme frutto di quel particolare precedente delitto.
Le evidenti difficoltà nello svolgere detti accertamenti sollecitava il legislatore a riformare ulteriormente la fattispecie attraverso la l. n. 328/1993, che introduceva l’attuale testo della disposizione[2]. Si legge in motivazione che: “Così come strutturate, non vi è dubbio alcuno, che il presupposto normativo delle fattispecie previste e punite dagli artt. 648, 648 bis 648 ter, 648 terl c.p. è sempre costituito dalla necessità che la condotta dell’agente, per essere punibile, sia posta in essere su beni o denaro provento di precedente delitto come può agevolmente ricavarsi dal testo della norma di contenuto generale che è quella dell’art. 648 c.p. che punisce “chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare“”.
La frode fiscale come delitto presupposto del riciclaggio. Con riguardo ai rapporti tra riciclaggio e reati tributari, la S.C. ricorda come con la Direttiva 20 maggio 2015 del Parlamento Europeo dedicata “alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio” l’Organo parlamentare dell’Unione prospettava un intervento del legislatore nazionale in tale campo affermando ” è importante evidenziare esplicitamente che, in linea con le raccomandazioni riviste del GAFI[3], i «reati fiscali» connessi alle imposte dirette e indirette rientrano nell’ampia definizione di «attività criminosa» ai sensi della presente direttiva“. Tenuto conto della previsione espressa contenuta nella predetta Direttiva, pertanto, i reati fiscali possono certamente costituire il reato presupposto delle condotte di riciclaggio, posto che anche un risparmio di spesa può costituire profitto illecito ai sensi dell’ordinamento penale tributario.
A tal proposito viene rammentato che con un primo intervento del giudice di legittimità sul tema, si affermava che tutti i delitti dolosi, quindi anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio (Sez. 2, n. 6061 del 17/01/2012, Rv. 252701). Nella pronuncia citata la Corte Suprema precisava che il riferimento dell’art. 648-bis cod. pen. alle “altre utilità” ben poteva ricomprendere il risparmio di spesa che l’agente ottiene evitando di pagare le imposte dovute, poiché esso produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica.
Prosegue la Corte ricordando che nella sentenza prefata si rappresentava “ (…) come il legislatore, con le riforme della fattispecie dell’art. 648 bis cod.pen., abbia ampliato non solo il numero dei reati presupposto, ma anche la condotta incriminabile e lo stesso oggetto del reato, passando dalla semplice sostituzione di “denaro o valori” alla sostituzione o trasferimento “di denaro, beni o altre utilità”. Si è così affermato che con tale amplissima ed ellittica formula, è del tutto evidente che il legislatore ha inteso colpire, con il delitto di riciclaggio, ogni vantaggio derivante dal compimento del reato presupposto (…). Così interpretata la locuzione “altre utilità”, è chiaro che in esse devono farsi rientrare non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell’agente ma anche tutto ciò che costituisca il frutto di quelle attività fraudolente a seguito delle quali si impedisce che il patrimonio s’impoverisca: il che è quanto accade quando viene perpetrato un reato fiscale a seguito del quale l’agente, evitando di pagare le imposte dovute, consegue un risparmio di spesa che si traduce, in pratica, in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidente utilità di natura economica.
Depone in tal senso, come da costante giurisprudenza di cassazione, altresì la possibilità ex l. fin. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, di sottoporre a sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca il profitto che l’agente ricava dai reati tributari.
Di conseguenza, conclude la Corte, rientra fra i reati presupposto anche il reato di dichiarazione fraudolenta (frode fiscale) a seguito del quale l’agente consegue un risparmio di spesa che si traduce in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidente utilità di natura economica.
Le conclusioni della Corte e il principio di diritto. In relazione al rapporto con il reato di riciclaggio, prosegue la S.C., presupposto imprescindibile per la configurabilità della fattispecie de qua rimane quello della precedente consumazione del delitto (anche di frode fiscale) presupposto.
Ai fini della soluzione della problematica di diritto sottoposta al vaglio di legittimità, sottolineano i giudici di P.za Cavour, occorre fare riferimento sia alla giurisprudenza delle Sezioni Unite che della Corte costituzionale. Invero, le Sezioni Unite rappresentavano che in seguito all’introduzione della nuova ipotesi criminosa di dichiarazione fraudolenta ad opera dell’art. 2 D.L.G. 10 marzo 2000, n. 74 le condotte di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, già punite dall’art. 4, lett. d), d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in I. 7 agosto 1982, n. 516, in quanto meramente prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non erano più, di per sé, penalmente rilevanti. Tali attività, infatti, non potevano in alcun modo essere sussunte entro la più recente disposizione incriminatrice che, dal canto suo, individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica della fattispecie ed il momento in cui si verifica la lesione dell’interesse erariale all’integrale riscossione delle imposte (Sez. U, n. 27 del 25/10/2000, Rv. 217031).
La Corte costituzionale corroborava tale interpretazione. Con la pronuncia 49 del 2002 il giudice delle leggi affermava che l’opzione politico-criminale assunta con l’emanazione del decreto n. 74 del 2000 comportava l’abbandono del modello del c.d. “reato prodromico”, caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, per il quale la linea d’intervento repressivo insisteva sulla fase meramente “preparatoria” dell’evasione d’imposta, per fondare la nuova fattispecie penale tributaria di dichiarazione fraudolenta sul momento dell’offesa degli interessi dell’erario.
Come precisato in motivazione, la strategia sopra descritta “ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che “realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e “definitivo — dell’evasione, negando rilevanza penale autonoma alle violazioni “a monte” della dichiarazione stessa”, come anche si evince dalla espressa esclusione della punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello stesso decreto legislativo onde evitare che violazioni “preparatorie”, prima represse nel vecchio sistema, possano essere ora ritenute penalmente rilevanti[4].
La Corte rammenta anche che detti principi sono stati recepiti dalla Sezioni semplici e cita Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Rv. 262358 secondo cui i delitti di dichiarazione fraudolenta, previsti dagli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente[5].
Alla luce dei suddetti principi circa il momento consumativo del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici con riguardo alla particolare struttura del reato di riciclaggio, la S.C. conclude per l’insussistenza dei fatti di cui all’art. 648 bis cod.pen. contestati all’imputato, in quanto il medesimo, avendo sostituito l’importo di assegni dati in pagamento al professionista di cui sopra ma mai dichiarati dallo stesso ai fini fiscali, compiva detta operazione prima della scadenza dell’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista e non poteva, pertanto, avere agito su un profitto che a qual momento era privo di origine illecita neppure identificabile come risparmio di spesa.
Statuisce la sentenza che in base alla ricostruzione dei fatti risulta del tutto evidente che “il reato di riciclaggio non è configurabile perché l’attività del (omissis) è avvenuta prima della consumazione del delitto di dichiarazione fraudolenta e, per definizione, il riciclaggio non può essere consumato prima del delitto presupposto poiché, a quel momento, il denaro ricevuto non ha ancora il carattere di illecito profitto di altro fatto rilevante penalmente. Difatti, come ripetutamente già affermato, il riciclaggio non può avere ad oggetto somme che al momento della movimentazione non avevano ancora carattere e natura illecita e tali sono le somme sottratte al pagamento dell’obbligo fiscale di versamento delle imposte che si consuma solo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi”.
In conclusione viene sancito il seguente principio di diritto: “il delitto di riciclaggio non è configurabile nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora decorso e la stessa non è stata ancora presentata”.
[1] Il codice Zanardelli, come noto, non tipizzava la fattispecie di ricettazione. Le condotte di ricezione del profitto del reato presupposto incontravano una risposta sanzionatoria attraverso l’istituto del concorso di persone. Con l’affermarsi della teoria causale nell’ambito del concorso e conseguentemente con la negazione della rilevanza penale delle attività post-delictum, tale paradigma punitivo entrava in crisi. Il vuoto di tutela avverso tali condotte veniva compensato solo con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 648 del Codice Rocco (Si veda A. Cadoppi, S. Canestrari, P. Veneziani, Codice penale. Commentato con dottrina e giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 2018, p. 2872).
[2] Fatto salvo l’ulteriore e successivo intervento manutentivo operato con la l. n. 186/2014.
[3] Il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (Gafi) (Financial Action Task Force (Fatf)), istituito in occasione del G7 di Parigi del 1989, è un organismo intergovernativo che ha per scopo, tra l’altro, l’elaborazione e lo sviluppo di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita.
[4] Art. 6 d.lgs. n. 74/2000. Tentativo: “I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo”.
[5] Con riguardo all’irrilevanza delle condotte prodromiche a quella tipizzata nel art. 3 cit., la Corte rinvia altresì a Sez.3, n. 15500 del 15/02/2019, Rv. 275902, nonché alla Circolare ministeriale 154/E del 4 agosto 2000.
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