Nullità di protezione e invalidità negoziali

Nullità di protezione e invalidità negoziali

L’istituto della “nullità di protezione” è previsto dall’art. 36 del Codice del consumo (introdotto con il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) con il quale il legislatore italiano ha dato vita ad una nuova e assorbente categoria di invalidità in versione di nullità[1], benché presenti, come si vedrà, tratti caratteristici comuni anche all’annullabilità[2]. Per meglio comprendere quindi le peculiarità dell’istituto in esame, è opportuno affrontare preliminarmente la disciplina generale dell’invalidità ed inefficacia, nei confronti della quale la nullità di protezione assume caratteri distintivi. Quest’ultima, infatti, è ascrivibile al novero delle nuove categorie di rimedi[3] che, com’è noto, assumono i connotati di protezione[4] in quanto “riflesso della nuova concezione del contratto fondata su una disparità di potere fra le parti”[5]. Il settore di intervento principale di cui si è occupato il legislatore italo-europeo è stato la tutela del consumatore; in particolare sono stati predisposti strumenti giuridici diretti a riequilibrare rapporti contrattuali caratterizzati da asimmetrie informative e di diverso potere economico tra le parti interessate[6]. “Con interventi dapprima marginali, le direttive hanno armonizzato il diritto contrattuale interno in un nuovo diritto dello scambio”[7].

Come è stato osservato da autorevole dottrina, il Codice civile del 1942 ha configurato la categoria delle invalidità come “rimedio di fattispecie” con funzione essenzialmente “demolitoria”[8]; l’avvento del diritto comunitario ha invece determinato un processo di “mutazione genetica” dell’invalidità proponendola quale vero e proprio “rimedio del regolamento contrattuale”[9] con la finalità di tutelare interessi particolari facenti capo “a singoli o a gruppi, o meglio (di) interessi seriali, cioè di particolari categorie che si affacciano sulla scena del mercato nelle vesti di contraenti deboli”[10]. La configurazione dogmatica della nullità di protezione, il cui scopo è la tutela del contraente debole, impone, dunque, un raffronto tra la normativa contenuta nella disciplina consumeristica e lo sfondo codicistico relativo al regime delle invalidità contrattuali. Il codice civile non contiene norme dedicate, in generale, all’invalidità del contratto; il nostro legislatore disciplina, infatti, separatamente la nullità e l’annullabilità del contratto[11].

La Suprema Corte ha avuto modo di ricordare che la distinzione tra le due forme di invalidità del contratto, nullità ed annullabilità, viene tradizionalmente ricondotta al piano “quantitativo” della maggiore o minore gravità del vizio[12]. La teoria classica dell’invalidità, infatti, identifica la nullità con lo strumento preordinato alla tutela di interessi generali “afferenti a valori ritenuti fondamentali per l’organizzazione sociale, piuttosto che per i singoli”[13]. Diversamente il regime di annullabilità, seppur rientrante, almeno per la dottrina consolidata, nello stesso genus di invalidità[14], rappresenta una fattispecie diretta a proteggere interessi di natura individuale (cioè delle parti private). La nullità rappresenta dunque “l’esito di un giudizio di radicale disvalore dell’ordinamento, sanzionando un contratto non meritevole di tutela”[15]. La Corte di Cassazione ha precisato che “…è come se il legislatore, predisposta una struttura normativa “significante”, destinata espressamente alla tutela del singolo soggetto, abbia poi voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore e diverso “significato”, non espresso (ma non per questo meno manifesto), costituito, appunto, dall’interesse dell’ordinamento a che certi suoi principi-cardine non siano comunque violati”[16].

Volendo fare un collegamento col sistema codicistico, la disciplina della nullità di protezione si pone a metà strada tra i tradizionali rimedi dell’annullabilità e della nullità[17] possedendo alcuni dei requisiti specifici dell’una e dell’altra specie di invalidità: l’imprescrittibilità dell’azione volta a farla valere e la rilevabilità ex officio da parte del giudice, per ciò che concerne la nullità; l’eccepibilità ad opera del solo “contraente debole” e la natura tendenzialmente parziaria, per quanto riguarda l’annullabilità[18]. D’altra parte, è doveroso precisare che alla nullità di cui si discorre non possa essere assegnato il vestimentum di categoria unitaria, dovendo tenere conto sia dell’intensità dell’interesse tutelato sia dell’eventualità che l’effetto invalidante coinvolga l’intero negozio ovvero parte di esso[19]; ciò rappresenta la ragione per la quale la dottrina prevalente usa discorrere di “nullità di protezione” in senso plurale[20].

In precedenza si è fatto riferimento alle distinzioni tra la nullità di protezione e le categorie di invalidità consacrate nel Codice civile del 1942. La questione non è certamente di poco conto e lo dimostrano le diverse impostazioni dottrinali che hanno scandito la formazione e l’evoluzione del dibattito sul tema; si pensi alla disciplina della legittimazione generale all’azione di nullità sancita dall’art. 1421 c.c., secondo cui, salvo diverse disposizioni di legge, “può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse”. La portata di questa norma deve essere confrontata con la diversa legittimazione (questa volta relativa) prevista invece per l’azione di annullamento, che “può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge” ai sensi dell’art. 1441 c.c.[21]. Autorevole dottrina ha definito “del tutto antitetico” il modello di nullità che ci è stato consegnato dal diritto europeo dei contratti rispetto a quello proprio del sistema codicistico, ritenendo errato l’inquadramento della nullità ut supra nello schema delle c.d. “nullità relative”[22] in ragione del particolare modo con cui si atteggia la legittimazione all’azione. Quest’ultima, infatti, nelle nullità relative è riservata ad una soltanto delle parti contraenti[23], mentre nell’ipotesi di nullità europea di protezione, l’azionabilità in giudizio è consentita anche a terzi estranei al contratto ovvero a chiunque possa vantare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico[24]. Altra parte della dottrina ritiene invece che la legittimazione all’azione volta a far valere la nullità di protezione sia riservata alla sola parte interessata, non escludendo però che il giudice la possa rilevare ex officio, solo se ciò corrisponda all’interesse del contraente debole[25].  L’art. 1421 c.c. (e lo stesso art. 36 del cod. cons. co. 3) dispone che la nullità “può essere rilevata d’ufficio dal giudice”; quest’ultimo è quindi titolare di un potere dovere non potendosi esimere dal pronunciare la nullità ove questa emerga dagli atti in causa[26]. La Corte di Giustizia europea ha recentemente precisato nella sentenza Mostaza Claro che la disciplina della nullità delle clausole abusive è diretta a offrire una adeguata tutela del consumatore[27]: “Il sistema di tutela [..] è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse[28].  Una tale disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale”[29]. Aggiunge altresì che “la natura e l’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela [..] giustificano inoltre che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale”[30].

Ai sensi dell’art. 36 cod. cons. le clausole considerate vessatorie per legge “sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”; tale disciplina dunque è lontana dal modello codicistico, in ragione del suo carattere necessariamente parziale, nel senso che, in deroga all’art. 1419, co.1, c.c., essa colpisce parte del contratto non travolgendolo per intero. In dottrina è stato sottolineato che “la valutazione circa la possibilità che il contratto possa sopravvivere ed avere effetti anche senza la clausola dichiarata nulla per vessatorietà dovrà prescindere in questo caso da ogni indagine sulla essenzialità delle clausole secondo la volontà delle parti, indagine richiesta invece, secondo la regola generale in tema di nullità parziale, dall’art. 1419, co.1, c.c. (secondo cui la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto «se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità»)”[31]. Parimenti la Corte di Giustizia avverte: “nel valutare se un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore e contenente una o più clausole abusive possa continuare a sussistere in assenza di dette clausole, il giudice adìto non può fondarsi unicamente sull’eventuale vantaggio per una delle parti, nella fattispecie il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso”[32] ma diversamente dovrà valutare se il contratto possa essere mantenuto senza tale clausola “in linea di principio sulla base di criteri oggettivi”[33].

La figura della nullità di protezione assume particolare rilevanza anche per ciò che concerne la sua convalida, la quale richiede un bilanciamento concreto tra valori ed interessi contrapposti[34].

A tal proposito, parte della dottrina esclude possa effettuarsi l’interpretazione analogica dell’art. 1444 c.c. riferito alla convalida del contratto annullabile poiché, in quest’ultima ipotesi “il contratto è ab origine produttivo di effetti, i quali possono venire meno a seguito di una pronuncia di annullamento [..]. Nel caso delle “nullità di protezione, invece, la convalida andrebbe a rendere ex novo efficace un negozio o una sua parte, che inizialmente era inidoneo a generare effetti, in quanto colpito da una patologia di ordine strutturale”[35]. Una diversa corrente di pensiero qualifica la nullità di protezione come “pendente o sospesa”, la cui sorte dipende dalla volontà del contraente debole, ammettendo l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 1444 c.c. poiché il legislatore considera giuridicamente rilevante e meritevole di tutela l’interesse della parte protetta[36].


[1] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Vol. II, Giuffrè, 2007, cit., p. 466.

[2] V. FERRARI-P. LAGHI, Diritto europeo dei contratti, Giuffrè, 2012, cit., p. 89.

[3] Si veda sul tema M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle patologie negoziali, cit., p. 322 ss; A. LA SPINA, Destrutturazione della nullità e inefficacia adeguata, Giuffrè, Milano 2012, p. 215 ss; G. COSCO, Sistema delle patologie contrattuali ed orientamenti attuali, in Rass. Dir. Civ., 2011, 3, p. 695 ss; V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, 2011, p. 489 ss; S. POLIDORI, Nullità di protezione e interesse pubblico, in Rass. Dir. Civ., 2009, p. 1 ss.

[4] M.L. CHIARELLA, Contrattazione asimmetrica, Giuffrè, Milano 2016, cit., p. 337.

[5] M. GIORGIANNI, Principi generali sui contratti e tutela dei consumatori in Italia e Germania, cit., p. 288.

[6] A. Di MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 45 ss.

[7] A. GENTILI, I concetti nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2010, p. 82.

[8] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 469.

[9] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 472; V. SCALISI, Il contratto e le invalidità, in Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista, in Riv. Dir. Civ., 2006, cit., p. 243 ss.

[10] M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, IV, Rimedi, a cura di A. GENTILI, in V. ROPPO (a cura di), Trattato del contratto, Giuffrè, Milano 2006, cit., p. 13.

[11]  G.B. FERRI, Nullità parziale e clausole vessatorie, in Riv. dir. priv. e comm., 1977, I, p. 11 ss.

[12] R. ALESSI, La disciplina generale del contratto, Giappichelli, Torino 2015, cit., p. 446.

[13] Sez. Un. 12-12-2014, n. 26242.

[14] Come si sottolinea, però, in C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 468: “Ad una parte della dottrina, invece, nullità ed annullabilità sono apparse a volte irriducibili a un unico e medesimo schema d’interessi, siccome connotate da radicale opposizione. Il contratto nullo sarebbe un non contratto, come tale sprovvisto di qualsiasi efficacia; il contratto annullabile sarebbe invece un contratto valido, in quanto produttivo di effetti sia pure risolubili o eliminabili. Si consuma in questo modo una operazione di vera e propria volatilizzazione della categoria”.

[15] R. ALESSI, Op. cit., p. 446.

[16] Sez. Un. 12-12-2014, n. 26242.

[17] M.L. CHIARELLA, Op. cit., p. 340; come sostiene S. POLIDORI, in Nullità relativa e potere di convalida, in Rass. Dir. Civ., 2003, p. 931 ss: “la nullità relativa viene in larga misura a sovrapporsi, sul piano delle regole operative, all’annullabilità, eppure se ne differenzia per la duplice circostanza di essere caratterizzata dall’imprescrittibilità dell’azione (art. 1422 c.c.) e dalla rilevabilità d’ufficio”.

[18] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 145.

[19] Ibidem.

[20] M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria moderna della nullità relativa, CEDAM, Padova 2008, p. 323; G. PERLINGIERI, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, ESI, Napoli 2010, p. 48.

[21] R. ALESSI, Op. cit., p. 455.

[22] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 487; G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano 1995, p. 181 ss; A. GENTILI, Le invalidità, in Tratt. Rescigno, I contratti in generale (a cura di E. GABRIELLI), II, Torino 1999, p. 1346 ss; G. GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in CI, 1999, P. 1332 ss.

[23] R. SACCO, Nullità e annullabilità, in Digesto civ., XII, Torino 1995, p. 302; L. PUCCINI, Studi sulla nullità relativa, Milano 1967, p. 140 ss.

[24] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 487. Gli autori fanno riferimento, nel primo caso, agli accordi gravemente iniqui in danno del creditore o all’abuso di dipendenza economica; nella seconda ipotesi si riferiscono invece alle intese anticoncorrenziali vietate o all’abuso di posizione dominante.

[25] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 145; G. D’AMICO, Nullità virtuale-Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contr., 2009, p. 740 ss.

[26] R. ALESSI, Op. cit., p. 455.

[27] G. ALPA, Diritto Privato Europeo, Giuffrè Editore, Milano 2016, cit., p. 258.

[28] Ibidem; Sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25.

[29] Sentenza Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 27.

[30] G. ALPA, Op. cit., p. 259.

[31] R. ALESSI, Op. cit., p. 462.

[32]Ibidem; Corte di Giustizia 15-03-2012, causaC-453/10 Perenicova, punto 36.

[33]  R. ALESSI, Op. cit., p. 462; Corte di Giustizia 30-05-2013, causa C-397/11 Jorosl.

[34]  S. POLIDORI, Nullità relativa e potere di convalida, in Rass. Dir. Civ., 2003, p. 931 ss.

[35] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 146.

[36] M.L. CHIARELLA, Contrattazione asimmetrica, Giuffrè, Milano 2016, cit., p.360; M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle patologie negoziali, cit., p. 461 ss.


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