Nullità del contratto di locazione di immobili urbani: obbligo di registrazione ed accordo simulato
Al fine di affrontare le problematiche connesse all’obbligo di registrazione del contratto di locazione ed ai relativi profili di nullità, occorre preliminarmente esaminare l’istituto con particolare riferimento alla sua natura giuridica.
L’art. 1571 c.c., infatti, configura la locazione quale contratto in cui una parte si obbliga a fare godere all’altra una cosa mobile o immobile per un certo periodo di tempo dietro pagamento di un determinato corrispettivo.
In dottrina si è molto discusso circa la natura giuridica di tale istituto; in forza di una tesi divenuta maggioritaria, infatti, la locazione è considerata alla stregua di un diritto personale di godimento in quanto categoria intermedia tra diritti reali e diritti obbligatori.
In tal senso, si ritiene che la locazione presenti il carattere della realità in quanto il conduttore soddisfa il proprio interesse attraverso il godimento della cosa senza che sia necessaria la cooperazione di altro soggetto.
D’altra parte , la locazione non risulta pienamente sussumibile all’interno di tale categoria in quanto in essa manca il carattere della assolutezza; il diritto del conduttore, infatti, non è tutelabile erga omnes risultando azionabile esclusivamente nei confronti di determinate categorie di soggetti.
Tale tesi permette di riconoscere al conduttore il potere diretto sulla cosa ed allo stesso tempo consente di dare soluzione sia all’ impossibilità di usucapire tale bene, sia alla disciplina del rischio di perimento che viene posto in tal caso a carico del proprietario ed, infine, anche alla necessità del consenso del proprietario per la cessione del diritto del locatore.
Pertanto, la locazione configura un contratto consensuale ad effetti obbligatori da cui nasce un diritto personale di godimento a vantaggio del conduttore.
Risulta, pertanto, integrata la figura di contratto a prestazioni corrispettive in quanto viene posto a carico del conduttore l’obbligo di pagare il canone ed in capo al locatore l’obbigo di consentire al conduttore il godimento della res locata.
Pertanto, al fine di locare il bene non è necessario esserne proprietari, risultando sufficiente avere la disponibilità materiale del bene che, secondo giurisprudenza concorde, deve derivare da un rapporto giuridico che consenta di trasferire al conduttore la detenzione e di garantirgli il godimento della cosa locata.
La causa, pertanto, è rappresentata dallo “scambio” che interviene tra il godimento della cosa che una parte concede ed il corrispettivo che questa si obbliga a versare.
Ciò posto, in relazione al requisito di forma richiesto ex lege, la locazione, di regola, non soggiace ad alcun vincolo di forma eccezion fatta per le locazioni ultranovennali definite dall’art. 1572 c.c. quali atti eccedenti l’ordinaria amministrazione per quali è prevista la forma scritta ad substantiam di cui all’ art. 1350 n. 8 del c.c.
Pertanto, il mancato rispetto di tale requisito di forma, richiesto ad substantiam dalla norma, determina la nullità dell’intero rapporto.
In tal senso, si discute se tale nullità possa essere superata invocando l’istituto della conversione di cui all’art. 1424 c.c. qualora da un esame dell’intenzione delle parti risulti che avrebbero ugualmente stipulato il contratto per una durata inferiore se avessero conosciuto la nullità derivante da vizio di forma.
La dottrina ha nel tempo affermato che non sono soggette a forma scritta ad substantiam le locazioni infranovennali rinnovabili per un ulteriore periodo che sommato al precedente ecceda il novennio. Nel caso di locazioni infranovennali stipulate dalla P.A., invece, è sempre richiesta la forma scritta ad substantiam.
Alla disciplina delle locazioni prevista dal codice civile si è affiancata la legge sull’equo canone e la legge n. 431 del 1998 di riforma della disciplina delle locazioni di immobili urbani.
In particlare, la disciplina contenuta nella legge n.431 del 1998, che si propone quale precipuo obiettivo la lotta all’evasione fiscale, prevede che tutti i contratti di locazione ad uso abitativo debbano soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam.
Tuttavia, l’art. 13, comma 5, attribuendo rilevanza ai rapporti di locazione di fatto, concede al conduttore la possibilità di avviare un giudizio volto ad accertare l’esistenza del contratto di locazione ed a determinarne il canone fissando l’ammontare delle somme eventualmente eccedenti.
Dall’esame di tale disciplina emerge chiaramente la finalità antievasiva che permette di sottoporre all’imposizione fiscale il canone realmente pagato.
In relazione al regime di nullità applicabile, una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che la nullità prevista da tale disciplina risulti sanabile con effetto retroattivo a seguito della registrazione tardiva. Secondo altra impostazione, invece, la registrazione è condizione di efficacia del contratto.
La normativa fiscale, infatti, prevede che tutti i contratti di locazione stipulati verbalmente o per iscritto debbano essere registrati nel termine di 30 giorni decorrente dalla loro sottoscrizione.
Al fine di porre una soluzione alla querelle sorta in giurisprudenza, la Corte di legittimità, con sentenza n. 25503 del 2016, ha evidenziato come la categoria della nullità di diritto privato, seppure persegua obiettivi aventi natura prettamente fiscale, non possa confondersi con la figura della condizione legale.
Pertanto, nel caso di mancata registrazione del contratto, il conduttore è legittimato a chiedere l’emanazione di una sentenza ex art. 13 comma 6 legge 431/1998 che dichiari la nullità del rapporto per omessa registrazione entro il termine di cui all’art. 13 .
In tale quadro si richiama la sentenza n. 50 del 2014 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 3 comma 8 d.lgs. n. 23 del 2011 in cui si prevedeva che la locazione si costituisse ex novo per effetto della registrazione tardiva. Tale disposizione, infatti, è stata dichiarata incostituzionale per mancanza di copertura da parte della legge di delegazione.
Altra parte della giurisprudenza, ha, invece, statuito che il mancato rispetto di una disposizione tributaria, non determini mai la nullità del contratto e ciò in applicazione dell’art. 10 dello Statuto dei contribuenti.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 2003 n 16089, aveva statuito che la nullità di cui all’art. 13 d.lgs. n. 431 del 1998 fosse finalizzata a colpire gli eventuali “patti in aumento” del canone ritenendo che la mancata registrazione del contratto di locazione non producesse la nullità in quanto non costituente requisito di validità della stessa. La Corte di Cassazione aveva ritenuto, infatti, che l’art. 13, nel prevedere la nullità della pattuizione, non si riferisse alla simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo ma, intervenisse al fine di colpire la pattuizione di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario. Ciò in quanto la norma si riteneva fondata sul principio di invariabilità del canone previsto dal contratto.In giurisprudenza il contrasto relativo alle conseguenze della mancata registrazione del contratto ha determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite con ordinanza n. 37 del 2014 della Corte di Cassazione.
Il collegio remittente, non aderendo a tale orientamento, ritenne di rimettere la questione alle Sezioni Unite.
In particolare, con tale ordinanza veniva sollevato il problema della validità di un patto dissimulato contemporaneo al contratto di locazione con cui le parti pattuiscono un canone più alto rispetto al contratto registrato.
In forza della ordinanza di rimessione in esame, la registrazione rappresenterebbe requisito di validità; secondo tale impostazione la ratio della legge del 1998 risiederebbe nella volontà di affrontare il fenomeno delle locazioni in nero che ha indotto il legislatore a superare la tesi della irrilevanza della violazione degli obblighi tributari ai fini della validità del contratto.
La Corte di Cassazione pone a fondamento di tale impostazione la teoria della causa concreta e dell’abuso del diritto ritenendoli argomenti chiave ai fini della risoluzione della questione.
In tale ottica, il patto con cui le parti stabiliscono un canone superiore realizzerebbe un risultato vietato dalla norma, pertanto, la causa concreta si ravvisa nell’elusione fiscale che risulta sanzionata con la nullità del patto; si ritiene, inoltre, la sussistenza di un abuso del diritto in quanto il negozio perseguirebbe finalità di evasione o elusione fiscale vietate dalla legge.
A seguito di tale rimessione, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza n 18213 del 2015, operando un revirement rispetto alla impostazione della Corte di Cassazione del 2003, hanno affermato la nullità della controdichiarazione in aumento del canone in quanto integrante una sostituzione vietata dalla legge.
Il conduttore, pertanto, avrà diritto ad ottenere tutte le somme versate, non avendo rilevanza la tardiva registrazione della controdichiarazione.
Pertanto, se da una parte si riconosce la possibilità di sanare il contratto mediante l’adempimento della registrazione precedentemente omessa, ciò non può risultare ammissibile qualora il contratto registrato sia unito ad patto di maggiorazione occulta del canone. In tal caso, infatti, si ritiene sussistente “un vizio genetico del contratto, non sanabile con una registrazione considerata quale nullità insanabile del contratto.”
Infine, occorre fare riferimento all’ulteriore potere riconosciuto al conduttore che, qualora non intenda esercitare l’azione di accertamento del rapporto de facto, può chiedere la restituzione dei canoni versati ex art. 2033 c.c.
In tal senso, si è riscontrato un vivace dibattuto circa la possibilità per la controparte di proporre azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. Nel caso di specie, secondo una prima impostazione, sussistendo un contratto nullo per contrarietà a norme di diritto pubblico, di cui vi fanno parte le norme finalizzate al contrasto dell’evasione fiscale, non sarebbe riscontrabile alcuna meritevolezza dell’interesse tale da legittimare l’esperimento della suddetta azione.
Di senso opposto, invece, la sentenza n. 25503 del 2016 della Corte di Cassazione, che, confermando la nullità testuale del contratto di locazione non registrato, ha statuito che la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’art. 2033 c.c. e non dall’art. 1458 c.c.
Pertanto, dalla suddetta nullità testuale e dalla eventuale irripetibilità di quella prestazione ne deriverebbe la legittimazione per il concedente di proporre azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. nei confronti dell’utilizzatore sine titulo.
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Avv. Barbara Sciacca
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