Nulli gli accordi economici della separazione se conclusi in vista del divorzio

Nulli gli accordi economici della separazione se conclusi in vista del divorzio

Cass. civ., Sez. I, Ord. 26 aprile 2021, n. 11012

La Corte di Cassazione ha stabilito che “… gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c.. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

In considerazione di ciò “In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.

L’ordinanza in commento si sottopone alla nostra attenzione perché enuncia un principio di diritto di fondamentale importanza nella regolamentazione dei rapporti economici, già di per sé difficili e complicati, che contraddistinguono quelle delicate fasi di crisi coniugale quali sono appunto la separazione ed il divorzio.

Nel caso in questione, il fondamento giuridico e, se vogliamo, anche processuale che i Giudici di legittimità hanno inteso espressamente evidenziare, nei suoi presupposti sostanziali, non riesce di immediata comprensione leggendone soltanto le motivazioni, testualmente sopra riportate, come addotte dalla Corte Suprema poiché, per assumerne effettivamente il significato più vero ed intimo occorre ricostruire, sia pure brevemente, la vicenda trattata ed i contenuti delle rispettive posizioni di difesa delle parti in causa.

Il ricorso in Cassazione de quo, infatti, prende le mosse dalla contestazione mossa dal coniuge ricorrente in merito alla validità ed efficacia dell’accordo intercorso tra le parti in causa in sede di separazione consensuale e destinato a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio, ritenuto per ciò stesso affetto da nullità per illiceità della causa, atteso che il diritto all’assegno di divorzio, per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile.

La difesa del ricorrente, pertanto, ha evidenziato come il giudice di merito non avrebbe potuto fare automatico riferimento alle statuizioni assunte in sede di separazione giudiziale, ancorché concordate tra i coniugi, ma avrebbe dovuto indagare sull’effettiva sussistenza del presupposto richiesto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 per la concessione dell’assegno divorzile e quindi sull’accertamento concreto dell’inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, come invece non aveva provveduto a fare.

Ebbene, se chiariti preliminarmente questi presupposti di fatto e di diritto risulta certamente più chiaro, e giuridicamente comprensibile, il perentorio diktat dettato dalla Corte Suprema ai giudici di merito di dover ritenere gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sempre invalidi per illiceità della causa in quanto stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 cod. civ.

La Corte, peraltro, nel solco di un proprio precedente orientamento giurisprudenziale (Cass. Sentenze n. 2224 del 30.01.2017 e n. 5302 del 10.03.2006), ha opportunamente precisato al riguardo come tali accordi, se valutati in via giudiziale in tal modo e dunque sic et simpliciter, siano in ogni caso nulli ed improduttivi di effetti giuridici non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una pattuizione di tal genere, preventivamente sottoscritta dalle parti rispetto alla fase del divorzio, potrebbe assumere una evidente forma di convincimento e di condizionamento del  consenso alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In definitiva, dunque, i Giudici di legittimità, pur riconoscendo sempre la piena legittimità di accordi pattizi tra i coniugi che intervengano a latere delle statuizioni giudiziali assunte in sede di separazione o divorzio, al punto da poterne costituire anche parte integrante e decisiva, sottolineano, a nostro parere in maniera corretta e condivisibile, come gli stessi, sebbene riconducibili alla volontà autodeterminata dei coniugi, se intervenuti nella fase della separazione con condizioni valide anche per quella del divorzio, non possano essere meccanicamente posti a base dei provvedimenti giudiziali di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e segnatamente di quelli attestanti il riconoscimento dell’assegno divorzile, se il Giudice del divorzio non ne abbia accertata la piena rispondenza alle reali condizioni delle parti e non abbia altresì acclarato la sussistenza del diritto del coniuge beneficiario a pretendere, e godere, tale assegno.

Non si tratta, del resto, di enunciazione di poco conto se si considera che quello che la Corte Suprema con la stessa vuole evitare in tutti i modi è che si arrivi ad una mera trasposizione nella sentenza di divorzio di condizioni economiche pattizie assunte, anche volontariamente, dai coniugi in frangenti della loro vita e del più ampio contesto della loro crisi coniugale totalmente diversi da quelli che, come è noto, devono essere appositamente accertati all’atto del divorzio stesso per legittimare la parte beneficiaria ad ottenere dal coniuge l’assegno divorzile.

La Corte, infatti, con questo significativo pronunciamento ha ribaltato completamente la decisione del Giudice di appello che aveva ritenuto, invece, come l’accordo pattuito dai due coniugi in sede di separazione consensuale, teso alla disciplina futura dei rapporti economici delle parti anche per il successivo divorzio (e con il quale era stato sciolto l’intero patrimonio immobiliare e mobiliare prima in comunione), fosse ammissibile e non affetto da nullità per illiceità della causa, con la conseguenza che, non essendosi verificate situazioni di forza maggiore in ordine alle condizioni economiche delle parti, la misura dell’assegno stabilito in primo grado dovesse ritenersi congrua.

E’ dunque certamente rilevante il riferimento operato dai Giudici di legittimità alla coerente applicazione del dettato normativo dell’art. 160 c.c. e, pertanto, del principio di diritto della indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale in esso sancito poiché è evidente come la, possiamo dire “meccanica”, trasposizione delle determinazioni dei coniugi derivanti dalla separazione nella successiva sentenza di divorzio, quasi a costituirne una automatica e per così dire obbligata scelta giudiziale, costituisca una palese violazione del disposto normativo sopra riportato, al pari di tutte quelle statuizioni, di natura strettamente economica, con le quali talvolta i coniugi siano portati a disciplinare anticipatamente i propri rapporti per l’eventualità del divorzio.

Si tratta, infatti, di divieto rispondente ad un generale criterio di contrarietà all’ordine pubblico e, per ciò stesso, totalmente nullo ed invalido, che, come è noto, ai sensi dell’art. 4 della Legge n. 74 del 6 marzo 1987, che ha novellato l’art. 4 della Legge n. 898 del 1 dicembre 1970, non si applica invece ai casi in cui anche in sede di separazione i coniugi prospettino, ad esempio, la possibilità di proporre congiuntamente la domanda di divorzio, poiché in questa evenienza le intese dagli stessi raggiunte anche sul relativo assetto economico attengono ad una cessazione del loro matrimonio che essi hanno già deciso di attuare e conseguire e non è pertanto solo prefigurato (così, ad esempio, Cass. Civ. sentenza n. 2180 del 1 marzo 1991).

Proprio poi per la rilevanza, in termini negativi, che assumono i contenuti di questi accordi rispetto al predetto divieto legislativo, è importante, come correttamente sottolineato anche dalla Corte, che gli stessi non sfuggano comunque alla violazione in parola neanche quando le statuizioni eventualmente assunte siano pure favorevoli al soggetto economicamente più debole, come nel caso in commento, perché è anzi proprio in questi casi che si possa ragionevolmente ritenere che il consenso espresso da quella parte possa essere stato condizionato per giungere, in un momento successivo imprecisato, ad una declaratoria del divorzio a condizioni economiche prestabilite e cristallizzate nel tempo e potenzialmente non più rispondenti alla reale situazione dei coniugi all’atto del divorzio medesimo.

Sul tema, peraltro, la giurisprudenza, anche di merito, è stata sempre particolarmente sensibile alla corretta applicazione della norma sopra richiamata, tant’è che, ad esempio, è stato affermato che se il coniuge economicamente più debole rinuncia all’assegno di mantenimento al momento della separazione lo possa sempre richiedere al momento del divorzio, sia pur dimostrando che le sue condizioni economiche siano peggiorate e che quindi ve ne siano i presupposti di legge (Corte App. Cagliari sez. I, 11/10/2018, n.857), ovvero è stato altresì precisato che gli accordi di separazione non possano contenere alcuna rinuncia all’assegno divorzile (Cass. Civ. sentenza n. 4424/2008) o anche solo prevedere l’erogazione di una somma “una tantum” per il mantenimento del coniuge economicamente più debole sempre da valere per il divorzio.

Né possiamo altresì tralasciare di considerare come la Corte Suprema abbia anche affermato che una volta che in sede di divorzio l’ex coniuge abbia rinunciato al relativo assegno non lo possa più rivendicare in un momento successivo (Cass. sent. n. 36392/2019), poiché, pur nella diversità di questa fattispecie rispetto a quella oggi in commento, il principio di fondo applicato è comunque sempre quello di riconoscere validità giuridica e sostanziale soltanto a quelle statuizioni pattizie che siano assunte volontariamente dalle parti nell’immediatezza ed in costanza di giudizio di divorzio e che siano, pertanto, espressione evidentemente reale della situazione personale ed economica di esse parti in quel dato momento.


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Nata a Lecce nel 1963 e conseguita la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Siena con la votazione di 110/110, svolge da subito la pratica legale presso uno studio di Milano abilitandosi all’esercizio della professione forense nel 1991 e nello stesso anno diventa titolare dello studio già avviato dal padre Avv. Renato da cui eredita, oltre alle qualità umane, l’inclinazione per il Diritto Civile, operando prevalentemente in tutto il Salento. All’iniziale interesse per il Diritto di famiglia e dei minori si affianca l’approfondimento di altre branche del diritto privato, quali il Diritto Commerciale e la sicurezza sul lavoro, complice anche l’espletamento di ulteriori incarichi quali quelli di Giudice Conciliatore e di Mediatore Professionista. La sua attività professionale si estende nel tempo anche al campo dei diritti della persona e tutela degli stessi e l’acquisizione di una crescente esperienza in materia di privacy e sicurezza sul lavoro la incita ad incrementare l’impegno riposto nell’aggiornamento continuo. Particolare rilevanza assume anche lo svolgimento dell’attività di recupero crediti nell’interesse di privati e società, minuziosamente eseguita in ogni sua fase, nonché quella per la tutela del debitore con specifica attenzione alla nuova disciplina in materia di sovraindebitamento. Dal 1990 è docente di Scienze Giuridiche ed Economiche presso gli Istituti ed i Licei di Istruzione Superiore di Secondo Grado, attività che svolge con passione e che, per il tramite della continua interazione con le nuove e le vecchie generazioni, le agevola la comprensione dei casi e delle fattispecie a lei sottoposte, specie nell’ambito del diritto di famiglia. E’ socio membro di FEDERPRIVACY, la più accreditata, a livello nazionale, Associazione degli operatori in materia di privacy e Dpo. Dà voce al proprio pensiero per il tramite degli articoli pubblicati sul proprio sito - SLS – StudioLegaleSodo (www.studiolegalesodo.it) nonché attraverso i rispettivi canali social ( FaceBook e LinkedIn ) ed è autrice di vari articoli e note a sentenza su riviste telematiche del diritto di primario interesse nazionale.

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