Nullità del contratto di locazione (dissimulato) a canone superiore non registrato
In materia di contratti di locazione ad uso abitativo, il legislatore ha previsto una deroga al principio della libertà delle forme, ai fini di contrasto all’evasione fiscale. Il generale principio c.d. “di non interferenza”, in base al quale le disposizioni tributarie non incidono sulla validità civilistica degli atti, ai sensi dell’art. 10 comma III, L. 212/2000, subisce alcune limitazioni in materia locatizia.
L’art. 13 L. 431/1998 prevede il requisito della forma scritta per contrastare il fenomeno del pagamento di un canone maggiorato (non registrato) rispetto a quello inferiore registrato; la pattuizione contenente un canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato è nulla. All’introduzione della normativa, tuttavia, si è creata incertezza in merito alle differenze tra validità del contratto (scritto e non registrato) e mancata registrazione. Difatti, all’entrata in vigore dell’articolo citato, alcuni classificavano la mancata registrazione come causa di nullità del contratto stesso, mentre altri vi ravvisavano una condicio iuris sospensiva, che ne avrebbe impedito l’efficacia; la Corte Costituzionale ne dichiarò l’illegittimità, per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto la norma richiede esplicitamente il requisito della forma scritta e non la registrazione.
Il legislatore è nuovamente intervenuto con la legge finanziaria del 2005 (Legge n. 311 del 31 dicembre 2004, entrata in vigore il 1° gennaio 2005) che al comma 346 del suo unico articolo sancisce la nullità del contratto di locazione che non venga registrato.
Anche in tale riformato contesto normativo, alcuni hanno asserito che non si trattasse di causa di nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., piuttosto di una irregolarità di carattere tributario, scollegata dalla validità genetica del negozio. Infine, a risolvere la questione, è intervenuta la Legge di stabilità del 2016 che ha ulteriormente modificato l’art. 13 L. 431/1998[i]. La vigente disciplina prevede, dunque, la nullità assoluta per mancata registrazione del contratto e travalica l’interesse di tutela delle parti, mirando al contrasto dell’evasione fiscale.
La nullità di cui alla Legge finanziaria del 2005 opera anche relativamente ai negozi conclusi in data antecedente all’entrata in vigore della stessa. Ciò è stato statuito dalla Corte di Cassazione, sez. III Civile, con sent. 7 febbraio – 13 ottobre 2020, n. 22126. Secondo cui appunto “Il patto dissimulato di maggior canone è nullo per vizio genetico della causa, anche se il contratto apparente, non registrato, è anteriore all’entrata in vigore dell’art. 1 c. 346 legge 311/2004.”
Sulla nullità del contratto di locazione dissimulato con canone superiore di quello dichiarato nel contratto apparente si era sviluppato un intenso dibattito interpretativo culminato con due pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite.
Con la sentenza n. 18213 del 2015 la norma di cui all’art. 1 comma IV L. 431/1998 è stata interpretata in senso letterale, ritenendo che la forma scritta sia richiesta ad substantiam. Nel caso, dunque, in cui sia locatore che conduttore abbiano acconsentito, di comune accordo, alla forma verbale il contratto sarà affetto da nullità ex art. 1418 c.c., nullità che potrà essere rilevata ex officio dal giudice e non sanabile.
È opportuno, tuttavia, approfondire la questione nel caso in cui la verbalità del contratto sia imposta dal locatore. Un orientamento giurisprudenziale riteneva, in casi simili, a favore del conduttore che subiva di fatto la situazione, una nullità di protezione, sanabile, anche in assenza di previsioni testuali. Tale filone giurisprudenziale riteneva infatti applicabile analogicamente l’art. 13, comma V, L. 431/1998, in base al quale il conduttore avrebbe potuto agire per la restituzione delle somme versate ovvero chiedere la riconduzione del contratto a condizioni conformi. Le Sezioni Unite del 2015 sulla base di una interpretazione funzionale dell’elemento formale, hanno ritenuto che la stessa ratio dell’art. 1 comma IV L. 431/1998 è duplice. In prima battuta la disposizione tutela gli interessi pubblicistici della trasparenza del mercato nelle locazioni e il contrasto all’evasione fiscale (scongiurando la pattuizione dei canoni “in nero”), in seconda battuta è centrale la salvaguardia del conduttore, quale parte debole, spinto a concludere il contratto da esigenze abitative. La nullità de quo, alla luce dell’arresto delle Sezioni Unite, individua una nullità relativa e sanabile; soltanto il conduttore potrà invocarla, una volta fornita la prova della violenza subita. Peraltro, è facoltà del conduttore anche chiedere al giudice la formalizzazione del contratto di fatto con la fissazione di un canone equo anche per il futuro.
È diverso il caso in cui le parti abbiano concluso, in condizioni di parità, un patto aggiunto, esterno al contratto di locazione registrato e orale, che ha ad oggetto l’effettivo canone percepito e che assume di fatto carattere simulatorio. In caso di simulazione relativa, in tema di prova della simulazione dei rapporti tra le parti, la prova del patto esterno ed orale potrà essere data esclusivamente tramite controdichiarazione, stante la non ammissibilità della prova per testi e per presunzioni (Cass. N. 471/2003).
In conclusione, la Cassazione, con la sentenza sopra citata Cass. Sez. III, n. 22126/2020) ha statuito, sotto il profilo processuale, la possibilità di eccepire anche in sede di gravame l’accordo simulatorio, trattandosi non di eccezione in senso stretto, senza incappare nel divieto ex art. 437, c.II c.p.c.
Sotto il profilo sostanziale, sulla scia delle citate Sezioni Unite, l’arresto della Corte conferma che in caso di contratto di locazione ad uso abitativo registrato per un canone inferiore a quello reale, il patto dissimulato a canone superiore è affetto da nullità virtuale, assoluta e non sanabile, in quanto in contrasto con l’art. 13, I, L.431/1998 e con l’intento di scongiurare l’evasione fiscale della stessa; la nullità opera, altresì, relativamente ai negozi conclusi prima dell’entrata in vigore dell’art 1. C. 346, L. n. 311/2004[ii].
[i] Il comma 6 dell’art. 13 L 431/1998, come modificato, prevede che “nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi all’autorità giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2”.
[ii] L’art. 1, C. 346, L. n. 311/2004 prevede che “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati.”
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Martina Pernici
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